La globalizzazione che caratterizza il mondo contemporaneo ha determinato la creazione di fitte e numerose interconnessioni a livello mondiale, generando una sempre maggiore integrazione dei mercati e, di conseguenza, un crescente flusso di servizi, idee, capitali finanziari, beni e individui. In un mondo così strutturato, in continuo e rapido mutamento, nonché contraddistinto da un persistente incremento delle disuguaglianze sociali ed economiche tra i Paesi del Nord e del Sud del mondo – ma anche all’interno dei Paesi stessi tra cittadini di serie A e di serie B – numerose sono le problematiche e le sfide che le società contemporanee devono affrontare.
Una questione attuale di rilevante importanza è sicuramente quella relativa ai movimenti migratori, i quali hanno visto la loro origine dal momento in cui i popoli abbandonarono il nomadismo, trovandole citate persino nei testi sacri religiosi – basti pensare alla prima grande migrazione di massa del popolo ebraico che lasciò la Palestina per raggiungere l’Egitto. Naturalmente, sarebbe estremamente inopportuno paragonare le antiche migrazioni con quelle moderne.
Infatti, le migrazioni erano in origine forzate e obbligate, dominate da fattori di spinta come carestie, siccità o schiavitù. Dalla seconda metà dell’Ottocento si osserva invece un trend in crescita dei movimenti migratori di tipo intenzionale e consapevole, evidentemente indotto dalla globalizzazione e dalle conseguenti riduzioni di barriere tecnologiche, fisiche e culturali. I push factors che, nel secondo caso, spingono gli individui a migrare possono essere riconosciuti, per esempio, nei differenziali salariali tra luogo di origine e di destinazione, o nel grado di privazione relativa, ossia la posizione relativa della famiglia del migrante in relazione a un gruppo di riferimento, nel contesto socioeconomico del villaggio o del Paese di origine. Di contro, le condizioni di povertà estrema e di emarginazione sociale costituiscono un freno all’emigrazione.
Ciononostante, già nei primi anni 2000 si è ritenuto necessario prendere in considerazione quei fattori di spinta alle migrazioni legati a crisi finanziarie e politiche, conflitti sociali e carestie nei Paesi di origine, tipiche dell’immigrazione illegale verso l’Europa. Le condizioni globali sono in continuo cambiamento, il numero dei conflitti – che vede come area maggiormente problematica il continente africano – è in crescita, le disuguaglianze socio-economiche si fanno più evidenti e inaccettabili, i cambiamenti climatici stanno determinando un incremento dei disastri naturali e una cattiva governance circa il rispetto ambientale e dei diritti umani un aumento di quelli antropici. Le migrazioni sono, oggi, il risultato di dinamiche complesse aventi alla base cause molto diverse tra loro. Attualmente sarebbe dunque ancora più disastroso approcciarsi a questa complicata e intricata questione con gli stessi strumenti interpretativi utilizzati in passato.
Nel 2015, il numero complessivo di migranti internazionali ha raggiunto circa i 244 milioni, il 41% in più rispetto al 2002. Secondo il rapporto Migrazioni, sicurezza alimentare e politiche di cooperazione – Esplorare il nesso oltre le semplificazioni (ActionAid), la maggioranza (circa 150 milioni) consiste in migranti lavoratori e lavoratrici di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Di contro, il numero dei rifugiati si attesta sui 65,3 milioni di individui. Le cifre aumentano se si considerano le migrazioni interne, stimate essere, nel 2013, 740 milioni (dato OIM – Organizzazione Mondiale delle Migrazioni), con una prevalenza di spostamenti dal Sud al Nord – tra il 35% e il 45% del totale dei migranti internazionali.
Appurata l’estrema complessità della tematica, la confusione riguardante la differenziazione tra tipologie di sposamenti delle persone e la terminologia da utilizzare è stata una logica e naturale conseguenza. Specialmente tra l’opinione pubblica, termini come rifugiato, profugo e migrante appaiono poco chiari e, di frequente, vengono impiegati in modo errato o come sinonimi. Risulta essenziale, perciò, definire con precisione il significato di questi tre termini, cosicché alla già difficile questione migratoria non si aggiungano anche errori semantici che comporterebbero una erronea interpretazione della realtà e non apportino soluzioni specifiche per ogni tipologia di migrazione.
Secondo l’OIM, per migrante si intende “qualsiasi persona che si sposta o si è spostata attraverso o all’interno dei confini nazionali senza riguardo a: il suo stato legale; la sua volontà o meno di spostarsi; le cause e i tempi dello spostamento”. Si tratta di una definizione ampia, che include diverse categorie di migranti: quelli economici, quelli soggetti a spostamenti forzati interni (IDP, Internally Displaced People), i rifugiati e i richiedenti asilo.
