La testa di mia moglie

Mia moglie dorme, la guancia destra appoggiata contro il cuscino, le palpebre che fremono di tanto in tanto come percorse da un brivido, la rima inferiore leggermente arrossata, il respiro lento e regolare e la mano sinistra, e l’anulare con la fede dorata, abbandonati accanto al volto.

Cosa stai sognando? Cosa stai vedendo? Cosa sta succedendo dietro a quelle tempie e a quelle palpebre?

Le passo una mano tra i capelli e lei si muove lentamente emettendo un piccolo gemito. Mi tiro indietro, mi allontano, resto inginocchiato per terra sulla moquette, accanto alla sponda del letto a osservarla.

Dicono che se fissi per un certo tempo una persona che sta dormendo riesci a svegliarla. Dicono che se qualcuno ti fissa mentre stai dormendo il tuo cervello se ne accorge e tu ti svegli.

A cosa stai pensando? A chi stai pensando?

La testa di mia moglie. Questo cranio dalla forma perfetta, di cui Lombroso non sospetterebbe nulla, perfettamente ovale e coperto di lunghi e folti capelli scuri.

La testa di mia moglie. È qui dentro, è tutto qui dentro.

La testa di mia moglie. Se solo potessi sapere.

La giornata è iniziata male. Mi sono svegliato da un incubo, singhiozzando senza lacrime, annaspando.

L’ho vista accanto a me, ancora addormentata, il braccio destro sotto al cuscino, la spallina della vestaglia morbida sulla spalla tornita, i capelli scuri sparsi sulla federa bianca come una macchia di terra.

L’ho guardata con odio. Nel sogno la vedevo, nuda, avvicinarsi a un altro uomo che non conoscevo.

Ti odio. Ti odio. Ti odio.

Le ho passato una mano sulla fronte.

Ti odio.

Ci siamo guardati in cagnesco per tutto il giorno, dalla colazione alla cena; mentre lei scriveva i suoi articoli e ogni tanto sollevava lo sguardo dal computer, mentre io finivo un preventivo seduto al tavolo della cucina, mentre lei piegava i vestiti, mentre io mi spogliavo per buttarmi sotto la doccia.

Non ci siamo parlati, tranne per qualche frase di circostanza, tu cosa mangi? Io mi faccio una pasta. Finisco un pezzo di arrosto. Vuoi il caffè? Esco un attimo in giardino.

È stato quando sono uscito in giardino che mi è venuta l’idea. Ho aperto la porta dello sgabuzzino degli attrezzi e mi sono voltato.

L’ho guardata, lei dietro al doppio vetro della finestra mentre andava avanti e indietro in cucina per sparecchiare e lavare i piatti, con i capelli raccolti in una coda di cavallo che le lasciava scoperto il lungo collo bianco.

Insieme al sacchetto di terra che mi serviva per trapiantare le ortensie che ci avevano regalato i vicini di casa ho preso anche un martello.

Mentre lei si stava lavando i denti mi sono appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto.

-Sei sicura di non dovermi dire nulla?

-Certo, perché?

-Sai, la storia di Simone

-La sai la storia di Simone, te l’ho già raccontata

L’ho guardata sciacquarsi la bocca con un bicchiere di acqua e sputare la saliva nel lavandino. Si è slegata i capelli e si è passata i polpastrelli sulle tempie chiudendo gli occhi.

Cosa c’è dentro quella testa? Cosa c’è che io non so? Di sicuro qualcosa. Dimmelo. Dimmelo.

-Vado a dormire, buonanotte

La testa di mia moglie. Se non vuole dirmelo con le buone l’unica cosa che posso fare è prendermelo con le cattive.

Sono sicuro che quando avrò aperto quel cranio perfetto tutto quello che devo sapere verrà fuori, e io potrò finalmente vivere in pace. Ne sono sicuro. È solo una cassaforte da scassinare, una scatola da aprire, un barattolo, una tomba, un pozzo chiuso, una botola senza serratura.

La testa di mia moglie. Prendo il martello.

Colpisco forte, più forte che posso.

Pensavo che i segreti, le cose che mi aveva nascosto, le cose che dovevo assolutamente sapere sarebbero fluiti verso di me come una scia di vapore, mi avrebbero investito e mi avrebbero fatto finalmente respirare.

Pensavo che la verità mi avrebbe inondato come una boccata di ossigeno.

Pensavo che la storia di Simone sarebbe saltata fuori in tutta la sua nitidezza e tutti i pezzi si sarebbero rimessi al loro posto.

La verità è che mi sono ritrovato con la testa di mia moglie spappolata sul cuscino, cervella, sangue, fili scuri, poltiglia giallastra, gli occhi distrutti, le ossa rotte, la cartilagine piegata, e quel bel volto distrutto.

In piedi dietro al banco degli imputati non riesco a pensare ad altro.

La testa di mia moglie.

Volevo solo sapere. Volevo solo la verità. Era tutta lì dentro la verità.

Ho spaccato la testa a mia moglie con undici colpi di martello.

A chi stai pensando? A chi hai pensato?

Ora lei non pensa più e io mi avvio verso il mio ergastolo.

Credits immagine – Pixabay

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