A darle una rapida occhiata, You ha tutta l’aria di una serie tv da assaggiare un poco e poi accantonare. Non è infatti uno di quei thriller seriosi, complessi e molto impegnati a scalare la vetta. Ha un titolo tanto comune che non si trova solo googlandolo e una trama specializzata in intrighi e colpi di scena così irreali da sfiorare spesso il ridicolo. You, insomma, rientra nell’ampio spettro della serialità trash. Perciò, difficilmente ci si sarebbe aspettati di vederla pian piano evolversi in un racconto solido e tutt’altro che banale.
In pochissime parole, You spiega in modo molto autentico come funziona una relazione abusiva. Ma anziché limitarsi a mostrarlo, ha la rara qualità di riuscire a farne provare sentimenti e sensazioni.
La sua storia è stata adattata da Greg Berlanti e Sera Gamble dall’omonimo romanzo di Caroline Kepnes. Il protagonista invece è Joe Goldberg (Penn Badgley), un giovane libraio newyorkese mite e riservato. Per intenderci, uno di quei personaggi che le eroine delle commedie romantiche snobbano perché troppo puliti, prima di innamorarsene nel lieto fine. In effetti, You non ha l’aspetto freddo e tetro della solita serie tv thriller. Per calore e colori ricorda più una classica commedia romantica. La piccola differenza, però, è che Joe ha l’abitudine di non stare ad aspettare. Una volta scattato il colpo di fulmine, si adopera con tutti i mezzi necessari a forzare il corso degli eventi e a costruire una perfetta storia d’amore.
Al contrario di Joe, la serie non ha alcuna fretta. I suoi episodi – finora 20 divisi in due stagioni, di cui una trasmessa in America dal network Lifetime e la successiva rilasciata da Netflix – sono una meticolosa cronologia dei tasselli che Joe posiziona per ottenere quel che vuole. Poco e niente di ciò che accade è casuale, infatti. E se talvolta si crede che lo sia, il racconto trova sempre il momento più adatto per rivelare che si è trattato di pura illusione.
Che la prescelta del protagonista sia l’aspirante scrittrice Guinevere (Elizabeth Lail) oppure la cuoca Love (Victoria Pedretti), le mosse di Joe seguono sempre il medesimo ordine: le nota, ne studia i profili social, le stalkerizza, fa in modo di imbattercisi e farsi credere la perfetta anima gemella, per poi iniziare gradualmente a isolarle. Non solo. Per distruggerne qualsiasi legame con il mondo esterno, ogni grado di spietatezza vale.
Tuttavia, nella ragnatela di Joe si rimane invischiati tanto quanto le sue vittime. Puntata dopo puntata, You applica lo stesso meccanismo manipolatorio nei confronti dello spettatore, iniziando già dalla scelta del suo volto principale. Il personaggio di Joe somiglia infatti a quello molto amato di Dan Humphrey, l’intellettuale solitario che lo stesso Penn Badgley interpretava nel teen drama Gossip Girl. Benché ci si senta sopraffatti dall’asfissia crescente provocata dalle sue ossessioni tossiche, si cade di continuo nella tentazione di simpatizzare per lui.
La scrittura di You impiega parecchie energie nel mantenere costante questo sentimento di ambivalenza. Per ogni detestabile abuso commesso da Joe, subentra subito qualche aneddoto narrativo che convinca riabilitarlo.
Joe non sembra un personaggio gratuitamente malvagio: è assolutamente convinto di essere l’uomo giusto per le donne di cui si infatua e, soprattutto, di doverle salvare dai fantasmi esistenziali che le tormentano. Questa sindrome da principe azzurro – o cavaliere salvifico – emerge dai suoi pensieri, che si affollano in sottofondo agli eventi della serie. Ma si intuisce anche dal suo istinto nel fare giustizia e nel proteggere chi crede sia più debole. Nella prima stagione, per esempio, Joe si prende cura di Paco (Luca Padovan), il piccolo vicino di casa maltrattato dal compagno violento della madre. Declinare Joe al ruolo di antagonista per distaccarsi una volta per tutte dalla sua ragnatela è quindi difficile, e nella seconda stagione si fa alquanto impossibile. Lui stesso diventa vittima di ossessioni altrui e qualche indizio sui suoi traumi d’infanzia inizia ad affiorare.
Il merito di You però non è soltanto la narrazione molto concreta dell’abuso. Ma anche del vizio che la società moderna ha nel romanzare autentici comportamenti molesti, spesso con buon aiuto di una lunga tradizione di racconti romantici. Un articolo del quotidiano online britannico «The Independent» lo spiega con un confronto efficace: nel film 10 cose che odio di te, Heath Ledger fa innamorare di sé la scontrosa Kat dopo aver fatto rovistare tra le sue cose a sua insaputa; cioè lo stesso espediente a cui Joe Goldberg ricorre ogni qual volta irrompe nelle case delle donne da cui è ossessionato. Se nel primo caso è l’intrusione è sempre stata percepita come perdonabile romanticheria, nel secondo se ne avverte invece la fastidiosa morbosità.
Costruita la sua cornice attraente da commedia romantica, You è molto brava a smascherarne di continuo i canoni classici per mostrarne tutta l’assurdità. Lo fa preferendo al moralismo un sottile, compiaciuto cinismo. Motivo per cui, insieme ai sentimenti ambivalenti suscitati dalla complessità umana dei personaggi, You si è elevata da potenziale e insapore prodotto del trash a una delle serie tv capaci di creare maggiore dipendenza nell’ultimo anno. Oltre che un ottimo invito ad alzare gli occhi dal cellulare, per chiedersi se nell’abitudine del curiosare intensivo tra le vite social altrui non ci sia già un piccolo principio maniacale.