Il Pacta Salone ha ospitato in prima assoluta nella stagione passata Yourcenar/Clitennestra, monologo che indaga le ragioni psichiche più profonde che hanno condotto la regina del mito al folle gesto. Produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi, il testo è tratto da Fuochi – Clitennestra o del crimine di Marguerite Yourcenar. Una giovane Yourcenar scrive una raccolta di prose poetiche, focalizzando l’attenzione su personaggi del mito. Clitennestra ha già compiuto l’assassinio, è colpevole e proprio per questo rievoca il passato in tutti i particolari, mettendosi a nudo davanti a un tribunale fittizio. Più volte, infatti, viene pronunciata la parola “giudizio”, come se la lunga riflessione fosse un tentativo di autodifesa. Il regista Paolo Bignamini spiega riguardo al personaggio:
Disvelata e protetta dalla raffinata parola di Marguerite Yourcenar, gioca con il paradosso, ci racconta l’incongruenza che cela il nocciolo dei sentimenti: un cuore ferito e sanguinante, ma sempre vivo e desiderante.
Il monologo non segue un andamento lineare. I passaggi dall’atmosfera onirica o famigliare a quella cruenta dell’assassinio sono veloci e inaspettati. Non è difficile credere che la donna sia in preda a sentimenti talmente contrastanti da biforcare la sua umanità.
La donna non è sola in scena. Clitennestra spesso scaccia fantasmi, parla con i morti. Sembra che, nei pochi momenti di lucidità, voglia ricordare il passato e rievocare le ombre che l’hanno condannata. Due volte, infatti, apre i cassetti sul fondale. All’interno ci sono oggetti simbolici: scarpe del marito, velo da sposa, una rosa… elementi quotidiani legati a istanti di vista passata. Clitennestra vuole aprire le porte alla sua memoria; lo fa consapevolmente, crede che questo sia un modo per espiare la sua colpa e perdonarsi. Così, per raccontare la dinamica dell’omicidio apre la finestra della coscienza e guarda il passato con gli occhi della mente.
La scenografia è piuttosto evocativa. Il bianco e il nero si alternano in una duplicità senza soluzione. La cassettiera sullo sfondo (il limite tra la coscienza e l’inconscio) è bianca. Bianco è anche il pavimento, come il vestito e il viso della donna. Il bianco del volto non è dovuto unicamente al senso di morte che sempre l’accompagna. Evoca, infatti, l’idea di una maschera neutra. Clitennestra, immersa così tanto nella coscienza e nei ricordi, perde l’estetica corporea e l’espressione fisica e visiva. Il contorno nero delle piastrelle e il vestito della donna conducono a un immediato sfasamento spazio-temporale. L’ambiente è moderno, il luogo non è la Grecia mitologica. Il bianco e il nero sono interrotti dal rosso, il colore del sangue, del peccato. L’alternarsi di bianco e nero, il desiderio di perdono e la caduta nei ricordi, è interrotto dalla coscienza della colpa, dal rosso della passione.
Bignamini in un’intervista:
Un viaggio nella Storia, durante il quale la scrittrice annulla o stravolge il concetto di tempo, consentendo alle sue eroine e ai suoi protagonisti di travalicare il contesto classico per schizzare verso di noi, in una commistione a tratti spaventosa di passato, modernità e contemporaneità.
Mito e storia sono compresenti nel personaggio di Clitennestra. Riferimenti alla classicità sono accostati a oggetti quotidiani, in un dialogo armonico e per nulla stridente. Clitennestra abbandona l’aura astratta del personaggio mitico per diventare una donna qualunque, cittadina di una società contemporanea. La sua sofferenza e la sua colpa parlano, così, a tutte le donne, se non per salvarle, per comprenderle almeno. Lo crede bene Bignamini, che spiega:
Una dimensione scandalosa ed estrema dei sentimenti, capace di destabilizzarci ma anche di portarci oltre noi stessi, per arrivare a comprenderci forse, in ultima analisi, a perdonarci.
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