Federico Fabi è un cantautore romano di venticinque anni. Voce fuori dal coro che risulta quasi anacronistica, a metà tra la disillusione e la poesia, riesce a stupire grazie al suo timbro riconoscibile e ai suoi testi che raccontano la realtà in modo immediato, la scattano come se fosse una fotografia.
La sua storia inizia il 13 dicembre 2017 con l’uscita del suo primo EP, Io e me x sempre: otto tracce che raccontano l’amore con mille sfumature diverse. Riesce, allo stesso tempo, a essere delicato, struggente e incisivo. In Imparare a nuotare, per esempio, Federico ci aveva raccontato della sua disillusione nei confronti dell’amore.
Sarò io che l’amore non lo trovo utile,
Fa male alla salute, poi ti rende debole.
Con Minias, altro brano estratto dall’album d’esordio, Federico proietta il proprio ascoltatore direttamente nel suo mondo, un mondo fatto di paradossi: all’apparente calma piatta che vige nella vita dell’artista si contrappone un clima dominato da tempeste emotive placate, prontamente, da qualche ansiolitico.
E ancora, con Modi di fare l’artista ci racconta di una storia d’amore ormai finita, della quale rimangono solo dei ricordi legati, appunto, ai modi di fare dell’altra persona che, per quanto si sforzi, Federico non riesce a trovare in nessun’altra.
Questo primo EP è stato scritto e registrato da lui stesso in una cantina del quartiere Spinaceto di Roma. Il suo esordio, dunque, è rimasto legato alla sua città d’origine ma, nell’ultimo anno, Federico sta suonando in alcuni dei più importanti club d’Italia, facendosi conoscere anche al di fuori del contesto romano.
Nell’ottobre 2019 scrive Parka – primo pezzo in studio – uscito poi il 13 dicembre. In questa occasione, noi de «Lo Sbuffo» abbiamo avuto la possibilità di fargli qualche domanda.
L’intervista: la musica secondo Federico Fabi
La tua è una voce fuori dal coro nel panorama odierno giovanile. Non urli, ma spesso sussurri emozioni. Che rapporto hai con chi fa un genere diverso dal tuo?
Il punto è che cerco di non costringere la mia musica dentro un genere, anche se è difficile. Per me, chi scrive le proprie canzoni è semplicemente un cantautore. Poi che la maggior parte della scena del cantautorato italiano è definita “indie” è un altro discorso e ne prendo le distanze. La maggior parte dei ragazzi che scrivono canzoni sono ossessionati dall’idea di essere definiti indie, a tal punto da ostinarsi a chiamarsi con nomi di animali (se scrivi “cane” su Spotify esce fuori mezzo panorama italiano), o di medicine, o di qualche città triste sperduta nei meandri del mondo. Altra cosa che non sopporto è questa puzza di depressione che si sente a ogni angolo, io quando ho scritto le mie prime cose ero davvero messo male, ma è possibile che su dieci persone tutte e dieci scrivono della stessa merda? Mah. Almeno io quando ho iniziato a vedere che le cose per me andavano meglio ho preso la chitarra e ho scritto roba positiva, più o meno. Cioè la disperazione non è bella, non ti costringere a fare il poeta maledetto, appena vedi una via d’uscita prendila, buttatici a capofitto e tirane fuori qualcosa di bello, è deprimente farsi le seghe sulle proprie depressioni.
Sulla tua descrizione su Spotify hai scritto che non sai suonare e che “la voce è quella che è”. Troviamo invece la tua voce delicata e riconoscibile, per te è un limite o pensi sia un punto di forza?
Mio padre qualche tempo fa si avvicina e mi dice: “Ma tu ti rendi conto che qualche anno fa non prendevi mezza nota?”. Mia madre e mia sorella spesso, quando ero più piccolo e strillavo in cameretta, mi pregavano di smettere di cantare perché ero fastidioso per quanto stonavo. Non ho mai preso lezioni, poi crescendo, ascoltando musica, cantando in macchina con gli amici la mia voce si è aggiustata da sola. Quello che vorrei e che mi ha sempre divertito è cercare di toccare note altissime, tanto che quando passa Baglioni in radio mi sale la sfida (persa in partenza) e poi magari il giorno dopo mi ritrovo senza voce. Comunque passo dopo passo, nota dopo nota, qualche risultato lo sto ottenendo.
Nel tuo unico album, non presenti featuring. Ti piacerebbe collaborare con un artista in particolare?
No. In generale i featuring sono simpatici, ma se mi guardo allo specchio non vedo nessun altro al mio fianco.
In Parka parli di accettazione di se stessi. È raro che un ragazzo ventenne si accetti, come sei arrivato a questo risultato?
