Non al denaro, non all’amore né al cielo è il quinto album di Fabrizio De André, pubblicato nel 1971. Il disco vede come autori dei testi lo stesso De André e Giuseppe Bentivoglio, mentre la musica è affidata a Nicola Piovani. Siamo nell’Italia degli anni Settanta, che poco ha a che vedere con il contesto di pubblicazione dell’Antologia di Spoon River, il capolavoro letterario di Edgar Lee Masters a cui il concept album si ispira. Il libro venne pubblicato nel 1915, ma la prima edizione italiana – che verrà poi letta dal cantautore genovese – è del 1943. Lee Masters è lontano a livello di tempi e di spazi da De André, ma il messaggio che passa nella sua opera è ancora valido decenni dopo. Dice De André in un’intervista a Fernanda Pivano, curatrice dell’edizione italiana pubblicata per Einaudi:
Avrò avuto diciott’anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo.
Ciò che emerge dalle parole di De André è l’idea che l’opera di Lee Masters tratti di temi sempre attuali. L’Antologia di Spoon River è una delle raccolte poetiche più vendute negli Stati Uniti, composta da una serie di epitaffi che descrivono i personaggi di un paesino immaginario, Spoon River appunto. In realtà, i personaggi da cui trae ispirazione Lee Masters appartengono alla sua infanzia e adolescenza nei paesini di Petersburg e Lewistown. Dal primo derivano quei personaggi che hanno dato voce agli epitaffi più celebri, dal secondo l’ambientazione e la maggior parte dei soggetti descritti. Molti sono stati i fraintendimenti sull’opera, molte le critiche da parte dei cittadini che si sono sentiti criticati e sbeffeggiati. Per Fernanda Pivano, ciò che Lee Masters ha messo in atto è una critica “a un sistema morale oppressivo e controproducente”.
Il concept album
Sono nove gli epitaffi che De André riprende, modificando i titoli – tranne nel caso de Il suonatore Jones – e apportando aggiunte e interpretazioni ai testi originali. L’apertura dell’album e del libro è la stessa, La collina (The Hill).
Proprio per la sua funzione introduttiva, il testo di De André è molto simile a quello originale: vengono ripresi tutti i personaggi, mantenendo il legame con la loro storia. Dalla diversità dei ruoli che i vari personaggi elencati ricoprivano nella società si evince il messaggio di questa poesia, ovvero l’inevitabilità della morte, che arriva uguale per chiunque. Tutte le strofe finiscono con: “All, all, are sleeping on the hill”, mentre nella canzone troviamo: “Dormono, dormono sulla collina”.
Il secondo brano, Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio), si ispira all’epitaffio di Frank Drummer, che a Spoon River era considerato lo scemo del villaggio (“And the village thought me a fool”). La tematica è quella dell’incapacità di esprimere le proprie idee a parole, il che porta la gente comune a scambiare un personaggio dalla spiccata intelligenza per un matto: dal sottotitolo della canzone emerge la superiorità dello scemo rispetto al villaggio che gli ha assegnato tale ruolo.
De André propone una versione molto romanzata del breve componimento di Lee Masters. Una peculiarità interessante: mentre nella poesia c’è un riferimento all’Enciclopedia Britannica, nella canzone il riferimento è all’Enciclopedia Treccani. De André non si limita a tradurre, ma contestualizza in modo diverso il personaggio per renderlo più comprensibile ai suoi ascoltatori in Italia.
Questa era la prima parte dell’analisi di un concept album che vale sicuramente la pena comprendere fino in fondo. Nel prossimo articolo sull’argomento verranno prese in considerazione altre quattro canzoni dell’album: Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore e Un medico. Nella terza parte, invece, saranno analizzate le ultime tre canzoni: Un chimico, Un ottico e Il suonatore Jones.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Einaudi, 2014