È l’ultimo dell’anno. Sono seduta al tavolo di un bar nel centro di Ferrara, chiacchiero con gli amici e mi scaldo sorseggiando una cioccolata. Ecco che si avvicina a noi all’improvviso un uomo di colore, alto, possente, i denti bianchissimi e una pila di libri in mano. Niente di nuovo: a chi non è mai capitato di incappare in qualche venditore di libricini sulla cultura africana? Non gli presto molta attenzione, mentre cerco qualche moneta da dargli. Lui mi porge un libro dalla copertina marrone: Il mio viaggio della speranza, di Bay Mademba. Dice, con un sorriso orgoglioso, di averlo scritto lui. Non so se credergli, ma compro il libro, quanto meno per liquidarlo in fretta.
Comincia così la mia avventura, dall’Italia al Senegal e poi di nuovo in Italia. 7 euro (un euro di sconto, giusto perché è Capodanno), sessantatré pagine da leggere tutte d’un fiato e una storia, quella di Mademba, che conquista dalla prima riga.
Dal Senegal all’Italia in cerca di fortuna
Quando ero in Senegal, a otto anni ho sentito pronunciare da qualcuno il nome dell’Italia; tuttavia il primo nome di un paese europeo che ho conosciuto è stato la Grecia. Il babbo di un mio amico lavorava sui pescherecci di armatori greci, i quali raccontavano delle cose meravigliose su quel che accadeva lassù in Europa.
Io mi immaginavo chi sa che, mentre, ora che ci vivo, vedo che la realtà è ben diversa dai miei sogni.
Le prime parole di Mademba fanno sorridere. Del resto tutto il libro, scritto in uno stile molto semplice, in un italiano a tratti sgrammaticato – come è tipico degli immigrati che incontriamo ogni giorno per le strade, giunti da poco nel nostro paese – è un ventata di freschezza.
L’autore cresce in un villaggio povero del Senegal, con otto fratelli e una madre rimasta vedova in giovane età di cui prendersi cura. A sedici anni esercita come falegname, poi come lava macchine, mentre sogna un futuro migliore, magari in Italia da dove, ogni tanto, riceve notizie da un fratello. Purtroppo non è facile raggiungere quell’Europa tanto sognata. Per questo Mademba decide di trasferirsi per qualche tempo in Costa D’Avorio.
Tuttavia, per quanto la Costa D’Avorio sia una nazione economicamente più ricca del Senegal, la vita è dura anche lì. Taglieggiato, ingannato più volte dai militari, il giovane africano non si arrende, ma tenta il tutto per tutto per espatriare. Il primo passo verso l’Europa consiste in un visto turistico per la Turchia.
Dalla Turchia hanno inizio poi numerose fughe a piedi, seguite da catture e mesi di prigione. Nelle pagine della propria biografia, Mademba racconta con lo sguardo e l’innocenza di un bambino la prima neve vista in territorio turco. Durante l’ennesimo tentativo di varcare la frontiera, Mademba e i compagni scambiano, ingenuamente, una campo innevato per una distesa marina.
C’erano dei nevichi che scendevano giù silenziosamente. Era uno spettacolo bellissimo. Dimenticai perfino il freddo per l’emozione. Perché la neve era una cosa che desideravo tanto vedere.
Non si abbatte mai, Mademba. Alto e possente, si impone sempre tra i compagni, che lo considerano come loro leader. Alla crudeltà delle prigioni di Istanbul, in cui è costretto a restare per due mesi dopo una cattura, Mademba reagisce con fede e mitezza. Del resto, la cultura senegalese si basa sull’insegnamento di Cheikh Ahmadou Bamba, capo spirituale fautore della non violenza, della moderazione e del rispetto.
Pregando Dio e rivolgendo il pensiero alla propria madre nei momenti più duri, Mademba riesce finalmente ad approdare in Europa. Prima un lungo viaggio in un minibus, stipato tra cinquantacinque persone, poi, la fatidica traversata della speranza verso la Grecia.
Di viaggi della speranza oggi ne conosciamo molti. Il giovane africano racconta il suo, conclusosi felicemente sull’isola di Rodi, in un campo profughi. Ma ci tiene a ricordare nelle proprie pagine anche i battelli affondati tra il mar Mediterraneo e l’oceano Atlantico, i corpi dei fratelli restituiti dall’acqua sulle rive delle Canarie.
Mademba trascorre sei mesi ad Atene, guadagnandosi da vivere vendendo maschere africane e sculture in mogano di animali, dopodiché decide di fare rotta verso l’Italia, il paese dei sogni.
“Eccomi in questa bella Italia, cosa dovrò fare non lo so”
Quando Bay Mademba giunge a Pisa, è un clandestino. Senza diritti, ma tanti doveri in più, l’autore deve reinventarsi. Non sa che mestiere intraprendere, ma di una cosa è certo:
A me piace parlare con la gente, stare in mezzo alle persone, scherzare con tutti, imparare e insegnare le cose. Ecco, io ho una vera passione per il genere umano: sono curioso, avverto che l’incontro con l’altro mi arricchisce e mi dà gioia.
Mademba viene a conoscenza di cooperative dove è possibile acquistare e rivendere libri africani. Comincia a vendere libri per le strade, ottiene a poco a poco un contratto di collaborazione stabile con una casa editrice. Si mette in contatto con la mamma, con i fratelli, si sente felice e in qualche modo utile al prossimo perché vendere libri è per lui come gettare un seme che possa crescere. Il lettore, che ha seguito Mademba fino a Pisa, scopre nelle ultime pagine della sua biografia un uomo nuovo, ottimista, innamorato della vita.
L’autore ci regala qualche aneddoto e riflessione sui suoi giorni in Italia. Ci sono gli incontri, con la signorina Laura, una nonna che scrive favolette in francese; con David, studente pisano di cui diventa presto amico. Silvia e Stefano, che gestiscono un bar e regalano colazioni e sorrisi. Non mancano poi i pregiudizi, gli insulti razzisti, che Mademba riceve sia da giovani italiani che da coppie più anziana. Pregiudizi che ritiene frutto di ignoranza e a cui non risponde mai con parole d’odio, nonostante l’immancabile amarezza.
Noi abbiamo la cultura dai nostri genitori, che rimanda costantemente al rispetto assoluto per l’essere umano.
La solarità e l’assoluta fiducia nella bontà umana di Bay Mademba ci possono insegnare molto. Il libro invita a riflettere chi, come me, avrebbe voluto trascorrere un pomeriggio in un bar di Ferrara senza essere interrotta da un venditore di libri.
Tante volte non riesco a prendere sonno perché penso a casa mia laggiù. Sono quattro anni che manco. Penso alla mia mamma e mi chiedo che succederebbe se io non facessi in tempo a rivederla prima che muoia.
Quello verso il Senegal però, dove la casa è il mondo, le persone entrano, escono e parlano, è un viaggio che ancora non è possibile intraprendere.
Bay Mademba, Il mio viaggio della speranza. Dal Senegal all’Italia in cerca di fortuna, Giovane Africa Edizioni, 2011