Gli albini africani continuano a morire

Il mondo è un luogo rumoroso, sempre più interconnesso e globalizzato, ma ancora oggi perdura una strage assurda, silenziosa e spietata. Gli albini africani continuano a morire. In molti paesi del continente africano, infatti, specialmente in Malawi, Mozambico e altri Stati in cui la medicina tradizionale è ancora molto diffusa,  gli albini sono vittime di discriminazione ed errate credenze che, per molteplici cause, portano ad un vero e proprio omicidio di massa.

Gli albini nel mondo sono circa uno su quindicimila, pur variando da regione a regione, ma in Africa questi numeri si intensificano in maniera considerevole, infatti si stima che qui circa una persona su cinquemila sia affetta da albinismo. Si tratta di un’anomalia congenita dovuta alla mancanza, totale o parziale, dell’enzima tirosinasi, protagonista nella sintesi della melanina. Questa carenza provoca conseguentemente un’alterazione della pigmentazione nella pelle, negli occhi e nei capelli, causando così un aumento del rischio di tumori della pelle, ustioni solari ed altre patologie cutanee. Ma perché solo in Africa essere albini è così rischioso?

Innanzitutto un ruolo essenziale è giocato dall’ignoranza e dalle discriminazioni sociali e culturali che ne seguono. Per il colore della propria pelle, gli albini hanno maggiori difficoltà ad accedere all’istruzione e al lavoro e ciò comporta una carente se non assente conoscenza della propria condizione e della necessaria prevenzione medica dei rischi. Spesso possono svolgere solamente lavori manuali, come in campo agricolo, e questo causa una sovraesposizione ai raggi solari altamente dannosi per gli albini, che non utilizzano creme solari o protezioni e accorgimenti particolari. Inoltre, la scarsa conoscenza dei sintomi del tumore e delle altre malattie cutanee e l’esclusione discriminatoria dalle comunità sociali non permettono un corretto e tempestivo intervento medico, che spesso è tardivo e quindi poco efficace.

In aggiunta a questo, gli albini sono perseguitati e uccisi a causa delle più disparate credenze tradizionali, che generano un cinico, inumano e redditizio mercato nero. Se in alcune zone del continente gli albini vengono assassinati perché si ritiene che portino sfortuna, in altri territori le loro parti del corpo sono utilizzate nella medicina tradizionale e nei riti degli stregoni, in quanto considerati magici e fonte di successo. Le mutilazioni di arti, anche di bambini e minori, e l’uccisione degli albini per il commercio delle ossa e degli organi continuano ad essere diffuse, soprattutto in ragione del remunerativo macabro commercio. In un rapporto della Croce Rossa si stima che il corpo di un albino possa valere quasi 75000 dollari e, in paesi come il Malawi, dove la povertà è diffusa a macchia d’olio, a volte sono le stesse famiglie che vedono in questi commerci di uomini una possibile fonte di reddito. L’aggiunta di intermediari senza scrupoli e di veri e propri cacciatori intensifica il problema, che spesso viene poco affrontato dagli Stati nazionali.

I numeri sono impietosi e allarmanti. Secondo un dossier delle Nazioni Unite, il 98% degli albini africani muore prima dei 40 anni, di cui la grande maggioranza per tumori alla pelle. È necessario evidenziare che questo non succede negli altri continenti, dove quindi la durata media della vita degli albini è del tutto normale. Solamente dal 2014 ad oggi in Malawi sono stati segnalati più di 150 casi di uccisioni e mutilazioni ai danni di persone affette da albinismo, dati che non registrano gli innumerevoli episodi che accadono nelle zone più rurali e isolate del paese. Questa strage è aggravata dalla totale inefficienza dei sistemi giudiziari degli Stati in cui avvengono gli omicidi e gli attacchi, in quanto solo pochi casi vengono risolti positivamente e le indagini, quando ci sono, vengono svolte malamente e a rilento.

Gli interventi per porre fine a questo eccidio tragico sono diversi e, finalmente, negli ultimi anni sono in aumento. Nel 2018 in seno al summit dell’Unione Africana ad Addis Abeba è stato adottato il Protocollo sui diritti delle persone con disabilità che, insieme alla Carta Africana dei diritti umani e dei popoli, si prefigge lo scopo di eliminare le discriminazioni esistenti. L’ONU ha indetto l’International Albinism Awereness Day e ha adottato diverse risoluzioni volte ad intervenire in questa orribile vicenda. Queste azioni, spesso tristemente più formalistiche che realmente effettive, seppur in ogni caso utili e lodevoli, sono seguite da ben più reali ed efficaci realtà. In Malawi agisce APAM, un’associazione che per meglio difendere i diritti degli albini ha presentato candidati politici albini per elezioni presidenziali  e parlamentari del proprio Paese, così da poter attivamente intervenire nella politica statale e combattere falsi miti ed ignoranza discriminatoria.

Appare evidente che le migliori e più durature armi per sconfiggere definitivamente la piaga del traffico umano e delle discriminazioni legate all’albinismo siano essenzialmente due: cultura e istruzione. Sfatando le false credenze popolari che riguardano questa patologia si eliminerebbe del tutto la ragione stessa del commercio di ossa, arti ed organi degli albini che quindi scomparirebbe inevitabilmente. Inoltre un miglioramento dell’istruzione e una maggiore consapevolezza sanitaria eviterebbero la strage perpetua dovuta a mancanza di cure e di accortezze per evitare i rischi di tumore, come una migliore igiene e l’uso di creme ed indumenti protettivi.

Anche una strage così silenziosa, nascosta dietro coltri di ignoranza e povertà, può e deve essere affrontata, perché non è accettabile morire o essere mutilati per un’alterazione della melanina, per un diverso colore della pelle, dei capelli e degli occhi. Un albino africano muore quasi sempre prima di aver compiuto quarant’anni, vive in media metà della vita che invece dovrebbe essere sua, e subisce, in questo troppo breve lasso di tempo, vessazioni e mutilazioni. Questo non può più accadere, non deve essere mai più possibile.

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