Matt devi farmi un favore. Vedrai una ragazzina con i capelli castani, spettinati, con tanti nodi; odia pettinarsi. Si chiama Sara. Ti prego potresti dirle che mamma ha trovato la scarpa rossa? Era sotto al letto. Abbracciala forte, dalle un bacio da parte mia e dille che mi manca moltissimo. Dì a Sara che è il mio angelo e che mamma è fiera di lei.
E dille anche che non mollo…
Non lasciatevi ingannare. Non lasciatevi ipnotizzare dallo straordinario comparto tecnico-fotografico della pellicola. Perché Gravity non è un semplice film sullo spazio. Non lo è mai stato e non vuole esserlo. Gravity è una storia d’amore, una storia semplice ma intensa. La storia di una donna, di una madre che vorrebbe soltanto poter riabbracciare sua figlia.
Bisogna ammettere una cosa: la vista da qui è unica.
Non basterebbe un articolo per raccontare in maniera soddisfacente della fotografia in grado di commuovere, dell’efficacia e della forza propulsiva di effetti speciali ai limiti dell’incredibile o della regia ispirata di un gigante come Alfonso Cuarón e del suo ormai leggendario piano-sequenza iniziale di tredici minuti. Eppure sarebbe forse tempo sprecato, un impedimento a cogliere il vero significato del film, celato dietro al magico silenzio del vuoto cosmico.
Realizzato nel 2013 e premiato con ben sette statuette, Gravity ci racconta la storia della dottoressa Ryan Stone, esperto ingegnere biomedico che affronta per la prima volta una missione nello spazio.
Assieme a lei sullo Space Shuttle Explorer c’è Matt Kowalsky, egocentrico astronauta ormai prossimo alla pensione e impegnato nell’ultima missione dopo una lunga carriera tra le stelle. Dopo pochi minuti dall’inizio, una violenta ondata di detriti, generatisi in seguito allo scontro tra un satellite e un missile, causa la distruzione della nave spaziale e costringe i personaggi di Sandra Bullock e George Clooney a una piccola odissea cosmica nel tentativo di tornare a casa. È l’inizio di un viaggio lontano dal mondo, eppure così terribilmente vicino all’angoscia che opprime il cuore della dottoressa Stone, la cui triste storia viene ben presto svelata.
Ryan è sola. Nessuno sulla Terra guarda le stelle pensando a lei. La sua unica figlia Sara è morta a quattro anni. Sono bastati pochi secondi. La vita ha perso di significato. A Ryan, colma di amarezza, è rimasta solo la gabbia di un’esistenza senza luce, in cui ogni giorno si rincorre uguale al precedente e le ferite di una madre faticano a rimarginarsi.
Ma il fuoco di Ryan è solo assopito. E La prima scintilla a donargli nuovo vigore scaturisce dalla tragica scomparsa del suo unico compagno di viaggio. A seguito di un ulteriore incidente nei pressi della Stazione Spaziale Internazionale i due protagonisti si ritrovano appesi a un cavo che non può reggere entrambi. E per la seconda volta nella vita, Ryan si ritrova impotente a osservare la morte negli occhi.
A nulla valgono le sue proteste e i suoi tentativi di trattenere l’amico. Matt sceglie di sacrificarsi per permetterle di salvarsi, mentre la sua calma e calda voce ricorda alla dottoressa che tutto questo non è mai dipeso e mai dipenderà da lei.
Non dipende da te. Ce la farai…
Ryan devi imparare a lasciare andare.
Rimasta definitivamente sola, Ryan ha un’unica possibilità di salvezza. Deve raggiungere la stazione cinese Tiangong 1 attraverso il veicolo spaziale Sojuz e da lì, con una navetta di salvataggio, fare rotta per la Terra. Il motore del Sojuz però non si attiva e la dottoressa, stremata e affranta, sembra volersi lasciare morire chiudendo l’erogazione dell’ossigeno.
Ryan smette per qualche istante di lottare. Forse chiedendosi se valga davvero la pena continuare a soffrire. Forse sperando di farla finita una volta per tutte e riabbracciare la figlia Sara.
Solo una proiezione di Matt – manifestazione allegorica del subconscio di Ryan – e le sue sagge parole di incoraggiamento riescono a donare nuova linfa vitale alla donna e a suggerirle la soluzione per raggiungere la base cinese.
Che senso ha andare avanti? Che senso ha vivere? Tua figlia è morta, peggio di questo non può capitare. Conta solo quello che farai adesso. Se decidi di vivere dovrai mettercela tutta.
Ehi Ryan… è ora di tornare a casa.
“Comunque andrà a finire non è stata colpa di nessuno…
Non lasciatevi ingannare. Gravity non è un semplice film sullo spazio. Professori, scienziati e numerosi studiosi si sono espressi negativamente nei confronti della pellicola, lamentandosi del mancato rispetto di leggi fisiche o rappresentazioni fasulle del mondo aerospaziale. Probabilmente illudendosi del fatto che una rappresentazione realistica del cosmo fosse il vero obiettivo del regista.
Ma Gravity non è questo. Gravity è la storia di una donna che ha trovato il coraggio di rialzarsi per affrontare quella stessa vita che l’aveva spezzata.
… perché in ogni caso sarà stato un grande viaggio”
Ryan ha ritrovato se stessa. È pronta a scrollarsi di dosso il peso di quel paradossale senso di colpa che ha lacerato la sua vita per troppo tempo. È pronta ad abbandonare il vuoto per tornare a casa. Dalla posizione rannicchiata a feto assunta a bordo della stazione internazionale, Ryan è finalmente pronta a rinascere.
Accompagnata dalle epiche note di Steven Price, la dottoressa emerge dalle acque in cui la navetta di salvataggio è atterrata e, stringendo tra le mani la sabbia della riva, si rialza a fatica.
Ryan ricomincia a vivere.
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