Che cosa se non l’arte è in grado di influenzare altra arte? Già qui avevamo parlato di come il celeberrimo romanzo di George Orwell 1984 avesse influenzato Thom Yorke nella stesura dei testi per l’album Hail to the Thief. Ma c’è anche un altro famoso frontman che è evidentemente stato colpito da quest’opera letteraria: Matthew Bellamy. E lo si vede in The Resistance.
L’album, le influenze e i giudizi ricevuti
Ma andiamo con ordine. C’è prima bisogno di un doveroso excursus esplicativo: The Resistance è il quinto album in studio della band inglese Muse, della quale il sovracitato Bellamy è il frontman. Questo disco è sicuramente uno dei più conosciuti e apprezzati del gruppo: basti pensare che, grazie a esso, nel 2010 la band ha vinto il Grammy Award nella sezione Best Rock Album.
Ma questo album rappresenta molto di più: molti fan ci vedono dei Muse che non hanno più ritrovato in seguito, sostenendo che, dopo quest’opera d’arte datata 2009, si siano persi. Molti altri ci vedono uno dei picchi di una performance musicale sempre di un certo livello. Ma c’è anche una piccola parte di pubblico che è rimasta delusa da questo disco, peculiare per le influenze così importanti e diverse.
Dominic Howard, il batterista della band, a tale proposito afferma:
There’s lots of different styles of music that we tried out. There’s different styles of music that we feel like we’ve never come across before. And, well… we’ve got a big symphony on there. It’s a three-part symphony right at the end of the album, which is this very kind of, like, ambitious, very orchestral huge piece of music which is a pretty hard task to take on, but ended up sounding great.
Quello a cui fa riferimento con queste parole sono le tre tracce finali dell’album, Exogenesis.
L’innovazione più grande: la sinfonia finale
Exogenesis rappresenta una sinfonia divisa in tre parti (Overture, Cross-Pollination e Redemption). Ma, oltre all’ambiziosa sonorità di questi tre pezzi finali, esplicitata appunto da Howard, ben studiati sono anche i testi. L’Overture è un tripudio di domande dal carattere esistenziale: Bellamy chiede insistentemente chi siamo, dove, quando e perché.
A questo attimo di crisi segue la seconda parte della sinfonia, strettamente legata a quella precedente, dove vi è la descrizione di uno scenario apocalittico. La Terra, distrutta dalle guerre e dall’inquinamento (probabilmente derivante anche da queste ultime), deve essere abbandonata, quindi bisogna superare “the edge of all our fears“, la paura di abbandonare il noto, e spiccare il volo verso territori ignoti.
La terza e ultima parte, in chiusura della sinfonia e dell’album, tratta la possibilità di ri-iniziare tutto dal principio. Quindi, in stretta correlazione con la traccia precedente, affronta il tema della distruzione del pianeta operata dagli uomini. Sembra quasi un auspicio, che l’umanità questa volta possa essere in grado di fare meglio. Al tempo stesso, è come se ci fosse la velata consapevolezza che l’uomo non comprenderà i propri limiti e sbaglierà di nuovo.
Essendo alla fine dell’album, si potrebbe immaginare che queste tre parti fungano un po’ da summa dell’intero disco. Sicuramente sarebbe riduttivo affermare una cosa del genere, considerando che anche nelle tracce precedenti sono affrontati temi molto importanti. Ma, nel preciso periodo storico in cui l’umanità si trova ora non sarebbe sbagliato approfondire la riflessione riguardo alla distruzione della Terra. Del resto, questa è l’unica che abbiamo.
I riferimenti musicali (e non)
United States of Eurasia (+Collateral Damage), quarta traccia dell’album, è stata spesso paragonata a Bohemian Rhapsody. Ed effettivamente, l’impostazione sperimentale – la commistione di generi così diversi – non può che ricordarla.
L’altra peculiarità significativa, poi, è data dalla seconda parte del pezzo, Collateral Damage, che altro non è che un’esecuzione di Bellamy del celeberrimo Notturno, op.9 n.2 di Chopin.
