Il benessere di un Paese dipende solo dal PIL?
Al giorno d’oggi, aprendo un giornale o accendendo la televisione, ci troviamo sommersi da notizie di economia di tutti i tipi. Quale sarà la nuova riforma del governo, le direttive dell’Unione Europea in materia bancaria e ancora statistiche e ricerche di settore riguardanti la Borsa e i mercati internazionali. Tra i termini tecnici come BTP o Bund, che ormai sono di dominio comune, un indicatore economico in particolare viene osservato con acuto interesse: il PIL, ossia prodotto interno lordo.
Questo rilevatore economico mostra il valore dei servizi e dei prodotti realizzati all’interno di uno Stato sovrano, entro un arco di tempo limitato, e viene utilizzato per valutare lo stato di salute dell’economia di un Paese, così come il benessere economico medio dei cittadini. Osservando anche altri fattori, come ad esempio il reddito pro capite, si possono evidenziare la ricchezza complessiva di una nazione e la ridistribuzione ipotetica di essa tra la popolazione. Se è certo quindi che ogni governo debba prestare attenzione a questi dati, per quanto riguarda riforme economiche e investimenti finanziari, è altrettanto vero che da questi rilevatori è possibile valutare il benessere o perfino la felicità dei consociati?
Secondo alcuni dati, i Paesi più ricchi al mondo sono Cina, Stati Uniti, India e Giappone, seguiti dagli Stati europei, invece la classifica basata sul reddito pro capite vede sul podio Qatar, Macao e Lussemburgo. L’Italia è rispettivamente al 12° e al 48° posto. Queste statistiche, però, non rappresentano fedelmente i reali standard di vita degli individui appartenenti a quelle società, per diverse ragioni. Innanzitutto, un primo limite degli indicatori in esame è riscontrabile semplicemente osservandone la natura. Infatti, pur fotografando lo stato dell’economia generale del Paese, questi indicatori poco ci dicono sulle condizioni di vita dei singoli cittadini, costretti a ricoprire un ruolo standardizzato, come semplici operatori indistinti nel mondo del lavoro e del commercio. Ne è un chiaro esempio il reddito pro capite, che pur mostrando l’ipotetica ricchezza individuale di ogni individuo, non si interessa di evidenziare come effettivamente sia distribuito il PIL nella popolazione di un dato Paese. La Cina sarà certamente il paese con il PIL più alto al mondo, ma questo non significa che i cinesi siano perciò il popolo con il maggior benessere, così come non tutti i cittadini del Qatar possiedono realmente tutta la ricchezza testimoniata dalle tabelle economiche.
Inoltre, è dubbia anche la correlazione automatica tra ricchezza e felicità. Sicuramente è vero che una maggiore disponibilità economica può concretamente migliorare la vita dei cittadini, e quindi un legame tra buon andamento dell’economia e benessere dei singoli è innegabile, ma ci sono fattori ulteriori che incidono nella vita quotidiana dei soggetti e sono slegati dalla ricchezza così come generalmente intesa: soddisfacenti ed intensi rapporti sociali, istruzione di buon livello e sviluppo culturale, buona qualità dell’aria e salubrità dell’ambiente in cui si vive, cure sanitarie accessibili. Tutti aspetti essenziali per una più corretta valutazione del grado di felicità di una nazione, che interessano in modo ravvicinato le scelte e il corretto sviluppo umano del cittadino.
Sarebbe perciò auspicabile che ogni Stato orientasse le proprie politiche economiche e sociali non più basandosi (principalmente o addirittura solamente) sull’importanza di PIL e derivati, ma integrando e parificando questi dati con altri che tengano conto di più aspetti diversificati del benessere della società. Occorre dunque chiedersi se preferiamo essere uno Stato più ricco o uno Stato più felice. A questo proposito, due esperienze politiche sono particolarmente interessanti, seppure molto diverse tra loro: l’indice della Felicità interna lorda (in inglese GNH) applicato in Bhutan e la più recente “finanziaria del benessere“, approvata in Nuova Zelanda.
Nel caso in cui questi indicatori politici, più sensibili a reali esigenze individuali e più attenti ad una reale distribuzione del benessere tra gli individui che compongono la società, dovessero rivelarsi corretti ed efficaci, saremmo pronti e disponibili a cambiare i nostri metri di giudizio e di conseguenza le nostre priorità d’investimento, per avere cittadini realmente più felici?