L’UNHCR – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – specifica tuttavia la mancanza sul piano internazionale di una definizione giuridica universale per il termine migrante. Alcuni politici, organizzazioni internazionali e media usano questo per riferirsi genericamente ai migranti, ai rifugiati ma anche ai richiedenti asilo. La parola “migrazione” sottintende un atto volontario che caratterizza i movimenti di coloro che si spostano in cerca di un lavoro migliore e più adeguate condizioni economiche, per migliorare la qualità della vita, per motivi di studio o ancora per un ricongiungimento familiare. Altre volte, le persone si spostano in risposta ai devastanti esiti delle calamità naturali, alle condizioni di estrema povertà o di carestie. Chi lascia il proprio Paese per queste ragioni generalmente non è considerato come rifugiato secondo il diritto internazionale. La normativa internazionale sui diritti umani si occupa dunque della protezione dei migranti.
L’UNHCR utilizza il termine rifugiato in riferimento a una precisa definizione legale e particolari misure di protezione nell’ambito del diritto internazionale. I rifugiati sono perone che hanno abbandonato il proprio Paese perché perseguitati o perché vittime di conflitti, violenze o altre contingenze che minacciano l’ordine pubblico. Le loro condizioni sono spesso talmente rischiose da lasciare il Paese di origine alla ricerca di condizioni di vita migliori e più sicure, diventando riconosciuti come rifugiati a livello internazionale, dunque come individui bisognosi di assistenza da parte dell’UNHCR, delle organizzazioni competenti e degli Stati. Sono casi caratterizzati da conseguenze potenzialmente mortali se viene rifiutata la domanda di asilo. Se un rifugiato si sposta dal Paese di accoglienza verso un altro Stato, questo non comporta la modifica del suo status di rifugiato, né le sue condizioni diventano quelle caratterizzanti il migrante poiché la questione concerne esclusivamente la mancanza di protezione da parte del Paese di origine.
Il regime giuridico preposto alla protezione dei diritti dei rifugiati è chiamato “protezione internazionale per i rifugiati”, per la quale si riconosce la necessità per queste persone di ricevere tutele aggiuntive poiché sprovviste della protezione del proprio luogo di origine. Con l’adozione della Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati – Convenzione di Ginevra del 1951 – si è stabilito un vero e proprio regime di protezione dei rifugiati. Le norme ivi contenute disciplinano la materia e la disposizione più importante è il principio di non-refoulement (ossia il non respingimento).
Per quanto concerne il termine profugo, si deve sottolineare la sua nazionalità tutta italiana. Questa espressione viene infatti tradotta nelle altre lingue con parole corrispondenti a rifugiato. Sebbene molto spesso venga utilizzato come sinonimo di rifugiato, i due vocaboli indicano in realtà due fenomeni collegati ma non coincidenti. Contrariamente ai rifugiati, i profughi sono coloro che per diversi motivi – guerre, fame, povertà, calamità naturali,… – abbandonano il proprio Paese di origine ma non sono nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale. Nonostante i due termini vengano erroneamente considerati interscambiabili, solo lo status di rifugiato è sancito e definito nel diritto internazionale mediante la Convenzione di Ginevra.
Inoltre, si deve ormai tenere conto dei cosiddetti profughi climatico-ambientali, ossia spostamenti di popolazioni a causa del degrado dell’ecosistema e dai cambiamenti climatici determinati dalla mano dell’uomo. Un cambiamento rapido e imprevedibile che tocca prevalentemente aree povere caratterizzate da economie di sussistenza, prive degli strumenti adatti ad affrontare lunghi spostamenti. Perciò, tali popolazioni tendono a spostarsi dal villaggio verso la città più vicina.
Le difficoltà nel governare questi nuovi movimenti migratori, le continue e sempre più invasive sfide che sia i Paesi di arrivo che quelli di origine si vedono costretti a fronteggiare determinano una situazione di disorganizzazione e confusione, partendo dai significati dei termini che definiscono gli individui in movimento. Sebbene sia una naturale conseguenza di un mondo così complesso e mutevole, sono necessari dei punti fermi che diano un ordine e una organizzazione al fenomeno migratorio, al fine di affrontare prontamente ed efficacemente ogni situazione, differenziando i bisogni e le risposte per caso specifico.
Giovanni Ferri, Maria Concetta Chiuri, Nicola Coniglio, L’esercito degli invisibili. Aspetti economici dell’immigrazione clandestina, Il Mulino, 2007