Calcutta, pseudonimo di Edoardo D’Erme è un cantautore italiano nato a Latina nel 1989. Inizia a fare l’artista nel 2007, per poi fondare nel 2009 il duo Calcutta, nome senza un particolare riferimento o significato, che ha mantenuto anche dopo l’abbandono dell’altro membro. Il suo primo album Forse… non arriva al grande pubblico, ma l’artista pubblicherà poi un altro EP chiamato The Sabaudian Tape (2013).
Mainstream
Il successo arriva nel 2015, con il suo secondo lavoro: Mainstream, in collaborazione con Marta Venturini e Niccolò Contessa de I Cani.
In particolare, il primo estratto dell’album, Cosa mi manchi a fare, entra nel cuore di molti che si stavano avvicinando all’indie proprio in quel momento. Un pezzo dalla melodia allegra, ma che nasconde un testo malinconico e un ritornello inaspettatamente triste:
E non mi importa se non mi ami più.
E non mi importa se non mi vuoi bene.
Dovrò soltanto reimparare a camminare.
Dovrò soltanto reimparare a camminare.
Se non ci sei tu, uh.
Di questa traccia diventa iconico anche il video che vede un bambino, probabilmente nella periferia di Roma, mentre canta tutta la canzone davanti alla telecamera, trasmettendo un senso di abbandono e di disagio molto forte.
Le altre hit di Mainstream sono sicuramente Gaetano, Frosinone e Oroscopo, quest’ultima scritta in occasione della nascita del figlio del frontman dei Pop X, Davide Panizza.
Evergreen
A dicembre 2017 esce un nuovo singolo dal titolo Orgasmo, seguito poi da Pesto. Entrambi entrano in rotazione nei palinsesti delle maggiori radio italiane. La copertina del singolo, tra l’altro, è squisitamente trash, come il video di Cosa mi manchi a fare.
Il 16 maggio 2018 esce la sua canzone più famosa: Paracetamolo. Così, Edoardo non è più un artista di nicchia ma entra definitivamente nei cuori del grande pubblico. Nove giorni dopo esce l’album Evergreen, grazie al quale, ad agosto dello stesso anno, farà sold out all’Arena di Verona. Il nome è azzeccato: sembra suggerire che le sue parole siano sempreverdi e, in effetti, difficilmente diventeranno anacronistiche.
Calcutta e l’indie
Nonostante abbia dichiarato più volte che l’indie è ormai morto, Calcutta è conosciuto a livello nazionale proprio perché è stato il primo autore paladino di un genere che stava crescendo in Italia insieme a lui, genere che si discostava un po’ dal pop e che racchiude un eterogeneo gruppo di artisti.
Indie, del resto, significa “indipendente” e non identifica un genere specifico (infatti, racchiude anche il rap, per esempio). Effettivamente, l’indie ha perso la sua caratteristica principale: essere per pochi, musica di nicchia con pochi ascoltatori affezionati. L’indie è diventato ormai pop.
Sicuramente, negli anni, Calcutta si è evoluto, senza però mai snaturarsi. I testi sono rimasti gli stessi di sempre, a volte addirittura al limite del nonsense. I suoi pezzi, oltre a rimanere in testa, riescono a trasmettere un senso di inadeguatezza impagabile. In Milano, per esempio, accosta la fine di una relazione alla sensazione che gli dava il capoluogo lombardo, dove ha vissuto per un certo periodo:
E scusa io non voglio fare male.
E scusa, sì che lo so che tu stai bene.
Ma Milano è una corsia di un ospedale.
E io stasera torno giù e ritorno a respirare.
Anche in Natalios (contenuta in Mainstream +) l’autore si trova da solo e si sente abbandonato durante la notte di Natale:
Ventitré e cinquantanove,
Le luci in chiesa vanno via.
Ma dove sta la vita mia?
Quindi un’immagine non convenzionale del Natale, che dovrebbe essere un momento di festa dove tutti i problemi si fermano per un attimo, mentre si è impegnati a tagliare il panettone circondati dai parenti.
La figura di Calcutta è sicuramente peculiare: non usa particolarmente i social, non rilascia tante interviste, realizza pochi featuring e non è un animale da palcoscenico: quando si assiste a un suo concerto c’è poco più che la sua voce.
I testi
Calcutta è spesso criticato per i suoi testi, in quanto sono apparentemente di difficile comprensione e sembrano non avere senso. In Saliva canta:
Tu sei una donna per me,
Nel senso che per me tu sei una donna.
Ma i suoi testi funzionano perché raccontano sprazzi di vita quotidiana, di una generazione che più di ogni altra si sente persa, con mille strade aperte, ma convinta di nessuna. Probabilmente proprio perché le possibilità sono troppe, ed è difficile scegliere quando potenzialmente si può avere tutto.
Calcutta piace a tutti: giovani e meno giovani, attratti dalle sue melodie semplici e da testi non ricercati. E no, non serve trovare chissà che metafora della vita nei suoi pezzi per capire che sono più di quello che sembra. Calcutta usa il non-detto, l’implicito che accorcia la distanza tra l’autore e il pubblico. Calcutta fa parte della generazione del quasi, ed è bravo a raccontarne i piccoli disagi quotidiani.