Tutti conoscono Medea, la donna, madre assassina, più famosa del mito. Molti conoscono le sue arti magiche e la sua violenza vendicativa nei confronti di Giasone. Parecchi conoscono la sua condizione di straniera e donna abbandonata. Tuttavia, molto spesso, si è soliti condensare il personaggio di Medea nella celeberrima tragedia di Euripide, ignorando le numerose opere letterarie a lei dedicate. Il fascino indiscusso di Medea ha da sempre attratto letterati e filosofi. Molto riduttivo per costruire un’immagine esaustiva di Medea sarebbe ignorare il monologo attribuitole da Ovidio. La donna, infatti, è una delle protagoniste delle Heroides, la raccolta di lettere d’amore indirizzate a uomini amanti. Il fascino di Medea investì Ovidio più volte durante la sua carriera letteraria: scrisse infatti anche una tragedia dedicata a Medea, purtroppo quasi completamente scomparsa.
Roma, 20 a.C. In piena età Augustea Ovidio diede vita a un’opera rivoluzionaria, “fosca e trasgressiva” (come spiega Luca Canali). Le Heroides, Lettere di eroine, apparvero subito una novità appassionante: fino a quel momento, infatti, nessun autore aveva dedicato così tanta attenzione a personaggi femminili. Nonostante i numerosi antecedenti letterari, nessun’opera attesta una così profonda focalizzazione su personaggi non eroici. Ovidio si spinse all’estremo facendo parlare unicamente donne. Sarebbe errato e riduttivo, tuttavia, ignorare le numerose fonti a cui Ovidio stesso fece probabilmente riferimento. Altri poeti, in effetti, si erano approcciati a un simile tema, ma con moderazione e distacco. Virgilio, ad esempio, diede vita alla celebre Didone, ma non le attribuisce ruolo di protagonista assoluto all’interno dell’Eneide. Catullo, invece, conserva l’io narrante autobiografico. La novità assoluta consiste quindi nell’aver reso protagonisti indiscussi personaggi che, seppur psicologicamente complessi, occupavano un ruolo marginale nelle opere letterarie della tradizione.
Le Heroides sono 15 lettere di donne indirizzate a uomini. Le protagoniste sono eroine del mito, più o meno famose, a parte Saffo, la nota poetessa. Personificano il prototipo della “donna abbandonata” dall’uomo amato. La lettera si sviluppa come un lungo lamento e solitamente l’obiettivo della protagonista è il ricongiungimento con l’amato. Le lettere indagano profondamente la psicologia delle protagoniste, al punto da avvicinarsi parecchio alla tipologia del “monologo teatrale”. In teatro, infatti, si parla di “monologo” riferendosi a una battuta più o meno lunga, pronunciata da un solo personaggio. Molto spesso il monologo è introspettivo, riflette cioè sulla psicologia profonda del personaggio. In effetti le Eroine di Ovidio indagano la profondità della loro coscienza individuale e mettono in luce passioni e intimità. Ovidio inoltre, non costruisce un paratesto (una cornice narrativa che lega i singoli componimenti): per questo è lecito estrapolare singole lettere senza danneggiare radicalmente il repertorio dell’autore.
Il monologo di Medea presenta peculiarità rispetto alla totalità delle altre lettere. Per prima cosa, è proprio il concetto di “lettera” ad essere messo in discussione. Non ci sono, infatti, evidenti riferimenti alla concreta attività di scrittura e la prassi epistolare non è rispettata. Non c’è un mittente preciso e le intenzioni della scrivente non sono esplicitate. Sembra piuttosto che Medea stia declamando una lunga riflessione. Pronuncia un monologo ad alta voce, rivolgendosi in modo intermittente a Giasone, a Creusa (la nuova moglie di Giasone) e a sé stessa. Il confine con il monologo si fa sempre più sottile sul finale, quando Medea, rivolgendosi a Giasone in tono supplice, pronuncia (v. 184):
Nunc animais audi verba minora meis! (Ascolta ora parole più umili del mio animo orgoglioso)
Medea chiede ascolto a Giasone: ciò è un inserto piuttosto strano per una lettera. Oltre a questo esempio emblematico, parecchi altri sono i tratti colloquiali. Medea, ad esempio, getta parole sulla pagina e le dispone secondo un ordine logico non convenzionale. I pensieri non seguono la linearità che si addice a un componimento scritto. Così Medea spesso corregge concetti affermati in precedenza o crea piccole incongruenze. Ovidio costruisce, quindi, un personaggio ambiguo. Non è difficile immagine tra le pagine di Ovidio una donna (personaggio) sola sul palco che, abbandonata dal marito, ripercorre le tappe della relazione ormai finita, piange l’abbandono e pianifica la vendetta, arrivando a pronosticare l’infanticidio. Un perfetto climax drammatico.
In effetti, il monologo di Medea è caratterizzato dalla crescita di pathòs e concitazione drammatica. Ciò incrementa la teatralità della composizione. La prima parte del monologo infatti, con riferimenti stretti a Le Argonautiche di Apollonio Rodio, consiste nel racconto lucido degli eventi antecedenti l’abbandono della patria e il tradimento del padre. Medea è ancora padrona della sua coscienza e i versi possono essere facilmente accostabili agli altri componimenti epistolari della raccolta. Un netto cambio di ritmo e di stile avviene invece nella seconda metà del componimento. La fonte di riferimento, in questo caso, è la tragedia di Euripide. Il componimento ovidiano segue fedelmente la sequenza degli atti del testo euripideo, al punto da poter svolgere approfonditi confronti testuali. Il cambio della fonte di riferimento – il passaggio da un poema epico a una tragedia – si riflette evidentemente nel monologo di Ovidio.
Il monologo è diviso in blocchi, ciascuno rappresentante una scena. Medea, infatti, discute diversi temi e immagina diverse ambientazioni, che trovano corrispondenza – con adattamenti – nella tragedia di Euripide. Come la tragedia, il monologo di Ovidio sembra diviso in atti e i versi che svolgono funzione di raccordo mimano i cambi scena. Il testo sembra contenere addirittura degli inserti di regia. Nel seguente passo, ad esempio
[…] il mio cuore era in pena, quando, il più piccolo dei figli, perché mandato, o per il desiderio di vedere, si fermò sulla soglia della duplice porta; di lì mi disse: “Mamma, vieni! Mio padre Giasone guida un corteo e, vestito d’oro, sprona i cavalli appaiati”. Immediatamente, mi lacerai la veste e mi percossi il petto e non mi risparmiai il volto dai graffi. L’istinto mi spingeva ad andare in mezzo alla folla e a strappare via le corone dai capelli agghindati; mi trattenni a stento dal gridare, così com’ero, con i capelli scarmigliati: “È mio!”, e dal posare le mani su te.
si può notare la dinamica di una scena teatrale. Vengono infatti descritti i movimenti dei personaggi e sono riportate battute diverse da quelle dell’io narrante. Appare chiaro, quindi, come Ovidio immaginasse una rappresentazione scenica dei pensieri di Medea.
Il monologo di Medea, attraverso un climax ascendente, contempera due generi letterari. A partire dal genere elegiaco infatti, l’opera si modifica per assumere un aspetto sempre più tragico. Il personaggio di Medea è tanto potente e violento da non riuscire ad adeguarsi al genere elegiaco. A Medea non si addice il lamento e il rimpianto per l’uomo amato: dietro alle sue parole balena sempre uno strato di ironia o inganno che ribalta immediatamente un compianto in un monologo teatrale carico di pathòs.