I modelli economici per la sostenibilità ambientale: futura realtà

Negli anni sono stati sviluppati numerosi modelli economici importanti per la sostenibilità ambientale, ormai fondamentale. Già nel 1972 venne commissionato al MIT dal Club di Roma un rapporto sui limiti dello sviluppo. Così poco tempo dopo Meadows e Behrens pubblicarono The Limits to Growth, una pietra miliare sul cammino verso lo sviluppo sostenibile. Il rapporto esaminò cinque fattori:

  1. Aumento della popolazione
  2. Produzione agricola
  3. Impoverimento delle risorse non rinnovabili
  4. Produzione industriale
  5. Generazione di inquinamento

Si giunse allora a un’importante conclusione:

il sistema globale della natura, fatto di risorse terresti ad incastro e in cui noi tutti viviamo, probabilmente non è in grado di sopportare i tassi attuali di crescita economia e della popolazione molto oltre il 2100, anche con l’avvento della tecnologia avanzata.

Queste conclusioni hanno portato negli anni a cercare di affermare un modello di società che sia sostenibile, in grado di soddisfare le esigenze senza compromettere i bisogni futuri. Ma ciò non è più sufficiente. Abbiamo bisogno oggi di un nuovo modello economico per limitare l’impronta ecologica, l’impatto dell’uomo sull’ambiente.
Da queste premesse hanno preso avvio i Sustainable Development Goals dell’ONU: 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030.

La blue economy

Questi obiettivi prevedono una necessaria transazione verso nuovi modelli economici, come la blue economy. La blue economy nasce nel 1990 con le teorizzazioni di Gunther Pauli, economista, scrittore e imprenditore belga. È un modello rigenerativo, resiliente, la cui base è fondata sulla mimesi dei percorsi evolutivi degli ecosistemi.
Pauli è conosciuto per essere il fondatori di ZERI, acronimo di:

  • Zero
  • Emission
  • Research
  • Innovative

Una rete internazionale di 3000 tecnologi ed economisti, intenzionati a sviluppare nuovi processi produttivi, i cui scarti possono essere recuperati, minimizzando così i danni all’ambiente e i costi. la scienza e il progresso diventano così non più mali da estirpare, ma termini da incorporare nello sviluppo e nel rispetto dell’ambiente. Termini poi ripresi nel Libro Bianco dell’Ambiente 1996:

Zeri sarà lo standard per l’industria del Ventunesimo secolo.

Come scrive Pauli in Blue Economy:

un’economia fiorente è essenziale per la sostenibilità, ma è anche vero il contrario. Senza una vera sostenibilità, nessun tipo di economia può continuare a funzionare.

Il principio ispiratore è quindi la mancanza di rifiuti, dato che ogni sottoprodotto è la fonte di qualcosa. Allo stesso tempo però diventa fondamentale la diversità, affinché il sistema produttivo si incorpori in quello naturale, trasformandosi in ricchezza.

La green economy

Nonostante i nobili propositi, la blue economy non è mai riuscita realmente a partire. Così, nel 1989 una relazione redatta da un gruppo di studiosi inglesi intitolata Blueprint per una Green Economy (Pearce, Markandya, Barbier) introduce un ulteriore modello, chiamato green economy. Modello che diventa molto importante nel 2008, data la crescita controproducente che stava caratterizzando il periodo.
Si tratta di utilizzare un nuovo processo, un nuovo sistema gestionale attraverso cui conseguire una riduzione dei flussi materiali, del consumo di energia e dell’inquinamento.

Oggi la crescita verde è sempre più importante. L’UNEP la definisce come unica via percorribile per uno sviluppo realmente sostenibile. E sempre nella visione dell’UNEP, green economy vuol dire “ridurre la scarsità di risorse e le emissioni” e “prevenire la perdita di biodiversità”. Concetti poi confluiti nella politica europea con la frase:

fare più con meno.

L’italia si allinea solo nel 2015 con la legge n.221 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”.

Tutto si basa sulla eco-innovazione. Esempi importanti nel macro-mondo delle aziende sono sicuramente Mater-Bi e Matrix.
Mater-Bi, che con il brevetto Novamont è stato introdotto nella macro-famiglia delle bio-plastiche, è il risultato finale della lavorazione di elementi vegetali, quali l’amido di mais e polimeri biodegradabili, sia di origine fossile, sia di materie rinnovabili.
Matrix è  invece un progetto che si occupa di materiale ottenuto dal recupero delle scorie di incenerimento di rifiuti solidi urbani, recuperati grazie trattamenti fisico-meccanici senza aggiunta di reattivi chimici, noto soprattutto per essere un aggregato utilizzato per la produzione di calcestruzzo.

I lati positivi non si fermano alla sostenibilità ambientale. La green economy è inoltre finalizzata alla realizzazione di nuovi posti di lavoro, i cosiddetti green jobs. Questi sono fondamentali per uno sviluppo sostenibile e sono già presenti in parte in Italia, dove la maggior percentuale di lavoratori verdi è in Lombardia, con 82 mila unità (più di un quarto nazionale). Il Lazio invece ne conta solo 35 mila.
Le figure professionali più richieste sono l’informatico ambientale, l’economista ambientale, il tecnico meccatronico e il comunicatore ambientale.

L’Italia è al primo posto sia come numero di agricoltori – con titolo di perito agrario o di agronomo – con circa 48 mila aziende e 130 000 addetti, che per prodotti Dop, Doc, Igp e Stg (859 prodotti totali).

L’Economia circolare e la bio-economy

Un altro grande pilastro economico per la sostenibilità, pensato già nel 1970, ma affermatosi recentemente, è l’economia circolare. Ideata prendendo in considerazione i meccanismi di retroazione dei sistemi viventi, si basa sulla realizzazione di un sistema economico che emuli gli organismi viventi. Ogni sostanza nutriente deve essere riemessa nel ciclo. Il modello dell’economia circolare confluisce nel 2015 nel Pacchetto sull’economia circolare. L’anello mancante, incentivando, per mezzo anche di fondi strutturali, la transizione verso un nuovo modo di produrre.

La bio-economy, invece, si fonda sull’uso di bio-risorse rinnovabili del suolo e del mare e dai rifiuti per produrre. In questo ambito l’Italia si trova al terzo posto, dopo Germania e Francia, con un fatturato di 250 miliardi e 1700000 posti di lavoro, dai settori agricoli all’industria bio-farmaceutica.


FONTI

SCHRODERS, The Sharing Economy, Luglio 2016.

Fondazione UNIPOLIS (2015)- I Quaderni di Unipolis, Dallo Scherign Economy all’Economia collaborativa. L’impatto e le opportunità per il mondo cooperativo.

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