Un errore scientifico e un abominio sociale: così si intitola la pubblicazione di Gianfranco Biondi e Olga Rickards, i due scienziati che hanno scritto un appello per l’abolizione del termine razza. Infatti, come negli ultimi decenni l’antropologia biologica e la genetica hanno ampiamente dimostrato, il concetto tassonomico di razza non può essere applicato alla specie umana, l’Homo sapiens.
La Tassonomia
Nel Settecento il medico e botanico svedese Carl von Linné, italianizzato in Carlo Linneo, ha fondato la Tassonomia. La disciplina che definisce i modi di classificazione degli esseri viventi, la parentela e la loro storia evolutiva. E ha messo gli esseri umani, la specie Homo Sapiens, nella stessa famiglia tassonomica delle scimmie antropomorfe, gli ominidi o grandi scimmie. Come affermano i due autori, in un’epoca in cui culturalmente dominava l’idea che per l’essere umano si dovesse definire un regno tassonomico diverso da quello animale, Linneo è riuscito a:
superare il pregiudizio ideologico e ad interpretare compiutamente il ruolo di scienziato. E l’evidenza sperimentale ha consentito agli scienziati attuali di affermare che il concetto tassonomico di razza non può essere applicato alla nostra specie: in noi, la razza, è stata falsificata. Le razze umane non esistono e l’uso del termine è scientificamente errato.
La Razziologia
Fino alla metà del Novecento, prima della nascita della Genetica moderna, per analizzare la variabilità biologica negli esseri viventi veniva erroneamente utilizzata la Morfologia. La suddivisione degli esseri umani in razze, la Razziologia, nasce quindi dalla necessità di ordinare la variabilità morfologica osservata nella nostra specie. Questa variabilità non è però determinata dai soli geni, ma dall’interazione tra questi e gli ambienti in cui le popolazioni vivono, i loro rapporti ecologici. Perciò, le relazioni di parentela tra i diversi gruppi umani non sono affatto ricostruibili tramite la Morfologia. La diversità ambientale induce morfologie differenziate anche in presenza di rilevanti somiglianze genetiche. E solamente queste ultime possono chiarire il livello di parentela tra i popoli. La Razziologia è stata quindi costituita su base morfologica; e non è riuscita nel suo compito di fornirci il quadro della parentela tra le popolazioni umane, ma quello della condivisione ambientale.
Questa è la spiegazione teorica dell’affermazione: le razze umane non esistono. Un’asserzione che non intende affatto disconoscere la variabilità biologica che contraddistingue la nostra specie. […]
La vita esiste solo perché l’evoluzione ha operato scelte all’interno della variabilità. […]
Rifiutare il concetto scientifico di razza nell’uomo significa pertanto, e solo, che le diversità osservate non devono essere ascritte alla Tassonomia, di cui la razza è la categoria sottospecifica, ma all’Ecologia, che non include quel termine.
L’esempio del colorito cutaneo
Prendiamo in analisi il colorito cutaneo. In passato il tratto veniva rilevato tramite delle tesserine in ceramica di diverso colore. E visto che tra una tessera e l’altra c’era un vuoto, era possibile ordinare le popolazioni in gruppi discreti. Tramite la più recente Spettrofotometria, gli scienziati hanno invece potuto osservare che la distribuzione del colore della pelle nei popoli ha un andamento a campana e che le code delle campane di popolazioni diverse si sovrappongono. La sovrapposizione è una prova inconfutabile che è assolutamente impossibile separare in modo netto i vari gruppi umani in unità discrete, come si proponeva di fare la Razziologia. Ovviamente, possiamo comunque osservare un intervallo di variazione dei caratteri all’interno delle specie e delle popolazioni.
Senza quelle differenze che ci appaiono perfino grandi, non ci sarebbe la vita, perché non si sarebbe potuta sviluppare l’evoluzione.
La falsificazione scientifica del concetto di razza umana
Durante gli anni Sessanta del Novecento, gli scienziati Luigi Luca Cavalli-Sforza e Anthony William Fairbank Edwards hanno costruito un albero filogenetico dei rapporti parentali tra le popolazioni del mondo, utilizzando i tratti genetici. Per la Razziologia, la filogenesi morfologica avrebbe dovuto coincidere con quella genetica. Al contrario i due scienziati provarono che non solo non era così, ma che le razze europee risultavano più imparentate con quelle africane; in controtendenza rispetto alla credenza dell’epoca, che aveva spinto molti studiosi a considerare maggiormente imparentate le europee con le asiatiche e le africane con le australiane.
