Il ragno

La mia camera è nella posizione più sfavorevole di tutta la casa; con due pareti esterne, una a nord e una a est, è la più calda d’estate e la più fredda d’inverno, la prima a catturare i raggi del sole ad agosto e la prima a diventare buia a gennaio. Ora siamo ad aprile, le giornate si sono allungate, l’aria si è riempita di polline, e il ragno che da mesi alloggiava sul davanzale della mia finestra è morto.

L’ho trovato per la prima volta lì, vivo, sul bordo della maniglia d’ottone, il giorno dopo la notte di capodanno. Non l’ho ucciso, non l’ho mandato via, non ho fatto assolutamente nulla, sono soltanto rimasta a fissarlo. Fuori faceva freddo, il cielo era grigio e avevo la sensazione che presto avrebbe iniziato a nevicare. Tutte le tapparelle della casa di fronte erano ancora abbassate, c’era solo il silenzio del primo giorno dell’anno, quel silenzio spettrale, immobile, freddo, stanco, pieno di promesse che non verranno comunque mantenute; la palestra, la dieta, lo studio, l’amore.

Io avevo guardato il ragno, immobile come me. Ci eravamo guardati, lui con le zampe lunghissime ed il corpo tozzo, io con le occhiaie e le palpebre stanche.

L’ho guardato ogni singolo giorno da quel mattino, e stamattina l’ho trovato morto, secco, rigido, con le zampe rivolte verso il soffitto ed il corpo pesante contro il marmo del davanzale. Mi sembra strano, quasi assurdo, non ha senso. È stato qui per quattro mesi, quattro lunghi mesi in cui dall’inverno siamo passati alla primavera, quando mettevo le mani sul davanzale per scaldarmele e quando aprivo la finestra per far entrare l’aria tiepida, lui è sempre stato lì, a volte qualche centimetro più in là, ma sempre lì, vivo.

Quando tornavo a casa, non importa che ora fosse, sapevo che lui era lì, una piccola, inquietante, silenziosa presenza. Sapevo che non si sarebbe mai avvicinato al mio letto, sapevo che era innocuo. Il punto è che non ho mai pensato di ucciderlo. Pensavo che un giorno sarebbe semplicemente sparito, che se ne sarebbe andato così come era arrivato. E invece ora ce l’ho sotto agli occhi, morto. Che cosa gli è successo? Non so nulla dei ragni, non so come, quando e perché muoiano. Basta così poco. Basta così poco? Era la sua ora, evidentemente. Lo fisso senza sbattere le palpebre per controllare che sia veramente morto; è veramente morto.

Cosa devo farne? Appoggio i gomiti al davanzale e aspetto che mi venga in mente qualcosa.

Penso che odio gli insetti, odio i ragni, ma lui non l’ho mai odiato. Sarà perché ci siamo trovati il primo di gennaio, il giorno più triste dell’anno, entrambi soli e infreddoliti, senza la voglia di muoverci né di spostarci in un altro luogo, magari migliore, magari più favorevole. Entrambi siamo rimasti qui. È così che vanno le cose? Un giorno ci sei, e quello dopo non ci sei più. A me l’ingrato compito di prenderlo e buttarlo giù dalla finestra, di fargli compiere quel volo che già a gennaio avrebbe dovuto essere l’inizio e la fine di questa strana storia.

Prendo uno straccio appiccicoso di detersivi e sgrassatori dal ripostiglio, apro la finestra, i raggi del sole si rompono in mille pezzi sul pavimento di legno, il cane dei vicini abbaia da ore, non ci avevo neanche fatto caso. Presto sarà Pasqua? Butto lo straccio sul corpo del ragno, lo pinzo tra le dita della mano destra. Quante sono le promesse che non abbiamo mantenuto in quattro mesi? Scuoto lo straccio, in giù, dal secondo piano verso il cortile, come se stessi salutando qualcuno che parte. Richiudo la finestra, non sento più il cane che abbaia, i raggi del sole si ricompongono, orizzontali e paralleli al pavimento.

Basta così poco?


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