C’è mormorio nella sala, non piena come ci si aspetterebbe, ma nemmeno vuota. Essendoci diversi posti liberi, alcune persone hanno deciso di sedersi in cima, per vedere meglio il film; ci sono tanti ragazzi giovani appena sopra il limite di età stabilito, ma anche diversi adulti. Dal trailer di Joker è difficile capire cosa aspettarsi esattamente, se non la storia rivisitata della nemesi di Batman, interpretata questa volta dal grande Joaquin Phoenix; il film è stato vietato ai minori in numerosi paesi, Italia compresa, per le scene di violenza e le tematiche trattate. Verrebbe da chiedersi cosa abbia reso necessaria la censura, e un po’ di paura c’è.
Mentre una voce fuori campo annuncia la situazione critica di Gotham, vediamo Arthur “Phoenix” Fleck truccarsi allo specchio per andare al lavoro, come tutti i giorni; di mestiere fa il clown a noleggio per il gruppo “Ha-Ha”, una compagnia di comici dei bassifondi. Durante quella che appare una normale giornata da figurante, Arthur viene dapprima deriso da un gruppo di ragazzini, poi attirato in un vicolo e infine pestato a sangue. Successivamente, accompagnato da una musica molto minacciosa, a tutto schermo compare il titolo: JOKER. Nessuno ride. Non è una barzelletta. Ormai è chiaro a tutti quello a cui stanno per assistere.
Non un cattivo
Conoscendo il personaggio di Joker, qualcuno si aspetterebbe la classica storia del ladruncolo caduto negli acidi della Ace Chemicals e diventato il Re del Crimine di Gotham City, ma non è così. Arthur non è un criminale, è una persona buona, onesta, che accudisce la madre malata e vive per far ridere gli altri. Ma Fleck non ride, non naturalmente almeno. E’ affetto da una patologia neurologica che gli fa scatenare improvvisi attacchi di ridarella sguaiata nei momenti di stress, cosa che accade praticamente ogni giorno.
Quando non lavora, Arthur studia i personaggi televisivi da cui prendere spunto per diventare un comico di successo, ma non ha sostanzialmente rapporti col resto del mondo. A parte il suo collega affetto da nanismo e la sua vicina di casa (Zazie Beetz), Arthur è un uomo solo e triste, il volto di una società sempre più divisa tra ricchi e poveri a causa dell’arricchimento di persone come Thomas Wayne.
Da qui in poi non è difficile immaginare “cosa” succederà, ma il “come” succederà.
Gli spettatori accompagnano questo lungo e periglioso viaggio in assoluto silenzio, testimoni di un cambiamento radicale che percorre la mente di Fleck fino a trasformarlo, appunto in quello che verrà conosciuto da tutti come “Il Joker”. Non si tratta, comunque, di una storia scontata; la quantità di colpi di scena è sufficiente a tenere alto il livello di attenzione, sebbene possa capitare più volte di alzare un sopracciglio di fronte ad alcune scene. Scelte volute in ogni caso, non tanto per confonderci, quanto per farci intuire la complessità di un personaggio come il protagonista.
La spirale
Onde evitare spoiler, ci limiteremo a dire che Joker è un film unico nel suo genere, ispirato ad altrettanti film che trattano la follia. Già dalle prime scene è possibile vedere chiari richiami a Taxi Driver (un caso la presenza di Robert De Niro nel cast?), ma anche Inception sembra aver ispirato la trama. Ciò che importa, è che per quanto il protagonista cerchi di uscire dagli inferi in cui si trova, la strada sembra decisamente in caduta libera e questo vale sia per Arthur, che per la società in cui vive. Mentre in strada si consumano scene di guerriglia, Fleck è sempre più scostante e imprevedibile, forse spaventato da ciò che vede, o semplicemente realizzato.
La violenza c’è, eccome; ma non bisogna considerare questo come un film splatter in stile Tarantiniano, ma piuttosto un mix tra Arancia Meccanica e, appunto Taxi Driver, in cui le colpe ricadono sia sui pazzi, sia sulle persone che tentano invano di curarli. L’iconico trucco da Clown è semplicemente il mezzo con cui nasce un’icona storica dell’universo DC Comics, andando via via a sostituire l’identità di Arthur Fleck con quella di Joker. Da questo punto di vista, Joaquin Phoenix è semplicemente maestoso.
Tanta improvvisazione
Per entrare nella mente del Joker, Joaquin Phoenix ha lavorato per mesi, studiando video desecretati di pazienti nei manicomi, e improvvisando tutte le scene che non avessero uno script fisso. Stando alle dichiarazioni di un tecnico delle luci, Phoenix ha improvvisato molto le scene in costume, specialmente nell’ultima parte.
Joaquin non entrava mai sul set dallo stesso ingresso, ed era molto difficile anticipare dove puntare le luci. Una volta è passato dalle finte finestre dietro De Niro e non c’era nessuna telecamera puntata lì. Conoscevo a memoria ogni singola battuta del set di Murray Franklin perché l’abbiamo girata tantissime volte.
Anche l’iconica scena sulla scala in cui Joker danza è stata frutto dell’improvvisazione di Phoenix, immagini impressionanti e inquietanti allo stesso tempo. La colonna sonora d’accompagnamento ricorda tanto un film degli anni ’80, scelta obbligata vista la linea temporale in cui si svolge la storia. I toni si fanno inevitabilmente gravi e profondi ogni qualvolta Arthur si trova a fare i conti con la solitudine.
Un’esperienza da ricordare
Per tutto il tempo trascorso in sala, le persone sono rimaste in silenzio. Nessuno chiacchierava, erano tutti incollati al megaschermo. Solo durante la pausa e alla fine della proiezione è stato possibile vedere in faccia qualcuno per comprenderne le reazioni. Alcune persone commentavano la pellicola a livello tecnico, elogiando gli angoli della telecamera e le inquadrature, altri parlavano del ruolo magistrale dell’attore protagonista. Altri ancora stavano a braccia conserte, in silenzio, con lo sguardo fisso.
Joker non è assolutamente un film facile, né tantomeno piacevole da guardare. E’ una storia lugubre e violenta senza alcun lieto fine, capace di scuotere con forza i pilastri del canone moderno in cui il cattivo finisce in prigione e i buoni vincono; no, non ci sono vincitori, solo vinti. In primis gli spettatori, che escono dalla sala del cinema bianchi in volto.
Proprio come Joker.
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