Ma, come affermato nell’introduzione, c’è un ingombrante fil rouge che attraversa ogni singolo pezzo ed è perennemente presente: è appunto il collegamento di Resistance con il libro 1984.
I think the structure of the album has a mild, loose narrative… which is something different to what we’ve done before. I wouldn’t say it’s a pure concept album, but it’s definitely got a few themes which go throughout. Themes like revolution, uprising, wanting political change, constitutional reform… as well as a sort – of, kind – of love story developing in the midst of all that.
Afferma Bellamy al riguardo. Del resto, anche nelle già citate tracce si possono trovare riferimenti (più o meno) espliciti: le domande di tipo esistenziale che si possono ascoltare nella prima parte della sinfonia potrebbero essere un riferimento al finale del romanzo, come potenziali domande che si pone Winston, spaesato per il lavaggio del cervello che sta subendo dal Partito.
E per non parlare di United States of Eurasia (l’Eurasia è uno dei tre stati rappresentati nella distopia orwelliana). Ci sono chiari riferimenti all’impostazione del mondo del romanzo: per esempio, si parla dell’impossibilità di fidarsi, considerando che neanche la Storia rappresenta una certezza e viene continuamente modificata, eliminando prove e cambiando i libri:
You and me fall in line
To be punished for unproven crimes
And we know that there’s no one we can trust
Our ancient heroes, they are turning to dust.
Ma si fa anche riferimento alle perenni guerre che vengono combattute tra Eurasia, Estasia e Oceania:
And these wars they can’t be won
Does anyone know or care how they begun?
Si è in guerra perenne: non ha nessuna importanza il motivo per cui sia iniziata o del perché vada avanti. Nessuno lo sa, nessuno se ne ricorda, ma del resto, importa a qualcuno?
Il valore della “resistenza”
Si pensi proprio a Resistance, la seconda traccia: non è semplicemente il racconto di una storia d’amore qualsiasi. Vi è un perenne riferimento a quanto questa relazione sia sbagliata e pericolosa, tanto da obbligare i due amanti a doversi nascondere, a dover sfidare una quantità innumerevole di ostacoli pur di stare insieme. Il riferimento alla storia di Winston (protagonista del romanzo di Orwell) e Julia è abbastanza palese, dato che i due dovevano necessariamente nascondersi dal Partito per potersi vedere, con l’aggiunta di vivere in un costante clima di paura e di “questa potrebbe essere l’ultima volta”. Ma c’è anche da considerare il fatto che non è mai esplicato nel testo che tipo di intralci la coppia debba affrontare per stare insieme.
Tutto ciò fa sì che questa sia una canzone abbastanza versatile, in grado di essere facilmente adattata a qualsiasi tipo di amore “errato”. I due amanti del testo potrebbero potenzialmente sfidare qualsiasi tipo di opposizione: che sia data dalle convenzioni sociali, dalla religione, dall’opinione altrui e chi più ne metta. Non è un caso che si parli di “resistenza“.
Resistance non è la solita canzone d’amore, perché qui il gesto amoroso assume una forte valenza politica.
Love is our resistance,
they’ll keep us apart and they won’t stop breaking us down
Hold me, our lips must always be sealed.
Nessuno potrà mai dividere i due amanti della canzone. Ciò che è in evidenza qui non è il sentimento dei due, non è il legame indissolubile che li lega: l’amore che qui muove tutto è l’amore per la libertà di poter stare insieme, è la presa di posizione per guadagnarsi un diritto che dovrebbe essere naturale e scontato.
Ed è così che un album già grandioso si fa portatore di valori altissimi. Qui non si tratta di ribellione al potere come qualcosa di fine a se stessa: qui si rende uno dei sentimenti più nobili che l’uomo possa provare, l’amore, come veicolo di messaggi politici dal valore universale. Ciò che è veramente centrale è l’importanza della Resistance, la resistenza intesa come opposizione all’imposizione dall’alto, alla negazione dei diritti, al controllo dei deboli. Solo con la resistenza si risulterà vittoriosi. Come si può ascoltare nel ritornello di Uprising:
They will not force us
They will stop degrading us
They will not control us
We will be victorious
(So come on).