Ho sempre raccontato la storia delle vittime, dei rifugiati, delle persone che devono abbandonare tutti i propri beni, il proprio lavoro, la casa, il paese in cui sono nati. Sono sempre stato convinto che fossero i soggetti più deboli dell’umanità a poter raccontare grandi storie su quanto accade nel mondo. Non penso che il mio lavoro possa rappresentare un reale cambiamento per queste persone, ma può essere un modo per aiutarle, per portare a conoscenza di tutti le loro storie. Un bel ritratto svela sempre qualcosa di importante di una persona. […] – Steve McCurry
Leader indiscusso della fotografia urbana e contemporanea, Steve McCurry nasce a Filadelfia nel 1950, in Pennsylvania. È famoso per esser riuscito a spaziare tra generi differenti e a farsi riconoscere grazie al suo stampo inimitabile. Tuttavia, le persone, per lui, saranno sempre le protagoniste.
Scattò milioni di fotografie prima di essere realmente affermato. Eppure, uno scatto in mezzo a tanti altri fece la differenza. Infatti, nel 1984, McCurry si trovava in Pakistan per un fotoreportage sulle conseguenze della guerra contro l’Unione Sovietica. Precisamente nella cittadina di Peshawar, in un campo profughi, fotografò una giovane donna che sarebbe, poi, diventata l’icona di tutta la sua produzione.
Grandi occhi verdi ipnotici, capelli scuri, burka rosso e sguardo curioso ma, allo stesso tempo, impietrito. È lei. Ragazza Afghana. Definita, da molti, “moderna Monnalisa“.
Lo scatto – pubblicato su National Geographic – cambiò per sempre la visione del mondo orientale. Così Steve McCurry racconta l’incontro con la donna:
Mi trovavo in un campo di rifugiati, sentii un vociare allegro proveniente da una tenda e scoprii che si trattava di una scuola. Non ho impiegato più di una manciata di secondi a fotografarla: lei guardava il mio obiettivo in modo curioso, era la prima volta che vedeva una macchina fotografica e dopo pochi secondi è scappata via.
Inizialmente, la giovane afghana non ebbe una vera identità. Venne ritratta in pochi secondi, non sufficienti per conoscerla più da vicino.
Soltanto dopo diciassette anni – e con l’aiuto di National Geographic – il fotografo statunitense, ritornato appositamente sul campo, riuscì a mettersi in contatto con Sharbat Gula – ormai trentacinquenne e madre di tre figli. Il secondo incontro fu breve, non diversamente dal primo.
Anche questa volta, però, la donna regalò a McCurry un magnifico scatto, intitolato Ritrovata, e pubblicato sulla copertina di National Geographic del 2002.
L’istantanea icona ispirò numerosi fotografi e artisti di tutto il mondo. Molti di loro, infatti, cominciarono a viaggiare alla ricerca di un viso particolare, di un’espressione peculiare, di un popolo originale, di una veste eccentrica.
È proprio per questo motivo che Steve McCurry viene considerato il pioniere di un genere fotografico, che non svanirà facilmente. Ritrarre – in terra straniera e lontana – persone, bambini, anziani, e la loro quotidianità è un modo per avvicinarsi al loro mondo, tanto distante dal nostro quanto – per certi versi – analogo.
Diventa un incarico di responsabilità. La fotografia si mette a disposizione per poter lanciare un messaggio ben preciso. La conoscenza di queste popolazioni porta, automaticamente e all’istante, una maggiore consapevolezza del mondo in cui viviamo e che condividiamo. In particolar modo, mette in luce popoli distanti dal nostro, che mai riusciremmo a conoscere in altro modo.
Il compito della fotografia è questo. Riuscir ad entrare nell’animo delle persone, coinvolgendole e stupendole ogni volta come fosse la prima. La fotografia così concepita da McCurry rivela ciò che c’è dietro allo scatto stesso. Pensieri, sensazioni, paure hanno la meglio e non necessitano più di essere celati. Anzi, al contrario, le emozioni vengono gettate in primo piano. È così che il famoso fotografo spiega le sue intenzioni:
La parte più importante del mio lavoro è narrare storie. È per questo che la maggior parte delle mie immagini posa le sue radici nella gente comune. Sono alla ricerca di quell’attimo di autenticità e spontaneità capace di raccontare una persona, quello in cui, per un istante, si cattura l’essenza di un altro individuo. Penso sia questo, uno dei più grandi poteri della fotografia.
Steve McCurry non è un fotografo, ma è il fotografo per eccellenza. È stato capace di far cose grandi. In epoche difficili, mal viste e mal affrontate. Non bisogna dimenticare che nasce negli anni ’50 del ‘900.
È il leader, il capofila di un’arte – quella fotografica – che, se ben riuscita, è in grado di restituire le più grandi delle emozioni.