Dopo la proposta di alcuni modelli, che prima della nascita dell’Antropologia molecolare non erano stati verificabili, negli anni Ottanta del Novecento Rebecca Louise Cann, Mark Stoneking e Allan Charles Wilson hanno effettuato un esperimento che ha falsificato definitivamente tutte le teorie sulla divisione in razze.
L’esperimento
I tre scienziati hanno analizzato la variabilità presente nel DNA che si eredita per via materna, il cosiddetto DNA mitocondriale (mtDNA), in un gruppo di individui rappresentativi delle popolazioni di tutti i continenti. In seguito, hanno creato un albero filogenetico. All’interno dell’albero sono presenti due principali raggruppamenti, detti cluster. Il primo indica che l’evoluzione o nascita dell’Homo sapiens è avvenuta in Africa. Dall’Africa poi, sono avvenute tutte le migrazioni di gruppi di popolazioni verso altri continenti; e da lì, a contatto con fattori ecologici diversi, si sono evoluti nelle popolazioni conosciute.
Risolta la questione della nostra genesi, non rimaneva altro che risolvere la questione della maggiore parentela tra africani ed europei ed è stato dimostrato che ciò è dipeso dal fatto che i gruppi di Homo Sapiens che hanno colonizzato l’Europa sono emigrati dall’Africa dopo quelli che hanno preso la via dell’Oriente. Vale a dire che per un tempo più lungo gli africani e noi siamo stati un’unica popolazione, ecco il motivo della nostra più stretta parentela. Finalmente la nostra storia biologica era stata ricostruita e con essa erano venuti alla luce i reali rapporti di parentela tra le popolazioni ed erano stati falsificati il multiregionalismo e la razza.
E non da ultimo, la ricerca sperimentale ha dimostrato che la storia dell’Homo sapiens è una storia di migrazioni e contaminazioni genetiche. E conseguentemente, l’idea della purezza della razza, fonte di non poca brutalità, è stata anch’essa falsificata.
Lewontin e la variabilità genetica
Un secondo importante passo è stato compiuto nel 1972 da Richard Charles Lewontin, biologo e genetista statunitense. Egli ha infatti osservato che la variabilità genetica differenzia per il 90% circa gli individui della stessa popolazione. Perciò solo il restante 10% rende le popolazioni diverse le une dalle altre.
Questo significa che due persone di due popoli differiscono per il solo 10% in più di altre due dello stesso popolo. E quindi la frazione di variabilità genetica distribuita tra i gruppi (detta variabilità interpopolazione) è troppo esigue rispetto a quella presente all’interno di ciascuno di essi (o variabilità intrapopolazione) per consentirci di individuare quelle separazioni nette che la Razziologia aveva preteso di descrivere e secondo le quali presentare la nostra specie come un insieme di razze.
Tutti gli studi genetici successivi hanno validato quello fatto da Lewontin.
Definire confini genetici netti tra le popolazioni è impossibile. Perché questi o non esistono o sono talmente ridotti da non permettere di tracciare limiti di natura razziale, ma solo, al massimo, culturale o geografica.
L’Italia: il fascismo e la questione del meticciato
In passato le teorie della Razziologia non sono state semplicemente un modo scientificamente errato di ordinare la variabilità osservabile negli esseri umani. La razza si è trasformata in un alibi per definire gerarchicamente i popoli da un punto di vista intellettivo e morale. Durante il periodo coloniale, il regime fascista ha usato le teorie pseudoscientifiche sulla razza per giustificare l’antisemitismo agli occhi dell’opinione pubblica e per emanare direttive che contrastassero gli accoppiamenti misti durante la guerra di dominio coloniale.
Il tema del meticciato era così affrontato: le coppie miste sarebbero state sterili o avrebbero generato figli pervertiti psicologicamente e moralmente, danneggiando la purezza della razza italiana e favorendo gli africani, considerati inferiori per definizione.
Ogni scienziato non corrotto sapeva che gli accoppiamenti misti danno progenie vitale e feconda e che l’intera storia dell’umanità può essere sintetizzata nel susseguirsi di fusioni e separazioni di popoli.
L’uomo non può essere suddiviso in categorie discrete perché non esistono e non sono esistite popolazioni geneticamente omogenee o pure.
La nozione di razza, in conclusione, deve essere rifiutata.
Non solo perché è stata la causa dei gravi e infondati preconcetti razzisti che hanno portato alla scrittura di alcune delle pagine peggiori della storia dell’umanità; ma anche perché è un concetto che non possiede alcun valore scientifico utile ad analizzare la variabilità biologica della nostra specie.
G. Biondi, O. Rickards, “Un errore scientifico e un abominio sociale”, in Scienza & Società, 27/28, 2016, pp. 1-20.