Calcio: un rituale collettivo

26 ottobre 1863, Londra, Taverna dei Framassoni: il calcio nasce sancendo il suo ufficiale e decisivo distacco dal rugby (l’altro protagonista britannico) per formare la Football Association, che si diffonde presto verso l’Europa passando per Olanda, Danimarca e area danubiana di Cecoslovacchia, Ungheria e Austria. Nel frattempo, anche in America questo sport si impone richiedendo un riconoscimento: è nel 1885 che viene fondata l’American Football Association, che apre la stagione l’anno seguente con un incontro Stati Uniti-Canada. In Italia i primi debutti si hanno nel 1887 a Torino, per iniziativa di un commerciante legato tramite rapporti d’affari all’Inghilterra. Il primo campionato nazionale si disputa nel 1896. Ci si chiede allora come sia possibile che uno sport dalla nascita tanto ordinaria si sia espanso e sviluppato al punto da diventare straordinario nel vero senso della parola. Uno sport che eccede i limiti del consueto, un’esorbitanza quasi inspiegabile che si muove al giorno d’oggi in qualsiasi direzione: dalle tifoserie al merchandise, dal valore commerciale al potere economico ed emotivo che esercita sul suo seguito. Cosa rende quindi il calcio un rituale pubblico socialmente approvato?

Oggigiorno, questa “odiosamata” disciplina ha diviso in due fazioni il mondo dello sport: chi lo rinnega protestando l’eccessiva concentrazione di denaro che ricopre di anno in anno unicamente questo colosso, pretendendo maggiore considerazione verso gli altri sport quali il nuoto, la pallavolo, il rugby (che rispetto agli inizi è oramai strettamente di nicchia) e altri, e chi, invece, è pronto a difenderlo a spada tratta, addirittura identificando se stesso come parte del team per cui tifa: un’unione indissolubile che rende la squadra e i tifosi un noi indistinto. Ciononostante, anche agli occhi dei profani sarà risultato evidente che dietro questa pratica sportiva c’è più di un semplice tifo di sostenitori.

Claude Petrognani, in Calcio e Religione in Brasile, ha analizzato le relazioni che intercorrono tra questo sporto e la religione in Brasile, esaminando una vasta categoria di marche verbali, corporali e gestuali che i calciatori sudamericani ripetono sistematicamente in ogni partita e che si distingue da altre abitudini scaramantiche per la recita del Padre Nostro. Dai suoi studi è emerso che la trasmissione di energia tra i corpi tipica della roda, ossia una danza circolare in cui i partecipanti si stringono le mani e ballano seguendo l’intensità dei tamburi, è una componente fondamentale del rito, che si ricollega chiaramente alla pratica del fechamento: entrambe rappresentano un momento sacro-simbolico del contatto umano con la natura (nel caso della roda) o con il divino/sovrannaturale (nel caso del fechamento). Questo è solo un esempio di come un’abitudine meramente sportiva venga vista come qualcosa di molto più spirituale.

L’attaccamento emozionale di un simpatizzante implica talvolta comportamenti sproporzionati, se non esasperati, che coinvolgono la sfera psicologica individuale: l’estremo bisogno dell’Io di riconoscersi in un’identità sociale comune e collettiva lo spinge a mettere in atto atteggiamenti che nella quotidianità non gli apparterrebbero. Nel momento in cui i giocatori sono un tutt’uno con l’Io che li sostiene la reazione a ciò che accade durante la partita diventa una questione personale, così un fallo da parte degli avversari è visto come un torto inammissibile alla squadra e alla propria persona. Superata questa soglia, lo scontro sportivo si eleva a conflitto di identità, addirittura tramite vere e proprie guerre culturali che si intensificano man mano che la provenienza dell’avversario si avvicina alla città natale della propria squadra, definendo così un rapporto inverso tra i due fattori (si vedano gli scontri nei derby, come Milan-Inter o Lazio-Roma).

A differenza di molti sport, il calcio può vantare una base organizzativa solida e saldamente strutturata grazie alla sua essenziale semplicità. Non a caso, prolifera maggiormente nei paesi più poveri, come Africa e Sudamerica, poiché il necessario per giocare si limita a un solo pallone e uno spazio all’aperto. È in questo modo che un passatempo per bambini si trasforma in un obiettivo. Un sogno che spesso fa diventare soprattutto i più giovani delle star e che per loro significa sopra ogni cosa riscatto: dalla povertà, dalla situazione misera in cui si trovano e dall’anonimato in cui si sentono di vivere. Solo in Italia, più della metà dei calciatori di Serie A provengono infatti da questi paesi. Ha ragione M. Vázquez Montalbán quando sostiene in Avvenire che il calcio sia

una forma di alienazione collettiva su scala planetaria […] fondata sulla contrapposizione tra Nord e Sud del mondo, tra paesi che importano giocatori e altri che li esportano

Il successo di una squadra dipende evidentemente da ogni strato della piramide calcistica che si forma dal basso verso l’alto, dai bambini più sognatori agli adulti più patriottici, fino ad arrivare ai vertici, a chi detiene il controllo della società stessa e investe in essa, sfruttando proprio quella passione innocente di chi vuole sentirsi parte del tutto.

Si può davvero definire allora questo sport solamente come tale? Che piaccia o no, il calcio non è solo questo. Una maglia bicolore definisce la proiezione di desideri e sogni mai realizzati, l’appartenenza a un gruppo che condivide le proprie origini e la volontà di emancipazione da uno stato di vita non ideale. Sono 90 minuti di gioco per dimostrare agli altri e a se stessi la propria superiorità.

 

Tredicesima partita

 

Sui gradini un manipolo sparuto

si riscaldava di se stesso.

E quando

– smisurata raggiera – il sole spense

dietro una casa il suo barbaglio, il campo

schiarì il presentimento della notte.

Correvano su e giù le maglie rosse,

le maglie bianche, in una luce d’una

strana iridata trasparenza. Il vento

deviava il pallone, la Fortuna

si rimetteva agli occhi la benda.

Piaceva

essere così pochi intirizziti

uniti,

come ultimi uomini su un monte,

a guardare di là l’ultima gara

 

Umberto Saba

 

FONTI

AA.VV., Sport, in Grande enciclopedia per ragazzi, La Biblioteca di Repubblica, 2006

Umberto Saba, Tredicesima partita, da Il Canzoniere, Einaudi, 2005

openstarts.unit.it


 

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