Sono ancora pochi in Italia ad aver saggiato la complessa ma magistrale prosa di Jenny Diski, ed è soltanto grazie all’opera e all’impegno della casa editrice NN se oggi questa straordinaria scrittrice viene riscoperta nel nostro paese. Nata nel Regno Unito nel 1947, dopo la morte della madre venne adottata dal premio Nobel Doris Lessing, che la incoraggiò a riprendere il suo percorso formativo bruscamente interrotto. Oltre a un cospicuo numero di romanzi e opere di non-fiction, Diski ha anche collaborato con «London Review of Books», rivista culturale di rilevanza internazionale.
Tra i suoi romanzi più significativi un posto di primo piano merita sicuramente Solo umana (Only Human: a Divine Comedy), edito in Italia da Fandango libri nel 2005 e pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 2000. Al centro del romanzo vi è un triangolo amoroso davvero singolare, ovvero quello tra Abram e Sarai, capostipiti del popolo ebreo, così come è raccontato nei capitoli 11-22 della Genesi, e Dio, colui che
Prima del principio, quando loro erano niente, quando niente era, prima del verbo, prima del numero e del capitolo, prima del prima e del dopo, prima di lui, lei e noi, prima di io sono ciò che sono, prima di io sarò ciò che sarò – io ero, e prima di io ero, io ero, quando niente era. […] Nell’informe e nell’abisso, sì, e prima di esso – io ero.
L’originalità della prosa di Diski si manifesta innanzitutto nell’organizzazione della storia, raccontata da due voci, che sovente si interrompono a vicenda, spaccando frasi a metà e silenziando bruscamente ragionamenti. Da un lato vi è un’istanza impersonale e onnisciente, la voce che parla in terza persona e che risulta principalmente focalizzata sul personaggio di Sarai e solo in seconda battuta su quello di Abram, dall’altro invece vi è la narrazione prepotente e avvelenata di Dio, in prima persona.
Se nei primi capitoli le due voci si dedicano a trame narrative differenti eppure fortemente legate sul piano tematico (la voce in terza persona ripercorre infatti l’infanzia e la giovinezza della coppia, mentre quella di Dio racconta le fasi che precedono il rapporto con Abram, cioè la creazione del mondo e della vita, l’origine della distruzione per mano di Caino etc.), a partire dal quarto capitolo le due linee discorsive si intrecciano per raccontare la stessa storia: quella di Abram e Sarai, anziani e senza figli in un mondo in cui avere un erede era sentito come fondamentale per assicurare la continuità della propria stirpe, tuttavia legati da un sincero e profondo affetto.
In questa coppia si inserisce il dio che tutto ha creato e tutto può distruggere, che è straordinariamente a immagine e somiglianza delle sue creazioni: passionale, vendicativo e, soprattutto, con un disperato bisogno di amore. Dio si lega ad Abram perché sa che lui lo ascolta e che può dargli l’amore di cui ha bisogno. Così ha inizio la rivalità con Sarai, che anche davanti alle prove più manifeste dell’esistenza di Dio (non da ultima quella di concepire il figlio Isacco alla bellezza di novant’anni), si rifiuta di ammettere la sua esistenza, rivelando in questo modo una carica sovversiva che può essere agilmente paragonata a quella di un altro fondamentale personaggio biblico: Eva, la madre degli uomini. Nella commedia di Diski, però, la donna non è tentata da alcun serpente, e anzi agisce in perfetto accordo con il suo compagno:
Feci una proibizione. Solo una. Semplicemente affinché comprendessero che io ero nella posizione di proibire. […] Il non li infastidì finché non concepirono la ribellione, e nel far questo divennero più importanti l’uno per l’altra di quanto non fossero per me. Con quella prima disobbedienza, cambiò tutto. Crearono una nuova parola: crearono il noi.
