Tra incendi nell’Artico e in Amazzonia, le due zone del pianeta che meno ci si aspetterebbe prendere fuoco, l’estate 2019 si è tinta di nero fumo. I problemi legati all’ambiente, però, non sono tutti così lontani: picchi di caldo mai registrati prima e ondate di freddo quando e dove non dovrebbero esserci non sono più una novità neanche nel vecchio continente. A fenomeni come questi assistiamo inermi e ci chiediamo, in fin dei conti, cosa mai potremmo fare. Tuttavia, ridurre il nostro impatto sul mondo che ci circonda (e, soprattutto, che ci ospita) è un dovere, e non poi così difficile come spesso si crede.
Come per qualsiasi cambiamento, anche questo passa da cultura, educazione e corretta informazione.
L’educazione ambientale sulla carta
Nelle varie conferenze internazionali tante sono le dichiarazioni d’intenti espresse in materia. Il primo documento di riferimento per l’educazione ambientale è stata la Carta di Belgrado (1975).
Lo scopo dell’educazione ambientale è di formare una popolazione mondiale cosciente e preoccupata dell’ambiente e dei problemi connessi, una popolazione che possieda le conoscenze, le competenze, lo stato d’animo, le motivazioni e il senso del dovere che le permettano di operare individualmente e collettivamente alla soluzione dei problemi attuali e di impedire che se ne creino di nuovi.
La Carta invita a raggiungere tutto ciò stimolando i destinatari nella presa di coscienza, nelle conoscenze, nell’atteggiamento, nelle competenze, nella capacità di valutazione e nella partecipazione. Bisogna, cioè, essere consapevoli dello stato delle cose, conoscerne cause e conseguenze, sapersi porre correttamente nei confronti dei problemi, acquisendo le capacità necessarie ad affrontarlo e a valutare gli effetti delle proprie azioni; tutto questo, con un’attiva partecipazione.
Tra i destinatari più importanti si riconoscono i giovani in età scolare. In particolare, è la Dichiarazione di Tblisi (1977) a metterne in risalto il valore.
Una bene intesa educazione ambientale deve essere globale, deve protrarsi per tutta la durata dell’esistenza umana e aver presenti i cambiamenti di un universo in rapida trasformazione. Deve preparare l’individuo alla vita, grazie alla comprensione dei gravi problemi del mondo contemporaneo e all’acquisizione delle capacità e delle qualità necessarie ad adempiere un compito produttivo, al fine di migliorare le condizioni della vita e di proteggere l’ambiente, tenendo nel debito conto i valori etici. […] Per sua natura, I’educazione ambientale può decisamente contribuire al rinnovamento del processo educativo.
Grida inascoltate
Tuttavia, per lungo tempo queste Carte sono state grida inascoltate. Non a caso, nella Conferenza internazionale di Salonicco (1997) si prende esplicitamente atto che nessun rilevante progresso è stato fatto cinque anni dopo l’Earth Summit di Rio [del 1992] e si sollecitano i governi a prendere misure concrete.
A ben guardare, è tutta la questione ambientale ad esser stata fin troppo tralasciata. Solo negli ultimi anni si nota un’inversione di tendenza, e purtroppo il merito sembra andare alla crescente criticità della situazione. Ora che l’impegno comincia ad essere significativo in molti paesi, l’emergenza richiede una vera rivoluzione su larga scala. Da tempo la comunità scientifica cerca l’attenzione dei governi e sollecita una svolta nelle politiche ambientali, ma invano. Obiettivi di ampio respiro come questi possono essere perseguiti solo facendo una forte pressione in questa direzione. È evidente, dunque, la necessità di fare informazione e di parlarne, il più possibile.
Giovani
Non si può non pensare, in questo caso, all’attivista svedese Greta Thumberg: sebbene molti critici e negazionisti la guardino con cinismo, specie per i suoi soli sedici anni, innegabile è il suo successo nel sensibilizzare e ispirare coetanei e non. Sono proprio i più giovani a dimostrare più interesse per la causa, come dimostra la partecipazione alle manifestazioni in tutto il mondo legate ai Fridays for Future, lo sciopero del venerdì iniziato dalla giovanissima ambientalista. Ed è da loro che può partire il cambiamento più efficace e duraturo.
