Per capire l’importanza delle relazioni primarie (le prime esperienze di relazione che il bambino fa con gli adulti di riferimento), è utile partire da un celebre esperimento.
Verso la metà del secolo scorso lo psicologo Harry Harlow studiò i cuccioli di scimmia Rhesus per capire i loro bisogni. Mise i cuccioli di fronte alla possibilità di scegliere tra due surrogati di madre: una metallica, e quindi gelida al contatto, che però dava latte dalla tettarella, e una preparata in modo da risultare calorosa al tatto. Nonostante quella metallica desse il cibo per sfamarsi, le scimmiette preferivano passare tutto il tempo con l’altra, avvicinandosi a quella metallica per il tempo strettamente necessario a succhiare un po’ di latte.
Freud, e dopo di lui la psicoanalisi classica, in precedenza aveva sostenuto che la relazione con la madre fosse fondamentale per il bambino innanzitutto perché soddisfa il bisogno primario di cibo. Ma i risultati dell’esperimento di Harlow dicevano un’altra cosa. Un cucciolo ha primariamente bisogno di calore fisico e contatto costante, di sentire la madre (o una qualsiasi figura in grado di sostituirla) fisicamente vicina, verosimilmente per sentirsi al sicuro.
Su queste considerazioni si sviluppa il lavoro pioneristico di John Bowlby, che lo porterà a elaborare una teoria psicologica ancora oggi importantissima: la teoria dell’attaccamento. Bowlby era psicoanalista per formazione, ma allargò la sua prospettiva utilizzando spunti teorici provenienti dalla psicologia cognitiva, dalla cibernetica, dall’etologia e dalla biologia evoluzionista. La sua teoria dell’attaccamento vede nella qualità della relazione che il bambino instaura con i principali caregiver (chi si prende maggiormente cura di lui) nei primi tre anni, una delle variabili dello sviluppo psicologico sano o patologico.
In cosa consiste la teoria dell’attaccamento
Un legame è definibile di attaccamento innanzitutto se l’aspetto affettivo, e quindi speciale, non intercambiabile, predomina nella relazione. Un individuo ha un grande significato emotivo, esistenziale, per un altro.
Inoltre, rispetto ad altri legami affettivi, quello di attaccamento ha di specifico che nella relazione uno dei due soggetti ricerca sicurezza e conforto (perché ha paura, è stressato, si sente in pericolo). L’altro nel migliore dei casi è in grado di darglielo, accudendo e rassicurando in maniera adeguata.
Il primo legame d’attaccamento è quello tra il bambino desideroso di cure e il genitore che lo accudisce, ma la motivazione a cercare accudimento in situazioni stressanti rimarrà pronta ad attivarsi per tutta la vita.
Inizialmente, il bambino cercherà per rassicurarsi il contatto fisico con la madre (o con chi si prende cura di lui), per sentirla vicina e calorosa. Questo bisogno strettamente corporeo diventerà poi psicologico. Col passare degli anni l’aspetto decisivo diventerà come il bambino rappresenta dentro di sé la disponibilità all’accudimento della madre nei momenti di bisogno. Se Il bisogno è stato soddisfatto il bambino svilupperà un attaccamento sicuro.
Da cosa si capisce se il bambino ha sviluppato un attaccamento sicuro?
Dal fatto che avrà un equilibrato desiderio di esplorazione dell’ambiente, né eccessivo né iper-inibito. E in tutte quelle circostanze in cui avrà paura (e che quindi attivano l’attaccamento) sarà calmato dalla presenza del genitore, nei primi anni di vita, e, crescendo, dalla figura interiorizzata nella mente del genitore rassicurante, che proprio perché ormai interiorizzata funzionerà anche se il caregiver è assente.
Inoltre, la relazione bambino-caregiver diventa il luogo nel quale il bambino inizia, inconsapevolmente, a farsi un’idea di come funzionano le relazioni in generale. Crea dei modelli mentali che andranno ad influenzare, senza che lui se ne renda conto, il modo in cui interpreterà le relazioni future, e il modo in cui in esse si comporterà e avrà determinate reazioni emotive – specialmente in quelle in cui si attiverà di nuovo il bisogno di essere accudito.
In effetti, anche dal punto di vista emotivo, il bambino sviluppa la capacità di regolare i propri stati d’animo sulla base del rapporto col caregiver. È come se la capacità di regolazione emotiva del genitore, nell’interazione col figlio, diventasse il modello sul quale poi la maturazione emotiva del bambino si tara.
Si tratta di intuizioni importanti, poi confermate da esperimenti di grande valore dei quali parleremo. Dicono infatti una cosa che oggi agli addetti ai lavori appare abbastanza scontata ma mezzo secolo fa non lo era affatto, e per questo vale la pena ribadirla: lo sviluppo psicologico dipende in misura significativa dalla qualità delle relazioni di cui il bambino fa esperienza da piccolo.
Quali possono essere quindi le conseguenze negative di relazioni non sufficientemente buone nei primi anni di vita? Lo vedremo nella seconda parte.
FONTI
Camaioni L., Di Blasio P. (2007), Psicologia dello sviluppo, Bologna, Il Mulino
Caviglia G.(2016), Teoria dell’attaccamento, Roma, Carocci