La finestra sul cortile occupa, nella già notevolissima filmografia di Alfred Hitchcock, un posto d’onore particolare. Pellicola tra le più celebri e apprezzate del Maestro, in essa il director londinese dà sfoggio di tutto il suo incredibile talento registico e compositivo, sviluppando un complesso discorso metacinematografico legato ai meccanismi della visione pur senza rinunciare, in parallelo, al racconto avvincente di una delle sue tipiche storie thriller.
La finestra sul cortile: Jeff (James Stewart) è uno spericolato fotoreporter che si è rotto la gamba nel corso di un rischioso reportage. Costretto per quasi due mesi su una sedia a rotelle, decide di passare il tempo osservando – o meglio, spiando – i suoi vicini di casa attraverso le finestre che si affacciano sul cortile del complesso abitativo in cui abita, nel Greenwich Village di Manhattan. Tanto è assorbito dall’attività di guardone che finisce per trascurare la sua incantevole fidanzata Lisa (Grace Kelly), sofisticata rampolla dell’alta società fin troppo elegante e perfetta per il più grezzo e avventuroso Jeff. Davanti agli occhi del fotografo, intanto, si spalanca un vero microcosmo umano in cui si intrecciano le più svariate storie: c’è la conturbante Miss Torso, ballerina classica che col fascino delle sue mosse sensuali attira lo sguardo invadente del protagonista; un compositore scapolo che passa il tempo alternandosi tra il pianoforte e le rumorose feste organizzate nel suo loft; una coppia di giovani sposini in preda alla passione; Miss Cuore Solitario, triste zitella che si immagina avventure erotiche destinate al fallimento. Infine ci sono i coniugi Lars e Anna Thorwald, e proprio su di loro si concentra l’attenzione di Jeff.
I rapporti tra i due sono tesi. Lei, costretta a letto, non perde occasione per criticare o deridere il marito, che dal canto suo sembra esasperato dall’atteggiamento della moglie. Una notte, Jeff è svegliato da un grido di donna proveniente dall’appartamento dei Thorwald. Una serie di indizi visivi (il viavai notturno di Lars, le sue misteriose telefonate interurbane, le tapparelle abbassate e la scomparsa di Anna) insospettiscono il fotografo e lo convincono che in quella casa sia avvenuto un terribile delitto. Ridotto all’immobilità, non gli resta che fare completo affidamento al penetrante potere del suo sguardo e all’aiuto dell’infermiera Stella e della fidanzata Lisa, dapprima dubbiose ma poi convinte dalle sue supposizioni. Chi invece rimane scettico è l’amico investigatore Doyle, che nel corso delle indagini smentisce una dopo l’altra le congetture di Jeff, fornendo spiegazioni razionali e convincenti per ogni apparente stranezza. La soluzione dell’enigma sarà ancora una volta legata ai meccanismi dello sguardo, ma il momento di massima tensione narrativa si raggiunge quando Lisa, con mossa audace e intraprendente, si intrufola nell’appartamento di Thorwald invadendo lo spazio ottico di Jeff; solo allora, finalmente, lui la vede per davvero.
La finestra sul cortile è una profonda indagine sulle potenzialità, i limiti e gli abusi che contraddistinguono la visione. Hitchcock sfrutta l’espediente narrativo della finestra – un topos che nelle arti visive risale indietro nei secoli almeno alle teorizzazioni di Leon Battista Alberti – per condurre un’indagine dettagliata sul regime delle pulsioni scopiche, sul voyeurismo portato all’eccesso e i suoi legami con l’erotico e il crimine, sul fascino e le trappole del piacere ottico. Lo sguardo di Jeff è un’intrusione violenta e penetrante nelle vite private delle sue inconsapevoli vittime, ma allo stesso tempo si rivela anche visione positiva in grado di svelare un crimine. La vista del protagonista è amplificata da alcuni dispositivi che ne accrescono la portata: prima un binocolo, poi il teleobiettivo della sua macchina fotografica, di cui fa un uso “eretico”, non per immortalare immagini fisse ma per assistere al flusso della vita in movimento.
La finestra è uno varco aperto che non può resistere all’invasione visiva del protagonista; eppure, accanto a essa trovano posto una serie di apparati che fungono da ostacoli, producendo il gioco di trasparenze e opacità su cui si regge il film: muri di mattoni, cornici e tapparelle sono strumenti al servizio del pudore contrapposti alla sfrontatezza di Jeff, ma vengono magistralmente usati da Hitchcock anche come meccanismi narrativi. Angoli ciechi, luci spente e tende abbassate si oppongono allo sguardo e al reperimento degli indizi visivi, complicano l’interpretazione ed esasperano la tensione nei momenti in cui l’azione raggiunge il suo acme.
La finestra sul cortile è, infine, una grande metariflessione sulla natura e sul funzionamento del cinema. Il protagonista Jeff è insieme regista e spettatore. Può scegliere dove volgere lo sguardo e persino dirigere il comportamento dei suoi vicini, ma allo stesso tempo è relegato al di qua dello spazio d’azione, costretto ad assistere impotente a quanto avviene sul palcoscenico delle finestre. Queste moltiplicano e frammentano il singolo schermo della sala cinematografica, producendo effetti inaspettati e sorprendenti. Gli eventi si dispiegano non più su una sola superficie, ma su due, quattro, sei addirittura: al principio filmico di sequenzialità si affianca allora il carattere inedito della simultaneità. Hitchcock, nella sua indagine sulla visione, finisce per trascendere i limiti stessi del cinema.
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