Lei ha in mano un quaderno e una penna, lui ha al collo una macchina fotografica: due modi complementari di raccontare uno stesso mondo. Due biglietti aerei per il Nepal, qualche paura e molto coraggio: il viaggio di Chiara e Andrea inizia così. Il loro motto? “Let children speak“, che è anche il nome della loro pagina Instagram e del libro che include le fotografie scattate dai bambini e i racconti scritti da loro nell’ambito del progetto.
Il primo post pubblicato sulla pagina di Instagram risale al 10 marzo e recita:
Ciao! Siamo Chiara e Andrea. Il 30 aprile partiremo per Kathmandu, la capitale del Nepal, dove staremo due mesi presso la casa famiglia Horac Nepal. Il nostro progetto è quello di insegnare ai bambini le basi della fotografia e della scrittura creativa.
La descrizione è preceduta da un selfie dei due ragazzi sorridenti e pronti a partire. Chiara e Andrea si raccontano sui social e sul loro blog, dove condividono non solo scatti e istantanee, ma anche riflessioni e considerazioni.
Proprio i social sono stati un mezzo fondamentale per la riuscita del progetto, sia a livello di diffusione che a livello pratico. Basti pensare che, qualche settimana prima della partenza, un post sulla pagina chiedeva un aiuto per trovare macchine fotografiche da portare in viaggio. Un paio di settimane più tardi, la pagina pubblica una foto delle numerose macchine fotografiche radunate, accompagnata da alcune righe di ringraziamento gioioso.
Non è da tutti decidere di partire per il Nepal e inventare, a partire da zero, un progetto di volontariato della durata di oltre due mesi, soprattutto perché Chiara e Andrea hanno deciso di partire senza appoggiarsi ad alcuna associazione. Il progetto si compone di due moduli: il lunedì Andrea teneva il corso di fotografia, durante il quale ai bambini veniva chiesto di scattare foto a persone o oggetti. Il giovedì, dopo aver selezionato lo scatto migliore di ciascun bambino, a partire dalla fotografia, Chiara guidava la stesura di un racconto.
A questo punto, chiedere a Chiara e Andrea se hanno mai nutrito qualche incertezza o paura è venuto spontaneo, e la risposta dei ragazzi è stata:
Certamente! Ne avevamo una marea. Ma le paure sono fatte per essere superate.
Ciò che più preoccupava era l’impatto con una cultura così lontana da quella occidentale: come avrebbero accolto i bambini il progetto? Cosa sarebbe successo se uno dei due si fosse ammalato? E se fosse successo qualcosa a casa nei due mesi di lontananza?
Paure percepite non solo da Chiara e da Andrea, ma anche dalle loro famiglie che, però, li hanno sempre sostenuti ed appoggiati. Un viaggio che profuma di avventura e di sfida sotto ogni aspetto. Da soli, così giovani e così lontani da casa i due ragazzi avevano una sola certezza, e cioè quella di esserci l’uno per l’altra, certezza che hanno la fortuna di condividere ogni giorno della loro vita.
I momenti in Nepal vengono raccontati dai numerosi scatti di Andrea e sono impressi nella mente dei due ragazzi in modo profondo e indelebile. Chiara porterà per sempre nel cuore il ricordo della sera dopo l’ultima lezione di scrittura creativa, quando, proprio durante il momento della buonanotte ai bambini, è iniziato un commovente scambio di baci e di abbracci, in cui i bambini hanno espresso tutto il loro affetto e la loro gratitudine. Chiara afferma:
già solo quella mezz’ora è valsa tutta l’esperienza.
Un altro episodio che i ragazzi raccontano con entusiasmo è di carattere, per così dire, ambientale. Racconta Chiara:
I bambini in Nepal non sono educati ad una coscienza ecologica e per loro è automatico gettare i rifiuti a terra. Per un po’ gli abbiamo ripetuto che non si fa così, perché si inquina la Terra. Quando, dopo alcuni giorni, i bambini correvano da noi per darci le cartacce da buttare via, o raccoglievano la spazzatura da terra perché dava loro fastidio, abbiamo capito di aver lasciato un segno.
Sicuramente Chiara e Andrea hanno lasciato un segno nell’esperienza dei bambini, così come il Nepal ha lasciato un segno nella loro. Prendere coscienza di una realtà così diversa, capire che noi viviamo in una parte di mondo privilegiata e ricca di opportunità, dove la vita è oggettivamente più semplice, anche a causa delle condizioni igieniche, che lì sono totalmente assenti, ha portato alla nascita di alcuni sensi di colpa. Così ammette infatti Chiara:
Accettarlo è stato difficile, ma alla fine abbiamo dovuto farlo. Quello che conta però è che accettare non significa giustificare, né pensare che non si possa fare niente per cambiare.
Il cambiamento è il prossimo obiettivo, quello che segue la presa di consapevolezza e che parte da ognuno di noi.
Lì, in quel momento, il nostro progetto mirava a far sentire le voci di quei bambini: Let Children Speak. Noi continueremo a batterci ogni giorno per l’abolizione di queste differenze. Ognuno può fare qualcosa, anche nel suo piccolo, l’importante è che lo faccia!
Chiedere a Chiara e Andrea cosa è stata per loro questa esperienza significa ricevere una risposta che non si può descrivere a parole, perché non basterebbe: serve guardarli negli occhi e registrare il modo convinto in cui si illuminano.
Cosa consigliano a chi vorrebbe intraprendere un’esperienza simile?
Fatela! È un’esperienza complessa, molto dura, e che mina alla base tutte le convinzioni che si crede di avere quando si parte. Ma è anche un’esperienza che porta un arricchimento enorme, che, mettendo tutto in discussione, permette di rivalutare ogni aspetto della propria vita, a partire da ciò che si ha, per arrivare a ciò che si è. È un’esperienza di crescita e maturazione, che mette in luce le fragilità più profonde di una persona, e allo stesso tempo porta allo scoperto i suoi punti di forza. Tante volte, sospirando, abbiamo detto o pensato “Non ce la faccio più”. Ma ce l’abbiamo fatta, e lo rifaremmo mille volte.
L’altro consiglio è quello di valutare con attenzione l’associazione o la realtà a cui si fa riferimento: senza voler fare di tutta l’erba un fascio, va detto che tante associazioni tendono a speculare sui giovani intraprendenti che hanno voglia di fare qualcosa per il prossimo. Attenzione a chi chiede somme esorbitanti per fare del bene, o a chi vi permette di partire senza un progetto definito.
A chi vuole partire consigliamo di prendere bene consapevolezza di ciò che sa fare e di che tipo di aiuto può apportare. Crediamo che stare in una casa-famiglia solo a giocare con i bambini sia d’aiuto fino a un certo punto: meglio metterci più impegno ma cercare di fare una cosa fatta bene in tutto e per tutto. Ne sarete molto più soddisfatti!
Sì, perché il progetto di Chiara e Andrea culmina con la pubblicazione del libro Let Children Speak: il ricavato dalle vendite verrà donato ai bambini che hanno imparato a conoscere e ad amare nelle loro settimane in Nepal. Il libro si compone di cinque capitoli, nei quali Chiara e Andrea hanno organizzato i racconti scritti dai bambini durante le lezioni di scrittura creativa e le foto scattate nel corso delle lezioni di fotografia, ed è acquistabile contattando i ragazzi tramite la loro pagina Instagram.
E allora Let Children Speak! Ma mi raccomando, noi restiamo ad ascoltare, così da poter fare la differenza in una prospettiva di mondo che cambia.
Tutte le immagini sono state offerte da Andrea Favarin e provengono dalla pagina Instagram Let Children Speak