Il mondo in cui si vive durante il sonno è talmente diverso, che quelli che faticano a prender sonno cercano prima di tutto di uscire dal nostro.
Marcel Proust
L’insonnia è un disturbo del sonno. Impedisce di dormire la notte con costanza e tranquillità, nonostante l’organismo ne abbia bisogno. Non si basa semplicemente su un calcolo di ore che servono per godere di beneficio, è una reiterazione interruttiva del riposo che, incentivata, si traduce in un problema clinico. Le sue cause sono stress, ansia e depressione, molto spesso legate all’assunzione di farmaci e all’abuso di caffeina e nicotina.
L’immagine dell’insonne si traduce in un volto graffiato dalle occhiaie, in un letto sfatto o in un’atmosfera notturna da incubo ispirata al celebre dipinto romantico L’incubo di Johann Heinrich Füssli. Mostri notturni, pensieri che pesano come macigni, pecorelle smarrite al loro conteggio si aggirano attorno a una mente sfatta, stanca, eppure insonne. L’arte ancora una volta trova uno dei suoi temi cardini e si fa celebratrice del lato oscuro della notte.
Insonnia come incubo notturno
Partiamo da Martina Fačkova. È un’illustratrice freelance slovacca che fa del mondo fantasy il suo pane quotidiano. Non è quindi difficile immaginare che il suo universo creativo, costellato da personaggi alla Dungeon & Dragons e creature vampiresche, si affidi all’identità del mostro per raccontare l’insonnia. Martina dipinge così il ritratto di una giovane donna, avvinghiato dalle dita lunghe e uncinate di un mostro ignoto, che potrebbe benissimo assomigliare all’Uomo pallido, alias “Uomo con gli occhi sulle mani”, del Labirinto del Fauno.
Il simbolo mostruoso dell’insonnia è un’identità smembrata nella notte, che governa la mente e impedisce il sonno, tenendo violentemente gli occhi aperti alla sua vittima. L’artista immagina un contesto surreale, dove una nebbia oscura, penetrata in un villaggio, interrompe il sonno ai suoi abitanti. Parte tutto da un contatto fisico, corporeo, eppure al tempo stesso immateriale, perché ciò che impedisce il riposo alla donna dimora solo nella sua mente. L’artista ricrea così uno scenario di luci caravaggesche, intervallate tra il chiaro e lo scuro, dove il focus sono gli occhi spalancati del soggetto.
Insonnia come immaginario onirico
Gli occhi possono raccontare molto di più di quanto faccia la complessità di un’immagine. Per questo motivo l’artista spagnolo Joseba Eskubi sceglie di enfatizzare il profilo di un occhio nella sua opera astratto-gestuale Insomnia (2011). In realtà il suo lavoro sull’insonnia è più ampio e si concretizza in una raccolta omonima di dipinti dove le creature rappresentate volteggiano avvolte da veli in ambientazioni indefinite. Le immagini rievocano il cerchio dei lussuriosi dell’Inferno dantesco, dove sembra che i corpi vengano deprivati della loro componente carnale e materica per lasciare spazio a identità frammentate nell’etere.
Così come accade a chi soffre di insonnia, che si trova per metà nel mondo onirico e per metà vincolato alla realtà. È in un limbo da cui non riesce a evadere e per questo la sua fisicità si dissolve. Joseba sceglie dunque atmosfere surreali e si affida a una tecnica polimaterica e policromatica per raccontare uomini sospesi in un varco senza tempo. Non si riesce a dormire, non c’è la possibilità di dormire, perché il dormiente viene risucchiato da un vortice di pensieri senza fine.
Insonnia causata dal peso dei pensieri
Ed è proprio il sovraccarico di pensieri, dettati da situazioni ansiogene o stressanti, che agisce sul sonno. Lo racconta il pittore tedesco Rene Schute nel suo dipinto surreale dove un peso di dimensioni mastodontiche incombe minaccioso su un letto e il suo ospite. L’artista vuole narrare nei suoi dipinti a olio una realtà che agisce al di fuori dei limiti del reale, quindi nell’universo onirico. Lì tutto è possibile, a partire dalla sfida alle leggi di gravità.
L’opera di Rene, nonostante si appelli a un universo fiabesco, riproduce i due elementi distintivi che accompagnano l’insonnia: l’uomo e il letto. C’è quindi un ritorno alla dimensione più concreta della patologia e al simbolo del letto sfatto. L’emblema di chi si avvolge tra le lenzuola senza trovare pace, di chi soffre la fissità della posizione supina mentre rivolge costantemente lo sguardo al soffitto, di chi controlla l’orologio e scopre che il tempo divora lentamente la notte.
Insonnia legata al simbolo del “letto sfatto”
Sono l’artista bielorusso Mai Volfovich Dantsig e la pittrice francese Magdalena Lamri a dare una personalità al letto e alla stanza che lo contiene. Nelle loro opere non ci sono figure umane, solamente letti che si raccontano, come La camera di Vincent ad Arles, famoso dipinto di Vincent Van Gogh. Nell’opera di Magdalena, il letto sembra collocarsi in una dimensione insolita, a metà tra una foresta tropicale e un interno domestico. Il confine è labile e la sua evanescenza è resa maggiormente dall’effetto acquarellato adottato.
Nel caso di Mai, invece, la stanza riflette un profilo cubista. La sua opera Sleepless (Unmade Bed), pone attenzione ai dettagli, dalle coperte stropicciate, ai vestiti abbandonati sulle sedie, alla luce della lampada sul comodino che illumina il posacenere ricolmo di mozziconi di sigarette. Accanto, riposano documenti sfatti, segno di una notte lavorativa. L’artista ritorna quindi ai motivi reali che conducono all’insonnia e alle modalità per combatterla. Si inizia dalla mancata assunzione di alcol e nicotina nelle ore serali. Segue lo sfruttamento del buio per dormire, fino al rilassamento, che non prevede attività stressanti da un punto di vista fisico e mentale.
Gli individui non sono quindi caricatori che si consumano durante la giornata e devono essere attaccati alla presa del letto, come consiglierebbe ironicamente (o drammaticamente), il dipinto di Brian De Young. Molto spesso non è possibile neanche combattere l’insonnia con l’antico trucco delle pecorelle, mostrato dall’opera digitale di Cj Burton. La mancanza di sonno non riguarda quindi il mancato adattamento a un letto diverso dal tuo. Sei tu, solo, a fare i conti con tutto ciò che non hai ancora risolto.