Ci ha lasciati lunedì 14 ottobre, all’età di 84 anni, Harold Bloom, una delle più importanti penne critiche del Novecento e dei primi Duemila. Bloom si è da sempre contraddistinto per la sua aspra e coraggiosa sincerità, che l’ha reso un grandissimo critico dalla temibile lingua serpentina – basti ricordare le sue idiosincrasie verso i premi Nobel: Doris Lessing (2007) «un solo libro decente», «illegibile» Jean-Marie Gustave Le Clézio (2008) e «ridicolo» Dario Fo (1997). Erano pochi gli autori contemporanei da lui apprezzati, come Philip Roth, di cui tenne in grande considerazione i libri Pastorale Americana e Il teatro di Sabbath.
Nato a New York nel 1930, Harold Bloom aveva una cultura enciclopedica, una memoria elefantesca – dichiarava di saper leggere e assimilare 400 pagine all’ora – e una conoscenza poliglotta: oltre le lingue classiche, leggeva in yiddish, italiano, tedesco, inglese, francese, spagnolo e portoghese. Di sé diceva di essere un superstite della vecchia tradizione, trincerato per difendersi dalla «spazzatura» prodotta dalla letteratura contemporanea – ma salvava Roth e DeLillo – definendosi «l’ultimo barricato sul fronte del Sublime». Bloom non ha mai fatto mistero della sua insofferenza al politicamente corretto – anzi, le accuse per lui valevano come conferma alle sue idee (oltre che vanto e motivo di orgoglio) – al quale non si è mai piegato e che ha sempre lasciato fuori dal regno della letteratura, sentendosi dire così di aver sostenuto molti autori «maschi europei bianchi defunti». Un giudizio miope che non tiene conto del suo criterio di scelta basato esclusivamente sul carattere creativo ed estetico dell’opera, sul principio di autonomia estetica dell’arte, totalmente avulsa dalla macchina politica e sociale.
Pilastro della critica novecentesca è il suo saggio del 1994 Il canone occidentale, un crisma di ventisei autori, eletti ad assi a fondamento della nostra letteratura, fissando un cardine nel Bardo e in Dante. Con Il canone occidentale Bloom definisce la nostra identità storica e culturale: il suo libro non si pone come una lista di consigli ma come un’opera che custodisce il deposito di millenni di sacra eredità. Tra i prescelti, ammessi alla sacra lista, annovera anche Cervantes, Molière, Tolstoj, Montaigne, Borges, Proust, Kafka, la Woolf e Emerson. Ma Il canone occidentale fu un’opera controversa, che si calamitò molte critiche, in particolare a causa della rigidità e perentorietà con cui il canone degli autori fondatori del patrimonio letterario occidentale veniva presentata. Un giudizio critico personale presentato come indiscutibile, in piena linea con la personalità e il temperamento di Bloom. Estimatore di Blake e Milton, autore nodale per Bloom fu anche Shakespeare, un’ossessione letteraria: colui che conteneva già dentro di sé tutto, ogni stilema e gradazione dei temi della letteratura. Insomma una divinità, un «Dio», che mise al centro di suoi molti saggi, fra tutti Shakespeare, l’invenzione dell’umano.
Prolifico scrittore (Bloom continuò a pubblicare fino al 2019), il critico americano fu anche un insigne professore – docente a Yale per oltre sessanta anni – che per le sue idee contro corrente non si guadagnò l’apprezzamento dei colleghi e dell’accademia. Al punto che nel 2011 l’accademico e romanziere Jonathan Bate scrisse sulla rivista The News Republic: «Mention the name of Harold Bloom to academics in literature departments these days and they will roll their eyes» (« Cita il nome di Harold Bloom agli accademici nei dipartimenti di letteratura in questi giorni e loro alzeranno gli occhi al cielo»). L’insegnamento per Bloom fu una grande passione, inscindibile e complementare alla lettura e scrittura, un fuoco che mantenne vivo fino alle fine, anche quando la salute non gli permetteva di recarsi a Yale e insegnava da casa. Molto affezionato ai suoi studenti, Bloom era solito rivolgersi a loro con vezzeggiativi come “little child” o “dear”.
Tra gli innumerevoli meriti di Bloom, c’è da ricordare il suo spirito ribelle, la sua capacità di stare in piedi da solo e far valere le proprie scelte pur prendendo le distanze da ogni ideologia e istituzione prestabilita. E lasciando alla critica – quella davvero grande, come la sua – il magistero di essere, di poter essere, anche, e forse prima di tutto, letteratura.
FONTI:
https://www.nytimes.com/2019/10/14/books/harold-bloom-dead.html
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