Soltanto l’intelletto maschile annebbiato dall’istinto sessuale ha potuto chiamar bel sesso quello dalla piccola statura, dalle spalle strette, dai fianchi larghi e le gambe corte. Sicché tutta la bellezza femminile deriva da cotesto stimolo.
Così Arthur Schopenhauer avanza il suo pensiero nei confronti del gentil sesso – più scrupolosamente chiarito ne L’arte di trattare le donne, saggio dello stesso filosofo. Misogino per eccellenza, il pensatore tedesco pone in primo piano l’inganno femminile e ragiona su come questo agisca negativamente sull’animo vigoroso dell’uomo. La donna – secondo la sua personalissima versione – non è altro che una creatura inferiore, incapace. Facilmente ingannabile e apprezzabile solo per il suo aspetto fisico.
In realtà, durante tutto il suo percorso di riflessione, Schopenhauer si contraddice continuamente. Se prima la donna era screditata per il suo modo di essere, nell’ultimo capitolo del libro si mette in luce il suo grande valore. Legato a ciò che questo comporta nella sfera dell’intero genere umano.
Un incessante cambio di rotta, un caparbio Odi et amo.
Dal Rinascimento a oggi: la donna nell’arte
Così come nell’ambito filosofico, ugualmente nel ramo artistico si assiste ad una totale estromissione della figura femminile. La donna era esclusa dalla società. E in quanto tale, doveva esclusivamente occuparsi delle sue mansioni domestiche. Null’altro.
Le convinzioni ben innestate all’interno della società permisero il deturpamento della donna e della sua rappresentazione artistica. O meglio, lo provocarono. Considerata da sempre il sesso debole, ha faticato ad imporsi come soggetto d’arte. O meglio, anche in questo caso non esiste una regola universale. Quanto piuttosto delle continue antitesi.
Ben sappiamo che durante il Rinascimento, periodo storico e artistico sviluppatosi tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna, la donna iniziò ad essere considerata quasi alla pari dell’uomo.
Una delle personalità più decisive e che diede continui stimoli alle arti fu Francesco Petrarca. Il suo amore per Laura è descritto accuratamente nel Canzoniere. La donna, ancora una volta, viene vista contraddittoriamente: ora contempla la perfetta immagine femminile; ora recrimina la sua spietatezza e noncuranza. Tutto ciò confluì nella sua visione pittorica.
Sandro Botticelli, nella sua Venere, ci presenta la bellezza spirituale femminile come forza trainante dell’esistenza umana. La donna in questione è vista come un amore platonico e mistico, a tratti irraggiungibile.
Qualche secolo dopo le cose cambiano radicalmente. Edouard Manet – con la sua Olympia – ci presenta la sua volontà di dar luce ad un aspetto femminile ancora poco valutato: la prostituzione. Prevedibilmente, l’opera ha suscitato non poco scandalo tra il pubblico.
Nonostante le pesanti reputazioni, Émile Zola ha riconosciuto la correttezza e schiettezza di Manet, nel descrivere una veritiera situazione nel mondo parigino. Le prostitute esistevano da tempo. Per quale motivo, dunque, non potevano essere dipinte?
La donna lavoratrice
Facendo un passetto indietro, possiamo prendere in considerazione la condizione di donna lavoratrice. Durante l’Ottocento, grazie anche ai continui rinnovamenti sociali, si sviluppa una corrente artistica conosciuta come Verismo. La sua principale competenza era quella di mettere in luce tutto ciò che fino ad ora si era tenuto nascosto o, perlomeno, oscurato.
Questa situazione non poté – ancora una volta – che influenzare profondamente gli artisti dell’epoca, i quali avviarono un filone interamente ideato al mondo contemporaneo: contadini, operai, manovali, cortigiane e prostitute divennero i soggetti preferiti.
L’aspetto sottomesso e trascurato della Filatrice di Gerolamo Induno, è un chiarissimo esempio dello stato in cui si trovava la donna in quegli anni. I colori, le luci, il volto spento della stessa, sono tutte peculiarità che accentuano ulteriormente la clausola nella quale questi soggetti dovevano vivere, anzi sopravvivere.
Il famosissimo olio su tela di Edgar Degas – Le stiratrici – stabilisce con ancor più evidenza il lavoro a cui erano sottoposte queste donne. Due i soggetti in primissimo piano, una delle quali non trattiene un palese sbadiglio, dato dalla debolezza e dall’estenuazione.
La donna. Essere etereo e demoniaco, spirituale e satanico, innocente e candido. Una continua lotta, che probabilmente non avrà mai fine. Neanche fra duecento anni, quando ormai la così designata misoginia avrà posto le armi, una volta per tutte.
In una società come quella di oggi, è difficile pensare che le cose un giorno si possano tramutare. La questione, però, resta aperta. E noi, giovani di oggi, dobbiamo dar possibilità al mondo di poter dimostrare il suo valore e le sue infinite possibilità.
Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società
(Rita Levi Montalcini).