Genitorialità memoria La doppia madre Michel Bussi

Genitorialità e memoria: “La doppia madre” di Michel Bussi

Quanto può trattenere la memoria di un bambino di tre anni e mezzo? Come può un bambino così piccolo dichiarare di non vivere con la sua vera madre e di averne addirittura due? Da questi interrogativi sconvolgenti, il francese Michel Bussi plasma la narrazione de La doppia Madre, thriller edito da Edizioni e/o.

Malone è il nome di quel bambino. Vive a Le Havre, cittadina portuale della Manica, ha poco più di tre anni e frequenta la scuola materna. Ed è proprio tra i banchi di scuola che il piccolo inizia a rivelare storie dal sapore particolare e incredibile, arrivando a dire che la sua stessa mamma (quella che ogni giorno lo porta a scuola, lo coccola e gli rimbocca le coperte) per lui non è sua madre, ma solo mamma-da. Storie che sembrano frutto di una fervida fantasia, soprattutto quando pullulano di luoghi altrettanto particolari. Malone descrive posti che sembrano inesistenti: parla di orchi, di navi dei pirati, di foreste, di razzi, di castelli e soprattutto del mare. Quel mare che in modo delicato e commovente pervade la copertina del libro. Al suo fianco c’è sempre Guti, uno strano peluche simile a un topo, che ogni giorno sembra capace letteralmente di parlargli e di raccontargli storie affinché lui non dimentichi. Ma cosa non deve essere dimenticato?

Alla luce di così tanti – forse troppi – racconti dettagliati, le maestre decidono di affidare la storia del piccolo a uno psicologo infantile, Vasil. Il terapeuta capisce subito che esiste fin troppa verità nei racconti del bambino e inizia così a scavare in una storia ampia, spigolosa, ma soprattutto al di là di ogni aspettativa.

Le memorie dell’infanzia non sono così stabili come quelle di una psiche totalmente formata e consapevole. Vasil è certo di dover combattere una lotta contro il tempo e contro la volatilità dei ricordi di Malone. Proprio per questo deciderà di chiedere aiuto direttamente alla polizia e, in particolar modo, a Marianne Augresse, ispettrice impegnata nel caso di una banda di rapinatori che ha svaligiato dei negozi griffati. Sebbene la rapina sia finita nel sangue, un bandito sembra essere ancora a piede libero, forse in possesso di tutta la refurtiva.
Sin da subito il lettore comprende che questi due filoni narrativi hanno in realtà un fil rouge comune. Sarà solo il flusso degli eventi e, soprattutto, la testimonianza del bambino a spiegarci nel dettaglio quale sia il legame tra i rapinatori e il piccolo.

Lo scrittore è abilissimo nel giocare con i suoi lettori; ci confonde, ci indica una pista, ci permette di rilassarci un attimo osservando le dinamiche della bizzarra compagnia di poliziotti guidati da Marianne o della sua strana amicizia con un personaggio che ci offrirà il coup de théâtre più potente dell’intero romanzo. Gli enigmi e le domande ci affollano la mente e inducono una forte tensione nella pancia. Si teme per il piccolo Malone, ci si affeziona alle sue storie e si attende l’esito della sua narrazione. Si rimane sbalorditi percependo la potenza del tema della maternità e le emozioni che esso porta con sé. Tutte le donne che compaiono nel libro ci parlano infatti a loro modo, e con il proprio percorso personale, di cosa voglia dire intimamente avere un figlio o temere di non riuscire a concepirlo per colpa dell’orologio biologico. La genitorialità femminile assume un taglio per certi versi persino egoista, prepotente, di contrasto a quella maschile. I padri che troviamo nel romanzo sono distratti o assenti, più concentrati sul loro vissuto personale e sentimentale che sull’estensione della loro famiglia.

Nonostante la potenza insita in tale narrazione e il mistero che pervade ogni singolo capitolo sin dalle prime pagine, Bussi non ci tedia e non ci appesantisce. Non esiste eccessiva cupezza, neanche nelle scelte permeate di sangue di alcuni personaggi. Ogni persona descritta è decisamente realistica, sfaccettata e limata, superando persino alcuni cliché e alcune tenerezze eccessive. Proprio tutti questi particolari ingredienti spingono il lettore ad avere sempre più fame della vicenda e ad avvicinarsi così, molto velocemente e quasi con nostalgia, a un finale dolce come l’infanzia.

Michel Bussi è ormai un autore di riferimento per il genere. Scrittore prolifico e dal quantitativo di vendite esorbitante, anche in La doppia madre riesce con abilità a risucchiare in un mondo vorticoso chi si appresta ad aprire le sue pagine. Nonostante il libro sia decisamente corposo, la vicenda si svolge in soli quattro giorni, scanditi in modo preciso e attento dall’orario che si erge come titolo di ogni capitolo. Il protagonista, infatti, descrive a suo modo e con un certo acume la posizione delle lancette sull’orologio (“Lancetta piccola sul due, lancetta grande sul sette”) dando una immagine concreta delle ore che scorrono. Con questa rapidità di contorno, Bussi ci catapulta subito nel bel mezzo della vicenda, senza darci troppe spiegazioni sul numero o la grandezza delle tessere del puzzle che da lì in avanti dovremo comporre.


FONTI

Michel Bussi, La Doppia Madre, Edizioni e/o, 2018

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