Sebbene Tekkonkinkreet sia un lungometraggio animato che può vantare un grandissimo livello tecnico e sfoggiare un buon pregio artistico, non siamo di fronte ad un film del celeberrimo Studio Ghibli, bensì ad una creazione del 2006, nata dalla mente dello statunitense Michael Arias. L’opera, realizzata con la particolare tecnica chiamata cel-shading, sfrutta dei modelli 3D facendoli apparire come se fossero disegnati a mano: questa è un’operazione che serve a mascherare il proprio lavoro facendolo apparire in modo del tutto simile al mondo anime e fumettistico. Il risultato è un lavoro di raro fascino, con animazioni e ambientazioni che riescono a togliere il fiato, tanto per la loro realizzazione tecnica quanto per la loro bellezza artistica.
La vicenda è ambientata a Treasure Town, una metropoli viva e pulsante, ma attraversata dalla piaga delle organizzazioni criminali, dalla potente Yakuza a gruppi più ristretti e indipendenti. Proprio in uno di questi gruppi troviamo i due protagonisti Kuro (nero) e Shiro (bianco), due giovanissimi fratelli orfani che devono lottare giorno dopo giorno per mantenere il controllo della città e sperare di continuare a sopravvivere, seppur in uno stato di miseria e degradazione totale. Il tutto si complicherà quando la Yakuza avanzerà pretese sempre più forti su Treasure Town, spinta dalla proposta di un misterioso straniero che sembra intenzionato a trasformare l’intera città in un immenso luna park.
L’influenza delle tematiche care alle produzioni Ghibli è evidente: il piano della criminalità è un tentativo di avvelenare il vivere sociale con grosse operazioni consumistiche che in Tekkonkinkreet trovano il loro portavoce nell’immenso parco giochi progettato per sostituire la città. In fondo, neppure Treasure Town viene dotata di connotazioni troppo positive: sebbene lo studio delle ambientazioni la faccia apparire caotica e magica, al pieno del suo splendore, le gang criminali, i quartieri degradati, la stessa vita di cui sono schiavi i due protagonisti, non nascondono una critica neanche troppo velata alla vita cittadina.
Il fulcro della vicenda rimane costante: i due inseparabili protagonisti che richiamano (grazie anche ai loro nomi) il concetto fondamentale del legame tra Yin e Yang, l’oscuro e il chiaro, il materno e il paterno, il passivo e l’attivo. Uniti contro il mondo intero, entrambi conoscono la necessità di restare insieme: Kuro è il ragazzo più attivo, sempre disposto a prendersi cura del proprio fratello, e al tempo stesso è sempre pronto a lasciarsi trasportare dalla sua gioia di vivere; Shiro è ancora un bambino, istintivo e incauto, ama con un sentimento genuino il proprio fratello e lo segue ovunque egli vada.
Con semplicità e delicatezza, Arias tratta temi importanti come l’amore fraterno e alcuni famosi elementi della filosofia cinese. Con Tekkonkinkreet viene firmata una vera e propria opera d’arte che non sfigurerebbe tra le fila delle creazioni dello Studio Ghibli.