Hanno portato il messaggio a casa. Ora sono gli stessi ragazzi a dire ai genitori cosa non fare, di utilizzare carta piuttosto che plastica.
È così che, ad esempio, i docenti di una scuola siciliana raccontano i propri allievi: l’istituto Bersagliere Urso di Favara, in provincia di Agrigento, è la prima scuola italiana ad aver bandito la plastica monouso. Da quest’anno, le bottigliette d’acqua sono state sostituite da borracce riutilizzabili, i bicchierini per il caffè sono in carta e anche le famiglie sono state invitate a intraprendere un percorso analogo.
Quello di sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente è lo scopo anche delle attività di educazione ambientale previste lungo tutto il percorso scolastico: percorsi che vanno dalla scoperta della biodiversità all’educazione alimentare, dalla gestione dei rifiuti alla green economy. Tutto volto, come da dichiarazione del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, a
fare in modo che chi si affaccia alla vita […] abbia subito un pensiero ambientale, visto che la nostra generazione ha fallito su questo. Formare nell’ambiente vuol dire costruire il futuro del nostro pianeta.
Tra motivazione e senso di inutilità
Non mancano gli scettici che minimizzano la portata dello sforzo del singolo privato cittadino. Vale davvero la pena impegnarsi tanto nel proprio piccolo quando nel mondo ci sono governi di intere nazioni che marciano in senso opposto?
Fermo restando l’importanza di una rivoluzione su larga scala, non bisogna sottovalutare la portata (negativa) di un approccio così nichilistico. In fin dei conti è proprio sottostimando l’impatto delle proprie azioni quotidiane che si è arrivati ad una situazione insostenibile. Tanti piccoli gesti lasciano una grande impronta, anche se non la si può vedere nell’immediato. Bisogna solo scegliere se lasciare un’impronta positiva o negativa. In tal senso, emblematico è questo breve testo che la blogger Carla Borthwick – a sua volta ispirata dal libro Earth Is Hiring di Peta Kelly – ha scritto sul suo profilo Facebook lo scorso 6 maggio:
Alla persona che usa cannucce di metallo per salvare i pesci, ma consuma prodotti animali, vorrei dire grazie. Al vegano che non è consapevole del problema dei senzatetto, grazie. Agli attivisti legati al cambiamento climatico che non sono attenti al fast fashion [cioè il settore della moda i cui capi vengono prodotti in modo particolarmente veloce e il cui ciclo di vita è breve], grazie. Alla ragazza che dona i propri vestiti usati a chi è meno fortunato, ma non è a conoscenza dello sfruttamento della prostituzione, grazie. Al ragazzo che raccoglie la spazzatura mentre torna a casa, ma non è ben informato sul tasso dei suicidi maschili, grazie. Alla gente che protesta contro le corse dei cavalli, ma non è informata sulla crudeltà dell’industria casearia, grazie. All’influencer positivo su Instagram che non ha sviluppato uno stile di vita senza plastica, grazie. Alle nonne che fanno a maglia per i bambini malati, ma non sono consapevoli degli attuali problemi di razzismo e omofobia, grazie. Agli studenti che lottano contro il bullismo, ma non sono consapevoli dei continui decessi per violenza domestica, grazie. Ai pacifisti, alle femministe, a chi adotta cani randagi, agli insegnanti, ai volontari, ai genitori affidatari, a chi ricicla, a chi dona, a chi agisce e a chi crede, io dico grazie.
Siamo tutti su percorsi differenti e tutti guardiamo attraverso occhi diversi. I problemi del mondo di cui uno si appassiona non sono sempre gli stessi che altri stanno tentando di risolvere… e va bene così. Non si può tutti salvare il mondo da ogni singolo problema, ma tutti si ha la responsabilità di ringraziare chiunque stia facendo la propria parte per salvare il mondo. Non criticare, apprezza. Non giudicare, educa. Stiamo tutti facendo del nostro meglio. Grazie.
Probabilmente è questo il pensiero di fondo che muove un qualsiasi gesto eticamente orientato, e che deve muoverci anche nel nostro impegno nei confronti del pianeta che ci ospita.
*la traduzione del testo di Carla Borthwick è basata su quella di Alys Rose presente in rete, rivista dall’autore.
Carta di Belgrado
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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Carla Borthwick