È creando il «noi» che gli uomini si fanno contingenti e si rivoltano contro il Dio che li ha plasmati. Lo sconcerto del dio attua un ribaltamento paradossale, in cui la creazione diventa creatrice e il creatore viene cacciato in una posizione di subalternità:
Io la imparai da loro [la contingenza]. Li avevo creati a mia immagine e somiglianza, prima di afferrare ciò che ero. Diedi loro più di quello che sapevo di avere, non sapendo quanto potere gli stavo conferendo. Diedi loro, nel mio ingenuo attaccamento alla separazione, quello che io non avrei mai potuto avere: diedi l’uno all’altra. E con quello, gli avevo dato troppo, autorizzando poteri di creazione che io non mi ero neanche mai sognato. Non sapevo dell’immaginazione. Non sapevo dell’immaginazione raddoppiata. Non sapevo dell’idea del noi.
È questa la dimensione in cui Dio, se non si fa ancora carne, si fa tremendamente umano e imperfetto, a tal punto da non riuscire a indovinare le mosse degli uomini da lui creati. Ciò apre la strada al suo bisogno, quello di essere riconosciuto e amato dalle sue creature. È qui che ha inizio la commedia umana.
L’inizio è uno dei temi fondamentali di questo romanzo, che rispecchia il paradosso del legame tra umano e divino nella sua stessa struttura narrativa. Il primo capitolo, infatti, è intitolato Epiloghi, e dà una fuggevole visione della fine della storia di Sarai e Abram. È solo al secondo capitolo che la storia può finalmente essere raccontata in maniera cronologica, partendo dall’inizio, come infatti rimarca il titolo Principi.
Non sembra un caso il fatto che il capitolo degli inizi sia il numero due («Il due è il principio della fine» ricordava J. M. Barrie, riferendosi al fatto che è a partire dai due anni che i bambini diventano consci del fatto che la vita non è staticità e il destino di tutti gli esseri viventi è quello di crescere). Il due richiama quel «noi» sovversivo che ha interrotto il sogno di Dio per svilupparsi in maniere inedite, non predeterminate. È il «noi» che colma la separazione, da cui deriva la responsabilità, l’impegno e l’amore, cose che Dio non conosce, perché sono creazione degli uomini e che, dal momento in cui loro li hanno creati, diventano anche oggetto di desiderio di quel dio capriccioso che si lamenta ossessivamente della propria esclusione:
Creai due coscienze con il pensiero e le parole per guardarsi l’un l’altra e dire io e te. E che ringraziamento ho ricevuto? Come potevo sapere che dalla coppia, il terzo è sempre escluso?
Il due, dunque, numero eversivo, è ciò che si ribella ai nostri piani, alla fissità di una vita che è sì libera, ma priva della sua componente fondamentale, cioè l’incontro di due alterità. Dio ha creato l’uomo e così ha scoperto la solitudine. Ha avuto pietà della sua creazione e gli ha donato una compagna, ed è stato questo, non la mela, a spezzare tutto. In questo senso, si può affermare con una certa cognizione di causa che il principio è l’interruzione:
In principio c’era amore. No. L’amore viene presto, ma non esattamente al principio. In principio, e in ciascuno dei nostri principi, ci fu quello che precorre tutto il resto: l’interruzione. È così che comincia l’amore. Ma, per alcuni istanti fugaci, la vita fu semplicemente libera di essere – quando non aveva bisogno neanche dell’innocenza. In principio, prima dell’interruzione, c’era la vita stessa.
Anche l’inizio della vita di Sarai, della sua coscienza, viene descritto come un’interruzione. Un flusso ininterrotto tra passato e futuro che viene spezzato dall’incontro. È una Sarai neonata quella che incontriamo nel secondo capitolo del romanzo, una Sarai che un attimo prima non ha coscienza, ma solo sensazione, e un momento dopo, con l’incontro, ha il suo principio di essere imperfetto, tormentato e incostante, ma puramente umano:
L’ombra, o le ombre, arrivò come un’esplosione nella sua esistenza e alterò le sue circostanze, cambiò il mondo attorno a lei, cambiò la sua stessa condizione all’interno di esso dal caldo al freddo, dall’umido al secco, dall’esterno all’interno, dalla luce al buio. Alternazione senza ragione. Più del mondo, più di se stessa.
[…]
Fa solo parte dell’essere nati e del partecipare alla danza umana. Nessuno sfugge.