Al giorno d’oggi, oramai, tutti possiedono una piattaforma online – solitamente Spotify o Apple Music – che permetta di ascoltare qualsiasi tipo di brano in streaming in qualunque luogo ci si trovi. Ovviamente, però, non è sempre stato così. Facciamo un breve excursus della storia della diffusione del materiale musicale: dai dischi a Spotify.
Gli inizi: il disco in vinile
Stereo8 e musicassetta
La nascita del CD
I primi prototipi di dischi ottici nacquero negli Stati Uniti dei primi anni Sessanta sulla scia del supporto video Laserdisc, che veniva utilizzato come primo metodo di videoregistrazione su disco ottico verso la fine degli anni Settanta. I CD si diffusero poi, realmente, a partire dal 1983. Questi supporti erano costituiti da un disco piatto e sottile che conteneva al proprio interno un foglio metallico dal quale, tramite un raggio laser, le informazioni venivano lette e memorizzate. A partire dagli anni Ottanta si sono sviluppati diversi formati basati su dischi ottici, ma il più stabile e duraturo è stato, fino ad ora, il Compact Disc, conosciuto da tutti come CD.
Il Compact Disc nacque nel 1979 dalla collaborazione di Philips e Sony e si diffuse nel decennio successivo in tutto il mondo parallelamente ai relativi lettori che servivano a decodificare le informazione incise sul supporto. Con il CD, per la prima volta, si ebbe la possibilità di ascoltare fino a ottanta minuti di musica contenuta in un oggetto di dimensioni irrisorie. Si aggiungeva, inoltre, una maggiore qualità del suono. Il CD rimarrà per tutti gli anni Novanta il prodotto di punta nel mercato dei supporti musicali.
Alla fine degli anni Novanta iniziano a farsi spazio i lettori MP3, dei lettori di musica digitale in grado di riprodurre tracce codificate nello standard MP3.
Musica digitale
Spotify
Il crollo della pirateria
La forza di Spotify, oltre alla grande quantità di musica fruibile, è che è un’applicazione dinamica. Infatti, l’utente può scoprire nuovi artisti e brani senza cercarli personalmente. Ogni giorno, in effetti, l’applicazione crea delle playlist personalizzate, con alcuni artisti già noti all’utente ma anche altri che non ha mai ascoltato. In questo modo, si è fortemente portati ad allargare la propria libreria musicale. Oltretutto, Spotify ha un costo irrisorio.
Di conseguenza, la pirateria sta lentamente sparendo. I dati a riguardo sono molto positivi: secondo la FIMI – Federazione Industria Musicale italiana – rispetto al 2017 la contraffazione musicale è scesa del 50% e ancora del 10% nei primi tre mesi del 2019. Tuttavia, il problema non è completamente risolto. Ora il trend è passato a come convertire in servizi Premium le versioni gratuite di YouTube e Spotify. Attualmente la FIMI non ha, purtroppo, soluzioni per arginare il problema.
Ci lasciamo, dunque con un punto di domanda: quale sarà il prossimo supporto che riuscirà a modificare nuovamente il modo in cui gli ascoltatori si approcciano alla fruizione di musica? Inoltre, riuscirà mai l’industria musicale a debellare una volta per tutte il problema della pirateria?