Il nome di Annie Ernaux è divenuto recentemente molto noto, soprattutto dopo il conferimento, nel 2016, del premio Strega europeo per il romanzo Gli anni. Ciò che caratterizza l’opera della scrittrice nata nel nord della Francia è il frequente ricorso a motivi autobiografici, affrontati senza cedere alla tentazione del sentimentalismo ma, al contrario, tentando di inserirli in un contesto storico più ampio per comprenderne le implicazioni sociali. Questi elementi sono presenti fin dai primi scritti dell’autrice. Un esempio significativo di tale impostazione è Il posto, scritto nel 1983 e pubblicato per la prima volta in Italia solo nel 2014.
Ne Il posto, Ernaux racconta la storia della sua famiglia concentrandosi sulla figura del padre, recentemente scomparso all’epoca della stesura dell’opera. Dalla lettura del breve volume, scopriamo che i genitori dell’autrice avevano umili origini e trascorsero la loro intera esistenza nella provincia francese, lavorando prima come operai e poi come commercianti. La vita della madre e del padre di Annie Ernaux, dunque, è sostanzialmente segnata da una perpetua lotta per il proprio “posto” nella società, dal timore di perdere il poco benessere guadagnato con fatica, e da un costante senso di inferiorità rispetto alle classi più agiate e acculturate.
Nel raccontare tutto ciò, Ernaux mantiene il suo consueto linguaggio piano, quasi distaccato, e lo fa spiegando le motivazioni di questa scelta stilistica. In quella che è quasi una dichiarazione di poetica, infatti, la scrittrice afferma:
Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a far qualcosa di “appassionante” o “commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io. Nessuna poesia del ricordo, nessuna gongolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo scrivendo ai miei per dare le notizie essenziali.
Ma non è solo la storia di un uomo ordinario a essere il fulcro di questa narrazione. Il vero centro dell’opera – e il vero dramma trattato in queste pagine – è forse il rapporto di quest’uomo con la propria figlia, e l’indagine del lento processo di allontanamento tra i due:
Volevo dire, scrivere riguardo a mio padre, alla sua vita, e a questa distanza che si è creata durante l’adolescenza tra lui e me. Una distanza di classe, ma particolare, che non ha nome. Come dell’amore separato.
Parallelamente alle vicende riguardanti il padre, Annie Ernaux fornisce informazioni sulla propria infanzia e educazione. È proprio l’istruzione a diventare una sorta di arma a doppio taglio; se da una parte costituisce il motore che permette alla giovane autrice di emanciparsi e compiere una scalata sociale, dall’altra proprio il suo ingresso nella classe borghese è ciò che marca una rottura con la propria famiglia. Divenuta una brillante studentessa, ammessa negli ambienti altolocati delle compagne di scuola, la giovane Annie si ritrova dapprima a vergognarsi delle proprie origini, del linguaggio dialettale parlato in famiglia, e poi a non essere più in grado di comunicare con loro, iniziando un graduale e irrimediabile allontanamento.
La scrittura, dunque, diviene una sorta di espiazione, di risarcimento a quell’uomo con cui era ormai divenuto impossibile comunicare: “Forse scrivo perché non avevamo più niente da dirci”. Ernaux ridà memoria al padre, e nel farlo gli restituisce anche la dignità e chiede implicitamente perdono per quel senso di superiorità che ha danneggiato il loro rapporto.
Con il raggiungimento dell’età adulta, Annie raggiunge una lucidità che le permette di comprendere i meccanismi sociali sottesi alla sua storia personale. E, finalmente, può cessare di vergognarsi di quel passato che aveva tenuto nascosto come un indicibile segreto, rompendo il riserbo mantenuto per anni. Ecco che, con grande consapevolezza, l’autrice trova il coraggio di ammettere:
Mi sono piegata al volere del mondo in cui vivo, un mondo che si sforza di far dimenticare i ricordi di quello che sta più in basso come se fosse qualcosa di cattivo gusto.
Ma i ricordi non spariscono completamente e, tramite questo breve romanzo, Annie Ernaux riesce a riportarli alla luce, dando prova di un fine spirito di osservazione e di una profonda capacità tanto di autoanalisi quanto di critica sociale. Dalla sua particolare posizione di distacco nei confronti di entrambe le classi prese in analisi nell’opera, Ernaux riesce a svelarne le paure, i pregiudizi, lo snobismo mascherato dall’accondiscendenza degli uni e i complessi di inferiorità nascosti dallo scetticismo degli altri.
Come spesso accade nelle opere dell’autrice francese, letteratura e sociologia si fondono, e l’ordinarietà di una vita acquisisce un significato di portata molto più ampia, una volta inserito in un preciso contesto storico e sociale. La situazione di Annie e di suo padre è quella di un moderno Mastro Don Gesualdo: l’emancipazione sociale rischia di provocare una sorta di isolamento. Privata della vicinanza dei suoi cari, Annie non si sentirà mai pienamente parte di quella classe che l’ha ammessa soltanto a patto di un suo tradimento delle proprie origini.
Il posto descrive un mondo ancora diviso in classi e il dramma umano di chi si trova nel mezzo, costretto ad accettare compromessi e sempre consapevole delle ipocrisie a cui dovrà andare incontro. Un mondo che, forse, non è lontano da noi quanto potremmo pensare, e che per questo motivo vale la pena cercare di comprendere.
Annie Ernaux, Il posto, L’orma, 2014