Penso a me stesso come a un essere umano intelligente e sensibile, ma con l’anima di un pagliaccio, che mi costringe a distruggere tutto nel momento più importante.
Jim Morrison
Il Clown è una maschera. Un’identità costruita dietro una persona reale. Ed è questa la fonte della Coulrofobia, la confusione identitaria, che non permette di distinguere l’uomo dal mostro. La paura nasce in età infantile e può cementarsi con l’avanzamento degli anni, creando semplicemente anche solo una sensazione di disgusto alla vista. Artisti e scrittori sono stati in grado di esorcizzare la loro paura attraverso l’immaginazione, sviscerata in opere d’arte e romanzi. Ma non basta creare una realtà parallela per cancellare una delle fobie più diffuse al mondo.
La spiegazione scientifica
Da dove nasce la paura irrazionale dei clown? Gli psicologi parlano dell’effetto dell’Uncanny Valley (Valle Perturbante), dove la paura è creata da qualcosa che ci sembra estremamente reale. È tutta un’elaborazione mentale legata alla percezione del volto e dell’espressione. Semplicemente il nostro cervello non riconosce come naturale e veritiero ciò che vede. Tutto sembra estremamente irreale nei clown, a partire dal sorriso intagliato sul volto, fino agli sgargianti ed eccessivi outfit. Un sorriso artefatto e una parrucca artificiale creano uno stimolo nell’individuo, che lo invita a chiedersi se tutto quello che veda sia reale.
Contribuiscono inoltre alla natura coulrofobica le movenze del clown, così goffe e impacciate. Il suo continuo incespicare e avanzare altalenante verso lo spettatore hanno un che di inquietante, soprattutto se lo spettatore è un bambino. Questo mette in discussione il suo universo ludico, come se i giocattoli che di giorno prendono vita al tè delle cinque, di notte si ritirassero in soffitta, in una realtà oscura e conturbante.
Ciò spiega anche perché la paura dei clown sia spesso connessa alla pediofobia, ovvero al disagio creato dalla vista di bambole e marionette.
Il Clown come persona dietro la maschera
La paura dovrebbe quindi scomparire nel momento in cui si riconosce il ruolo della maschera. Quello di ricoprire un volto e di trasformarlo in mille altre facce, come racconta il dipinto The Laugh di Mark Bryan. Il volto del clown è quello di un mestiere antichissimo, a cui, in origine, è attribuito il termine coulrofobia, che indicava la paura dei clown e dei giocolieri di camminare sui trampoli. Mentre un tempo loro avevano paura del loro mestiere, oggi noi abbiamo inconsciamente paura di loro.
A tale paura ha voluto dare rappresentazione il fotografo Eolo Perfido, 43 anni, di Cognac, in Francia, con la sua raccolta Clownville. I soggetti dei suoi scatti? Clown in pensione, che hanno fatto del divertimento da festa la loro professione. Ora rimangono i loro volti immortalati in bianco e nero, lascito di un passato ormai lontano. Non c’è più il sorriso, non più i colori che accendevano il divertimento. I loro sguardi sono tristi, soffocati dalla pesantezza del cerone e del trucco. La visione dell’artista è quindi nostalgica e malinconica, anche se le espressioni da lui scelte sono indirizzate a incutere timore.
Il clown come ricordo di un’infanzia perduta
La prospettiva nostalgica sembra esorcizzare l’immagine orrorifica del clown. Data la sua natura umana, l’uomo mascherato diventa simbolo del momento di gioco in un’infanzia perduta. Non è più una creatura terrificante, ma una figura onirica, velata, quasi intangibile. Lo dimostra Igor Medvedev con i suoi soggetti dai connotati sfumati, evanescenti. I suoi clown sono abitanti di un’atmosfera fiabesca e circense, vicina al periodo rosa di Pablo Picasso. Si passa così dall’incubo notturno al gioco infantile.
Frammenti di memoria a lungo termine che ci appartengono e a cui siamo emotivamente legati, ma che rischiano di scomparire dietro il peso dei ricordi. Così come i clown di Medvedev, dai volti tristi e dai corpi dissolti in macchie di colore, come nei dipinti sotto la pioggia di Leonid Afremov. Allo stesso modo dell’artista russo, Medvedev fa sapiente uso dei giochi di luce e della brillantezza dei colori. L’atmosfera è magica e per un attimo, ci distoglie dalle nostre paure notturne. I clown diventano testimoni dell’infanzia, che lentamente si allontana lasciando posto all’età adulta. I volti di Medvedev non ci fanno paura, ci ricordano solo quello che non c’è più.
Il clown come creatura orrorifica
L’immaginario onirico, però, non sempre è clemente con il sognatore. Alcune volte è un pozzo profondo in cui si annidano immagini da dimenticare. Come quella dell’illustrazione di Seeming Watcher (o Xeeming), illustratore ucraino di cover di album metal. Nella sua opera Coulrophobia sembra che non si possa proprio dimenticare la paura del clown. Questo è ridotto a una creatura antropomorfa, a due teste e dai lunghi tentacoli. Riposa in un immaginario che rievoca il “Sottosopra” di Stranger Things, ovvero una buia e desolata landa, avvolta da serpeggianti tralicci dotati da vita e dominata dai mostri.
Perché il clown di Xeemer è un mostro sotto tutti gli aspetti, con la sola funzione di incutere timore per esorcizzare la paura. Vive in uno scenario da Silent Hill, dove un circo abbandonato diventa rievocazione dei peggiori incubi infantili. Solo che qui non compare James Sullivan di Monster & Co. e neanche, alla peggio, Freddy Krueger di Nightmare.
Qui c’è l’atmosfera terrificante di Stephen King. Puro Pennywise, accentuato nella sua componente più disgustosa, senza la raffinatezza estetica dell’ultimo film di Andrés Muschietti. Il Clown Ballerino si presenta così come una creatura mutaforma, trasformista, che vive nelle fognature cittadine e si ciba dei suoi abitanti a rotazione. La personificazione di una potenza distruttrice e divoratrice di ciò che la circonda.
Che cosa spaventa i bambini più di ogni altra cosa al mondo? E la risposta è stata: un clown! […] Così, ho creato Pennywise il Clown. Stephen King
Conclusione
Qual è, dunque, il lascito della coulrofobia? Non bisogna lasciare che la paura cancelli l’esistenza, che affondi nei timori più reconditi e irrazionali e se ne nutra indisturbata. Il clown non è il ritratto di una volontà famelica e distruttrice, ma è una maschera, che copre un volto umano. Un volto che ride e piange come ciascuno di noi.
La rappresentazione iconica è quindi la forma più efficace per cercare di affrontare una paura irrazionale, scontrandoci faccia a faccia con un’identità speculare alla nostra, solamente, nascosta dal cerone.