Forse per la bellezza e magia del romanzo, forse per la grandezza incommensurabile di Bulgakov, forse per l’impeccabile lavoro di attori e tecnici o forse l’insieme di tutte queste cose, Il Maestro e Margherita in scena al Piccolo Teatro è stato uno spettacolo straordinario. Un inizio di stagione scoppiettante dunque, all’insegna del mistero e della magia. Lo spettacolo, regia di Andrea Baracco, vede la partecipazione di un cast di attori stellari. Il Maestro e Margherita, romanzo capolavoro della letteratura russa del ‘900, rimase al centro dell’interesse mondiale per lo scandalo creato, ma anche per il fascino indiscusso trasmesso a generazioni di lettori. Un romanzo che lascia senza parole; apre le porte all’invisibile e cerca il contatto con le forze ultraterrene.
Baracco sceglie una messa in scena coerente al capolavoro di Bulgakov. Riprende infatti personaggi ed eventi, omettendo unicamente i riferimenti politici alla Mosca del primo ‘900. La riscrittura di Letizia Russo ha dunque privilegiato la Storia, l’intreccio delle vicende umane, che va al di là dell’esatta contestualizzazione storica. Ciò ha reso lo spettacolo più astratto a livello temporale, ma più comprensibile per gli spettatori. La trama è stata conservata anche nella sua duplicità. Il romanzo tratta infatti due vicende parallele, che si svolgono in spazi e tempi nettamente distinti. Accanto alla vicenda del Maestro e di Margherita, quella di Pilato. La regia di Bonomo chiarifica fin da subito il legame tra le storie. Il Maestro sta scrivendo un romanzo che ha come legame la vicenda di Pilato; la sua disfatta, e la successiva entrata in manicomio, è dovuta alla mancata pubblicazione.
La scenografia è piuttosto sobria nella sua maestosità. Le pareti del palcoscenico sono costellate da porte e ciò permette l’entrata in scena dei personaggi da punti diversi, senza il limite delle tradizionali quinte laterali. Inoltre la struttura scenica rimane fissa per tutte le ambientazioni dello spettacolo. Sono i personaggi, di volta in volta, ad apportare piccole modifiche allo spazio in modo da evocare luoghi e/o tempi differenti. Per esempio, durante il processo a Ieshua, un lungo tappeto rosso taglia lo spazio in diagonale. Ciò permette allo spettacolo di incrementare notevolmente il ritmo e la dinamicità, proprio perché sono i personaggi, e non i tecnici di scena, a modificare in continuazione lo spazio. Ciò consente allo spettatore di orientarsi bene all’interno della storia, nonostante l’intreccio non sia del tutto lineare. Baracco sceglie infatti, come nel romanzo, di alternare i due filoni narrativi. Questi si intrecciano sempre più, fino alla totale fusione.
Lo spettacolo si muove sul filo invisibile del grottesco. Tuttavia conserva una cifra stilistica di realismo, che rende personaggi e situazioni estremamente credibili. Un equilibrio complesso e instabile, ben gestito dal cast e dalla regia. D’altronde, come riprodurre il soprannaturale se non con mezzi espressivi eccentrici e surrealistici? Così i personaggi del Maestro e Margherita sono trasgressivi e ben marcati. A questo proposito, impossibile non menzionare Voland e il suo seguito. Straordinario Behemot, il gatto umanizzato. I corpi energetici e ben connotati degli attori conferiscono colore e carattere a tutti i personaggi del romanzo. Ciò consente una variazione tonale ed espressiva notevole, elemento indispensabile per un’opera che alterna turbinosamente il registro alto a quello basso, la tragedia alla commedia. Il regista Baracco afferma a proposito:
Basso e alto convivono costantemente creando un gioco quasi funambolico, pirotecnico, in cui ci si muove sempre sulla soglia dell’impossibile, del grottesco, della miseria e del sublime. A volte si ride, a volte si piange, spesso si ride e piange nello stesso momento. Insomma, in questo romanzo, si vive, sempre.
Il Maestro e Margherita, in effetti, parla di umanità. Il soprannaturale è onnipresente nella vita dell’uomo comune e il romanzo non fa altro che materializzare questo concetto. Un soprannaturale non sempre negativo o inquietante, come i riti misterici affermano, ma un compagno della quotidianità. Voland infatti è un Diavolo estremamente umano, quasi affettuoso. Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene. Così l’incipit del romanzo è una citazione dal Faust di Goethe. Voland, con un aspetto che rimanda a Joker, o al clown, opera a fianco dell’uomo per raggiungere il bene. Nella regia di Baracco la sua umanità è accentuata dal difetto fisico: è zoppo. Voland è debole e si commuove. Risulta dunque molto lontano dalla tradizionale iconografia del Diavolo, lontano dalla spietatezza e crudeltà che solitamente lo caratterizzano.
Margherita invece è ancora una bambina. Il suo carattere infantile è accentuato dalla veste bianca: una figura quasi angelica, che si contrappone ai lineamenti grotteschi di Voland. Durante il celeberrimo “volo del Sabba”, Margherita-strega conserva l’onestà e l’ingenuità della fanciullezza, volando su un’altalena. Voland e Margherita sono gli opposti che compongono l’universo: il Bene e il Male, l’Umano e il Divino. Essi sono il Tutto e il Nulla e la loro unione genera l’intero mondo. Tuttavia il romanzo tratta dell’amore eterno tra due mortali: Margherita e il Maestro appunto. La loro è la manifestazione d’amore più pura tra i mortali; è un amore salvifico, che conduce alla pace. L’opera apre così due scenari distinti, presentando due coppie imperniate nella figura di Margherita. La donna è quindi alternativamente creatura terrestre e celeste e l’interpretazione di Federica Rosellini mette in luce chiaramente questa ambiguità.
Il Maestro e Margherita è quindi uno spettacolo da vedere e rivedere, con l’attenzione e l’entusiasmo che si manifesta davanti a un’opera d’arte, o un evento atmosferico mozzafiato. Insomma nel suo complesso uno spettacolo da assaporare nei suoi più piccoli dettagli, da osservare con l’innocenza del fanciullo e la consapevolezza dello studioso.
CREDITS
Fotografia di Guido Mencari | www.gmencari.com