“È una pena inumana, è selvaggia e non può né deve esser lecito applicarla all’uomo”
La fatica di chi si è battuto e si batte ogni giorno per eliminare la pena di morte sembra non riuscire a placare chi continua a sostenerla.
La temuta pena capitale è stata protagonista di molte ingiuste condanne che hanno segnato il corso della storia, a partire dai tempi antichi fino alla modernità. Non si può non ricordare il caso emblematico di Socrate, processato e condannato nel 399 a.C. dai più noti esponenti della democrazia ateniese.
Pensando alla storia romana è necessario citare tutti gli uomini, per lo più intellettuali, che morirono per volere degli imperatori (come accadde durante l’impero di Nerone). Nella storia più recente troviamo sia condannati a morte per motivi politici, come ad esempio i grandi protagonisti della rivoluzione francese (Luigi XVI, Roberspierre…), che per motivi religiosi, quali ad esempio Giovanna d’Arco, Giordano Bruno o, nel clima teso della controriforma, Michele Serveto. Che l’accusa sia di eresia o puramente politica, la sostanza non cambia. La pena di morte resta una crudeltà disumana, della quale, tuttavia, gli uomini sembrano non poter fare a meno di avvalersi.
La tradizione italiana: Cesare Beccaria
Il primo intellettuale a riflettere sulla giustezza o meno della pena di morte è stato l’illuminista italiano Cesare Beccaria, nella sua opera Dei delitti e delle pene (1764). Tale opera resterà punto di riferimento e fonte di ispirazione per tutto il corso dell’Illuminismo europeo, ponendosi al centro delle nuove riflessioni filosofiche dei più grandi intellettuali, primo fra tutti il francese Voltaire. Beccaria scrive:
Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.
La lungimiranza del pensatore Beccaria sta nel condannare non solo la pena di morte, ma anche la tortura, pratica assai diffusa al tempo. Ispirato dall’opera di Beccaria, Voltaire interverrà a sua volta intorno alla questione della pena di morte, definendola non solo inumana, ma anche inutile. L’inutilità della pena di morte sta nel fatto che si tratta di una pena volta all’eliminazione totale del condannato, anziché alla sua rieducazione e successivo inserimento nella struttura sociale.
Inoltre è una pena inumana perché trasforma lo Stato in un assassino: la morte è un diritto naturale, qualcosa che deve seguire il proprio corso spontaneo. Quando lo Stato interviene anticipando il momento della morte, diventa uno Stato violento. Voltaire fa notare anche il fatto che la giustizia umana non è infallibile e può rischiare di sbagliare, nel senso che un giudice potrebbe condannare a morte qualcuno che poi, nel corso degli anni successivi all’esecuzione, potrebbe rivelarsi innocente. In questo caso lo Stato avrebbe commesso un errore irreversibile, a cui non ci sarebbe modo di porre rimedio.
Il diritto alla vita è una conquista che viene con la nascita delle costituzioni, quando gli uomini non sono più sudditi, ma cittadini. Nonostante ciò, non si può dire che oggi il diritto alla vita sia garantito a tutti gli uomini del mondo.
Il diritto alla vita oggi: Amnesty International
Amnesty International è un’organizzazione che si occupa di far rispettare i diritti umani scritti nella Dichiarazione universale dei diritti umani. La Home page del loro sito recita:
Ogni ingiustizia ci riguarda: siamo un movimento di persone determinate a creare un mondo più giusto, in cui ogni persona possa godere dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
Mettiamo in evidenza le ingiustizie, diamo voce a chi non ha voce, cambiamo la vita delle persone. Dal 1961, abbiamo contribuito a ridare libertà e dignità a oltre 50.000 persone, salvando 3 vite al giorno.
La loro è una battaglia quotidiana per i diritti umani, la stessa battaglia che ognuno di noi dovrebbe combattere ogni giorno, rifiutando di restare immobile di fronte alle ingiustizie. I dati di Amnesty sulla pena di morte sono i seguenti:
Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica.
Nel 2018, sono state messe a morte almeno 690 persone in 20 paesi, una diminuzione del 31% rispetto al 2017 (almeno 993). Il dato rappresenta il numero più basso di esecuzioni registrato da Amnesty International nel corso degli ultimi dieci anni. La maggioranza delle sentenze capitali sono state eseguite nell’ordine in Cina, Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq.
La Cina rimane il maggior esecutore al mondo, ma la reale entità dell’uso della pena di morte in questo paese è sconosciuta perché i dati sono classificati come segreto di stato; per questo motivo, il dato complessivo di almeno 690 esecuzioni, non tiene in considerazione le migliaia di sentenze capitali che si ritiene siano eseguite in Cina ogni anno.
Un articolo di Amnesty risalente al 2 agosto 2019 denuncia la condanna e l’impiccagione di due detenuti in Giappone, che si sommano alle esecuzioni già avvenute sotto il ministro Shinzo Abe (38) e a quelle che sono in previsione dei 110 prigionieri in attesa dell’esecuzione. L’articolo si conclude così:
In Giappone l’intero sistema della pena capitale è avvolto dal segreto. I prigionieri vengono informati poche ore prima dell’esecuzione, a volte addirittura non vi è preavviso. I familiari vengono informati a esecuzione avvenuta.
La pena di morte resta ingiustificabile anche nei confronti dei criminali più violenti, ma questo pensiero sembra non essere condiviso dagli Stati che continuano ad applicarla. Negli Usa, il presidente Donald Trump e il ministro della giustizia William Barr hanno annunciato la ripresa delle esecuzioni a livello federale, programmando cinque iniezioni letali da effettuarsi entro gennaio.
Riflessioni etiche e morali
È importante che ognuno di noi rifletta su cosa sia la pena di morte e cerchi di comprendere se sia giusta o meno. Per farlo può essere d’aiuto leggere alcune meravigliose pagine della letteratura russa, ovvero quelle dell’Idiota di Dostoevskij. Proprio nelle prime pagine del libro il tema della pena di morte è quasi centrale. Il protagonista narra più volte di aver assistito ad una esecuzione capitale in Francia, a Lione, mediante ghigliottina. Tutti gli interlocutori a cui il protagonista narra la scena chiedono se il condannato grida, o se prova dolore. La risposta del protagonista apre la porta a moltissime riflessioni:
La testa è troncata in un batter d’occhio. I preparativi, quelli sì che son penosi. Quando si legge al condannato la sentenza, quando poi lo vestono, gli radono i capelli, lo legano, lo tirano su al patibolo… una tortura infernale. (…) Che prova l’anima in quel momento? Da che convulsioni è dilaniata? Perché, vedete, è proprio l’anima che si manda a morte. Non uccidere, è detto nei comandamenti, e perché dunque per punire un uomo di avere ucciso, lo uccidono?
Dostoevskij, vissuto nel difficile clima della Russia dell’ottocento, tratta questo tema della condanna a morte che gli sta molto a cuore: egli stesso fu infatti condannato a causa delle sue convinzioni socialiste. Tale condanna fu poi commutata in quattro anni di lavori forzati e nell’esilio. Nelle sue pagine fa ragionare su quanto sia insostenibile l’attesa della morte una volta decisa la condanna.
Il dolore principale è la certezza che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l’anima si staccherà dal corpo e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere uomo.
Riecheggiano le riflessioni di Voltaire, tanto che Dostoevskij continua:
Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L’assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. È una pena inumana, è selvaggia e non può ne deve esser lecito applicarla all’uomo.
Dostoevskij, L’Idiota, traduzione di Federigo Verdinois.
Dei Delitti e delle pene, Cesare Beccaria.