È che non ho vent’anni. Quando ne avevo diciassette è partito il dramma, la semi autocoscienza, realizzare dove ti trovi, con chi hai che fare, scindere tra male e bene e prendere parte. Diciamo che a venticinque anni la situazione si è un po placata e ho trovato risposta a qualche piccola domanda, e per adesso va bene così.
Da un anno sei fidanzato con una ragazza: Benedetta. Quanto è importante l’amore nella tua musica e quanto ti è d’ispirazione averla al tuo fianco?
La mia tesina al liceo iniziava così “Che l’amore è tutto, è tutto ciò che so sull’amore”, quindi fai tu. Sono un romanticone che si travestita da cinico stronzetto, e questa maschera tante volte prima di Benedetta ha funzionato con le ragazze. Poi con lei ho dovuto struccarmi e mettermi a nudo e il risultato è che ora sto vivendo il miglior momento della mia vita. Tra l’altro da quando sto con lei ho scritto belle canzoni d’amore, l’ultima è un valzer e non so neanche io come mi è uscito fuori. Lei è vitale, naturale, bellissima, è riuscita a farmi apprezzare i gatti, la verza e i The Lumineers, quindi direi che è un genio. Menomale che non sono fidanzato con la Yōko Ono di turno, sai che palle.
Modi di fare è la tua canzone più famosa, presenta più do 200 mila stream su Spotify. Perché pensi che questo brano sia arrivato più di altri al pubblico? Ti aspettavi questo successo?
Non ne ho idea, l’ho scritta inconsapevole del risultato che avrebbe ottenuto. È l’ultima tra le mie preferite e cantarla ogni volta è una fatica. Credo che vada molto perché più o meno tutti quelli che l’ascoltano ci si rispecchiano. Tutti tranne me, visto che attualmente sto davvero alla grande.
In Parigi si può assaporare la tua passione per i viaggi. Cosa ti ha dato questa città e più in generale quanto la tua musica viene arricchita dal viaggio?
Parigi è una canzone con uno scenario immaginario, un minestrone di ricordi e persone che ho conosciuto durante la mia vita. Ma resta il fatto che è la mia città preferita dopo Roma. Oltre il lato estetico, ci sono i parigini con quell’aria da maledetti e quella puzza sotto il naso che a me, come si dice a Roma, “me ce trovano”. Parigi è pane per i miei denti. E poi sì, viaggiare, viaggiare tanto, conoscere, assaporare, immagazzinare i profumi, impacchettare tutto e far brillare la bomba contro l’ignoranza.
La copertina del tuo album è in bianco e nero e molto minimal, e anche quella del singolo ha queste caratteristiche. Questa scelta ha un significato particolare per te e la tua musica?
Anche se non sembra, sul mio biglietto da visita c’è scritto Dr. Federico Fabi e quindi sì, sono laureato, precisamente in Graphic Design e tutta la mia estetica ovviamente è curata solo ed esclusivamente da me. Il mio gusto per il minimal penso che derivi dall’esigenza di mettere ordine e pulizia nella mia vita. Sempre dalla parte della semplicità. Less is more.
Sul tuo profilo Instagram metti in mostra la tua passione per la fotografia Quali somiglianze trovi con la musica?
Prima di tutto io scatto solo in analogico, a volte con l’usa e getta, altre con delle semplici automatiche. Nella musica sto cercando di fare la stessa cosa: solo suoni autentici, veri, registrazioni analogiche fin quando è possibile. E poi tutto diventa più interessante e romantico con un tocco di anacronismo.
In uno dei tuoi ultimi post su Instagram hai scritto delle bellissime parole riguardanti i tuoi ultimi due anni di carriera. Com’è stato far conoscere la tua musica in giro per l’Italia? Come è cambiata la tua vita?
È stato strano, spesso mi hanno fermato per chiedermi una foto, un autografo, o essere pagato per manifestare la propria arte… e io che pensavo che l’unica cosa che avrei firmato e pagato nella vita sarebbero state le multe. Ho conosciuto tante belle persone, mi sono divertito un mondo e soprattutto ho capito che è la musica occuperà una bella fetta del mio futuro. In questi mesi in cui ho smesso con i concerti e sono entrato in studio ho avuto una specie di depressione nostalgica dal pubblico, dalle situazioni, dalla musica dal vivo. Quando sul palco mi vengono i brividi, non vedo l’ora di tirare fuori la voce e iniziare a cantare.
https://www.instagram.com/p/B6AYwOno1yr/?utm_source=ig_web_copy_link
Insomma, di musica ma anche di romanticismo, di viaggi, di stonature, di delusioni, di felicità e di graphic design: questo è ciò di cui ci ha parlato Federico in occasione dell’uscita di Parka, di cui consigliamo l’ascolto. Intanto, gli facciamo un grande in bocca al lupo, il bello deve ancora venire.
Intervista e materiali gentilmente concessi da seitutto