Anedonia: l’incapacità di provare piacere

Anedonia:

Incapacità di provare piacere. Con appiattimento affettivo e dell’emotività. Nell’anedonia coesistono sia l’incapacità di desiderare il contatto con stimoli gratificanti, sia quella di provare piacere in occasione di stimoli o attività solitamente gratificanti; può interessare uno, o più, o tutti gli aspetti della vita: il cibo, il sesso, le esperienze somato-sensoriali, ecc. Il termine viene esteso a contesti in cui il senso di gratificazione coinvolge ricompense di tipo psicologico, quali la soddisfazione per una promozione sul lavoro o il senso di affetto derivante da una situazione sentimentale. L’anedonia è tipica di molte patologie psichiche, quali la depressione, la schizofrenia, alcuni disturbi del tono dell’umore.”

Questa è la definizione che il vocabolario Treccani dà alla voce anedonia. Etimologicamente la parola è composta dal prefisso privativo an e dal greco hēdonḗ, cioè ‘piacere’.

L’uomo è sempre alla ricerca del piacere. Tre grandi scuole filosofico-letterarie, ideatrici dell’etica dell’ Hedoné, hanno confermato questa tesi: Epicureismo, Romanticismo e Decadentismo hanno insegnato all’umanità il valore del verbo godere. Epicuro afferma che la felicità deriva dalla voluptas, Leopardi piange la noia e il dolore della vita senza piacere, mentre D’Annunzio esalta l’estetica del dandy. Il filo conduttore è il godimento, il pieno abbandono dei sensi alla realtà per sopraelevarsi ad un piacere estatico.

Bisogna godere in ogni istante e di ogni cosa, dal cibo al sesso, dalla natura all’arte. Ma cosa succede se si è sempre insoddisfatti? La domanda sorge spontanea quando nulla riesce a procurare diletto, soprattutto se quel nulla rispecchia le aspettative che il cervello umano costruisce per la propria vita.

Quando si arriva a vivere senza trarre appagamento, si entra in una bolla atemporale e a-spaziale perché l’incapacità di sentirsi pienamente deliziati ovatta la razionalità. Cala l’interesse, ogni scelta porta la nulla. L’unico stato stabile è l’apatia.

Questi sono gli effetti dell’anedonia, una sintomatologia dovuta a disturbi psichiatrici diversi. Depressione, demenza, schizofrenia sono le patologie che presentano tra i sintomi principali l’incapacità edonica. Oltre ai disturbi psicologici, l’anedonia è associata alle patologie neurologiche del morbo di Parkinson e dell’epilessia del lobo temporale. Anche l’uso di sostanze stupefacenti ha come contraltare l’annullamento della percezione del piacere.

Gli psicologi ne classificano l’entità depressiva dopo numerose analisi strumentali, incentrate sulla classificazione delle problematiche dei pazienti. Riconoscerla e curarla prima che si evolva in una patologia grave è arduo. Ciò dipende dalla difficoltà nel capire l’identità del sintomo: spesso questo fenomeno psicopatologico non è correlato a patologie psichiatriche o neurologiche, piuttosto a fattori sociali. Tra i fenomeni sociali a capo di questa galoppante tendenza anti-edonistica spiccano i NEET.

Oggi, nell’era dei millennials, i “NEET” (Not in Employment, Education, or Training) sono affetti da anedonia sociale. Come si legge da Wikipedia, “NEET è l’acronimo inglese di young people non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione”. La fascia di età in cui si inseriscono è tra i 16 e i 24 anni, con estensioni fino ai 35. I NEET non provano interesse per nessuna attività e sono lontani dalla ricerca di stimoli gratificanti per appagare i piaceri. Navigano in una costante anedonia sociale e sono esposti ad un rischio maggiore di depressione, crisi di ansia e abuso di droghe.

Secondo uno studio realizzato dalla rivista Scienza e Ricerca, in Italia, il 15% della popolazione presenta una lieve forma di anedonia che si diversifica in base alla fascia di età. I dati raccolti dimostrano come nella terza età, il 38,3% delle persone tra i 60 e gli 80 anni siano positive ai sintomi della patologia. Nell’età media, compresa tra i 40 e i 60 anni, solo il 13.5 % degli individui vive in questo status. Infine nell’età giovanile, tra i 18 e i 39 anni, il 15 % presenta il disturbo. Le donne, nella terza età, sono maggiormente colpite rispetto agli uomini.

Nella perdita di riconoscere, ricercare e provare piacere è implicata una parte del cervello: l’area 25. I ricercatori dell’Università di Cambridge hanno spiegato sulla rivista Neuron che l’area 25, nei soggetti in stato depressivo, conduce un’iperattività metabolica. Questo eccesso di attività nella parte lobo frontale del cranio coinvolge altre aree celebrali: oltre alla scomparsa del godimento, l’anedonia si snoda nella perdita di motivazione e nell’assenza di eccitazione causata dall’attesa. Il disinteresse per ogni ricompensa e l’annullamento dei desideri sono tratti essenziali di questo sintomo silenzioso che coinvolge anche fattori neurologici.

Difficile da riconoscere, complesso da classificare, è tra i sintomi che più intimoriscono la nuova generazione. Vivere intensamente un gusto, un odore, un suono, un bacio non rientra più tra le priorità della vita. Diagnosticare questa disfunzione diventa impossibile quando l’individuo non riconosce la sua inettitudine all’edonismo.

Quando realizzate i vostri desideri e non godete della ricompensa e del benessere della soddisfazione, significa che l’anedonia sta camminando nel vostro io.  Cucinate il vostro piatto preferito, sedetevi a tavola e mangiate: siete soddisfatti del vostro pasto? Mangiare il vostro piatto preferito vi ha reso felici per qualche minuto? State provando piacere?

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