Il nostro vestiario è il modo in cui ci presentiamo agli altri e ci conferisce un senso di appartenenza. Ma ciò che indossiamo può rappresentare anche la nostra religione o le nostre credenze? È difficile per noi immaginare che l’abbigliamento possa rispecchiare un ideale, ma in altre società esiste invece una forte dipendenza tra questi due elementi.
Il modest fashion altro non è che il connubio perfetto tra la moda occidentale e il rispetto di quelle che sono le leggi islamiche riguardo l’abbigliamento. Il nome di questo fenomeno si riferisce ai concetti di modestia e di purezza ai quali è legato. Come tutti i trend mondiali, anche quello del modest fashion nasce dal mondo d’élite dell’alta moda e possiede un proprio mercato.
Anniesa Hasibuan, designer mussulmana di origini indonesiane, è stata la prima a trovare il coraggio di portare in passerella questo genere, presentando sulla scena della New York Fashion Week del 2016 modelle in hijab. Applaudita e criticata, ha permesso al mondo del modest di affermarsi anche agli occhi del grande pubblico.
Nel 2013 il fatturato del modest fashion ammontava a circa 300 miliardi di dollari, con un’ipotesi di incremento di spesa fino a 200 miliardi per il 2019. Le grandi firme non potevano rimanere indifferenti al fenomeno: primo a investire è stato DKNY (Donna Karan New York), seguito poi da Valentino, Prada, Dolce & Gabbana e da alcune catene di fast fashion – tra cui le spagnole Mango e Zara, e l’americana H&M – che al genere hanno dedicato collezioni per il periodo del Ramadan.
Volto del modest Fashion è Alia Khan, fondatrice e presidentessa dell’IFDC (Islamic Fashion and Design Council), nato con l’intento di promuovere il modest fashion a livello mondiale e di definire l’ifashion, un codice che permetta di stabilire quali capi siano halal (leciti).
Uno stile fatto di abiti in tessuti morbidi, che nascondono le forme di chi li indossa, corredati di veli o di turbanti che coprono il capo ma che allo stesso tempo renda possibile l’essere trendy davvero a tutti. C’è chi si affida ai tessuti morbidi degli abaya (veste che copre tutto il corpo a eccezione di testa, piedi e mani) e chi invece si reinventa accostando al velo un paio di modernissimi blue jeans. In qualsiasi modo si voglia interpretare il modest fashion, l’obiettivo è l’eleganza e la femminilità. Molto utilizzati sono i colori pastello e le tinte unite, ma anche le stampe, sfruttate da Dolce & Gabbana nella loro collezione.
Avete mai pensato da dove provengono molti degli stili che indossate? Come la moda occidentale ha influenzato quella orientale, anche l’Oriente e i capi modest sono entrati a far parte del nostro vestiario sempre più frequentemente (si pensi alla moda degli abiti larghi e coprenti degli ultimi anni).
È facile per un italiano, nato e cresciuto in Italia, riconoscersi in un qualche modello di stile; meno lo è per una ragazza islamica che vive in un paese occidentale. I modelli che il modest fashion propone permettono alle ragazze islamiche di rappresentare nel loro abbigliamento entrambi i mondi a cui appartengono: quello occidentale e quello islamico, nel rispetto del loro credo. Le mipster (neologismo creato dall’unione di muslim e hipster), ovvero le icone del modest fashion, creano quindi un nuovo modello da seguire e in cui allo stesso tempo si rispecchiano.
Un trend all’insegna dell’unione e della tolleranza, che nonostante i pregiudizi razziali si prefigge il compito di spezzare le divisioni etniche. Il modest fashion ci insegna che è possibile appartenere a una società affermando il proprio essere nel rispetto di sé e del proprio credo. È il risultato di un incontro di culture che invece di scontrarsi trovano ispirazione l’una nell’altra, creando un elegante miscuglio di mondi.