Ricerca sul cancro, controlli gratuiti, sanità per tutti. Tre soli ingredienti, ma di grande rilevanza. Erano il mantra di Cesare Maltoni, oncologo faentino, classe 1930, che ha fatto scuola in fatto di prevenzione e cancerogenesi ambientale e industriale. Figura a cui la sanità pubblica nostrana e la sicurezza nell’industria chimica deve molto, ma che resta per lo più ignota al grande pubblico.
Un film biografico, Vivere, che rischio, lo ricorda e racconta, mettendo insieme interventi suoi e interviste ai colleghi.
Prevenzione e sanità pubblica
Arrivavano sul suo lettino uomini e donne per i quali il destino era segnato. Cosa poteva ormai fare per tumori allo stadio avanzato? Anzi, che senso aveva aspettare che arrivassero, questi tumori, e dover ricorrere alla chirurgia? Sempre se possibile e se ancora utile, ben inteso. Contro l’epidemia di cancro, diceva sempre, l’unica vera arma era la prevenzione.
Determinato, umano, di grande competenza, il dottor Maltoni non perse mai l’occasione per evidenziare l’importanza degli esami di screening. Una diagnosi precoce poteva e può salvare vite, dando vero margine d’azione contro la malattia. Alla donna di sessant’anni che chiedeva se poteva fare la sua prima mammografia nonostante non avesse sintomi, lui la incoraggiava: “Deve venire”.
Nel suo obiettivo visionario di una sanità pubblica accessibile a tutti, Cesare Maltoni trovò un valido quanto necessario alleato nelle amministrazioni locali, allora guidate dal PCI. Si inaugurò così un capitolo di eccellenza della sanità emiliana. Negli anni Sessanta nacque sotto la sua egida la prima campagna italiana di screening di massa, che fu anche prima in Europa per numeri: 125.000 furono le donne esaminate per il carcinoma mammario e ben 270.000 per il carcinoma della cervice uterina. Con un semplice pap-test si potevano evitare gli esiti peggiori.
Prevenzione primaria
Le battaglie del dottor Maltoni riguardavano anche la cosiddetta prevenzione primaria: l’eliminazione dei fattori di rischio a monte, cioè evitare la contaminazione degli ambienti di vita e di lavoro. Acuto osservatore e fortemente preparato, diede il via ad una serie incredibile di ricerche su circa 200 sostanze presenti nei processi industriali e in generale nell’ambiente di qualsiasi società industrializzata.
Dimostrò, tra gli altri, la cancerogenicità del cloruro di vinile, del benzene, della formaldeide, dell’aspartame, dell’amianto. Indagò costituenti, additivi e contaminanti dei prodotti alimentari, megacomposti industriali, farmaci chemopreventivi.
Progettò i primi studi sui rischi connessi alle onde elettromagnetiche a bassa frequenza (ad esempio l’uso del telefono cellulare), alle radiofrequenze e alle radiazioni ionizzanti a bassa dose.
Quella domanda – perché aspettare che arrivino i tumori? – si declina anche nel monito a ripensare i processi industriali, l’interazione con l’ambiente e il consumismo dilagante della nostra società.
Minacce
La scoperta del cloruro di vinile (CVM) come cancerogeno multipotente (cioè dannoso per più organi e tessuti) fu un fulmine a ciel sereno per l’industria chimica. A esso erano largamente esposti gli operai impiegati nella produzione del PVC (cloruro di polivinile, polimero del CVM), la materia plastica più versatile e nota. L’alta incidenza di cancro veniva così correlata alle condizioni inadeguate di sicurezza.
Non ci si aspettava questo tipo di ricerche e non si era preparati alla risonanza che ebbero. Dopo iniziali opposizioni, le aziende furono costrette ad innalzare i livelli di sicurezza e ridurre l’esposizione. Ma in seguito cercheranno di prevenire questi casi e il relativo clamore.
Fu così che l’industria chimica iniziò a istituire laboratori di ricerca propri, così da limitare la ricerca indipendente, e a fare pressioni. Dopo quella sul PVC, altre due battaglie videro il dottor Maltoni in prima linea, ma con il timore di serie ripercussioni. Gli studi sui rischi e la cancerogenicità di amianto e benzene, infatti, toccavano di nuovo gruppi industriali molto forti, con grandi interessi in gioco.
Arrivarono le minacce, compresa una busta contenente un proiettile.
Riconoscenza e isolamento
Accanto a tali episodi, il biopic mette anche in evidenza i risultati di tanta caparbietà a proseguire per un percorso giusto ma terribilmente impervio. Risultati non solo in termini clinici, ma anche e soprattutto umani. Non mancavano occasioni, infatti, in cui il dottor Maltoni si trovava a parlare di diagnosi precoce e dal pubblico si levava una voce: “io sono una delle donne salvate”.
La sua fama si diffuse particolarmente all’estero, ad esempio tra gli operai del settore chimico, riconoscenti del contributo che dava al miglioramento per le loro condizioni di lavoro. E poi telefonate, lettere, incontri di persona, per ringraziarlo. Di lui ci fu chi disse fosse irascibile e dispotico, e chi ne sottolineava il senso profondo del ruolo sociale della medicina. Quel valore tanto spesso dimenticato, accantonato, tanto da isolare chi lo rappresentava, anche all’interno della comunità scientifica stessa.
Con delicatezza, alcune scene del film toccano anche gli aspetti più intimi dell’oncologo faentino. Ad esempio, le lettere di alcuni amici, la casa in cui si aggira solitario, il tavolo coperto di giornali che titolano sulla morte di Pasolini. Al capo del tavolo sta un Cesare Maltoni ombroso e riservato.
Controcorrente fino alla fine
Questo volto umano completa il quadro di un uomo intensamente interessato al bene comune, ad una sanità pubblica che non lascia indietro nessuno, ad una società e un’industria che tornino a moderarsi perché siano davvero sostenibili per loro stesse. Cesare Maltoni puntò testardamente a tutto ciò che gli altri disattendevano: ricerca, prevenzione, cura del paziente.
Consapevole del valore della collaborazione nella ricerca scientifica, pensò di riunire quei già pochi scienziati al mondo che si occupavano del rapporto tra salute e qualità dell’ambiente. Istituì così il Collegium Ramazzini, un’organizzazione indipendente che li mettesse in contatto e organizzasse conferenze internazionali.
Facciamo venire il mondo a Bologna! Ma non per i tortellini, per la ricerca sul cancro!
Il suo ultimo atto – ancora una volta pionieristico – fu l’apertura del primo Hospice italiano per le cure palliative. L’Hospice Seragnoli voleva garantire al malato, anche terminale, vera dignità e qualità di vita.
Tutto ciò fu fatto nell’ottica non di arrestare il progresso, ma di limitarne l’impatto negativo sulla vita umana stessa. Il titolo stesso Vivere, che rischio tradisce questo suo obiettivo profondo di progresso sensato, tollerabile, non nocivo.
Il dottor Maltoni morirà a inizio 2001, lasciando un’eredità grande ed estremamente importante per un mondo in crisi ambientale e una sanità che arranca, lontana dai suoi ideali.
Vivere, che rischio (2019), un film di M. Mellara e A. Rossi
Airc
Istituto Ramazzini
La Repubblica