Dal 25 Settembre 2019 al 19 Gennaio 2020 il Palazzo Reale di Milano ospiterà una grande esposizione dedicata a Giorgio de Chirico, padre della pittura metafisica.
La rassegna accompagnerà il visitatore in un lungo viaggio attraverso l’ermetico stile del pittore, grazie ad opere provenienti da numerosi musei internazionali, tra i quali il Metropolitan Museum of Art di New York, la Galleria Tate Modern di Londra, il Centre Pompidou e il Museé d’Art Moderne de la Ville di Parigi, la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma (GNAM), il Museo del Novecento di Milano e la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
Il percorso espositivo, articolato in otto sale, procede per temi, che riprendono le tappe salienti della carriera di de Chirico, dando vita ad una narrazione suggestiva del complesso linguaggio pittorico dell’artista metafisico: dall’infanzia in Grecia alla maturazione stilistica in Italia, attraverso il confronto con il panorama d’avanguardia contemporaneo.
Se nella prima sezione della mostra intitolata “La mitologia familiare” si presenta ancora evidente l’influenza della formazione accademica, già a partire dalla seconda sala, “La Metafisica”, sono ravvisabili i segni della prima rivoluzione pittorica messa in atto da de Chirico, con immagini inquietanti ed enigmatiche. Piazze deserte con statue, antichi palazzi, oggetti comuni di vario tipo e uomini dalle sembianze di manichini vengono giustapposti secondo una logica straniante, provocando nell’osservatore inaspettati effetti di spaesamento.
Si procede con “Il quadro nel quadro”, spazio dominato dalle distorsioni prospettiche che spesso sconvolgono i soggetti rappresentati, sospesi in un tempo immobile e avvolti in un’atmosfera enigmatica. Da “Le printemps de l’ingénieur” (1914, Pinacoteca di Brera, Milano) a “Melanconia ermetica” (1918-19, Museé d’Art Moderne de la Ville de Paris, Parigi), qui si trovano opere che denotano l’evoluzione compiuta da De Chirico durante il soggiorno ferrarese, periodo durante il quale mette a fuoco il nucleo e le intenzioni della propria poetica.
La quarta sala, che riunisce alcuni dei principali temi ricorrenti nell’iconografia dechirichiana, come la natura morta, il mito e l’autoritratto, prende il nome di “Pictor Optimus”, appellativo che celebra la coniugazione di una tecnica innovativa con una razionale capacità di guardare al passato. In ordine, “Il manichino”, “La stanza” e “I gladiatori” sono i temi che accompagnano il visitatore verso l’ultima stanza della mostra, “La neometafisica”, che tira le fila dell’esaustivo cammino attraverso le sontuose immagini di Giorgio de Chirico, analista della realtà, con uno sguardo sempre attento alle mutabili condizioni dell’animo umano.
Nato nel 1888 a Vólos, in Grecia, de Chirico frequenta l’Accademia di Belle Arti a Monaco di Baviera, dove matura una solida conoscenza letteraria. Fervido conoscitore della mitologia greca, si appassiona alla lettura di testi filosofici: “Schopenhauer e Nietzsche – scrive l’artista – per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte”.
Tra il 1910 e il 1911, a Firenze, inizia a postulare i primi canoni della pittura metafisica, elaborando un repertorio di immagini misteriose, dove piazze assolate e deserte sono fiancheggiate da architetture classiche, deformate da inusuali giochi di prospettiva. Questi dipinti sono avvolti da un senso di attesa, nel quale elementi familiari vengono prelevati dal loro contesto quotidiano e si caricano di mistero, assumendo un significato simbolico e, a tratti, indecifrabile.
È nel 1915 quando, in occasione del servizio militare a Ferrara, entra in contatto con il pittore Carlo Carrà, coniatore dell’espressione “pittura metafisica”, alludendo all’intenzione di pervenire attraverso la pittura a una realtà “altra”, situata al di là di quella fenomenica, accessibile attraverso “gli occhi della mente”.
Nel 1919 si apre la seconda fase della sua produzione artistica, caratterizzata da un definitivo superamento delle avanguardie e dal conseguente ritorno ai modelli classici. De Chirico esprime il proprio disappunto per l’eccessivo sperimentalismo operato dalle correnti avanguardiste, alle quali rimprovera un’involuzione stilistica, che, a giudizio del metafisico, avevano comportato un eccessivo allontanamento dai dettami accademici della tradizione.
Pertanto, l’opera degli anni Venti, pur conservando quella sospensione del tempo tipica del linguaggio metafisico, rivela un maggior rispetto delle regole degli antichi maestri, in direzione di un classicismo moderno, contraddistinto da uno senso di spiccata e lucida ironia: manichini dal ventre traboccante di architetture classiche e oggetti provenienti dall’antica Grecia sono il soggetto preferito dall’artista negli ultimi anni della sua carriera, prima di morire a Roma nel 1978.
L’esposizione che sarà allestita a breve a Palazzo Reale a Milano si propone l’obiettivo di avvicinare il pubblico al controverso universo di de Chirico, denso di enigmi e ambiguità, con uno spiraglio aperto alla libera interpretazione dell’osservatore. E se l’ermeticità della pittura metafisica fosse stato un segno premonitore dell’alienazione di cui è vittima l’uomo contemporaneo? Quel che è certo è che Giorgio de Chirico è stato in grado di riflettere nella sua opera le conseguenze della società massificata, affermandosi uno dei più geniali esponenti dell’arte novecentesca.
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