Gli scrittori hanno bisogno del loro editor tanto quanto gli sportivi ne hanno dei loro allenatori, e a nessuno verrebbe da giudicare la prestazione di un nuotatore meno meritevole perché a bordo piscina qualcuno lo incita a mulinare le braccia più veloce.
(Paolo Giordano in prefazione a Principianti)
Si potrebbe partire da questo assunto per analizzare la vicenda che lega lo scrittore Raymond Carver al suo editor Gordon Lish in merito alla pubblicazione del libro diventato famoso negli anni con il titolo Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, uscito nel 1981 e poi ripubblicato postumo – a distanza di quasi trent’anni, nel 2009 – dopo un accurato e impegnativo lavoro filologico, in versione originale e con il titolo pensato dallo stesso autore, Principianti. Quest’ultima edizione, tradotta in Italia da Riccardo Duranti, include anche una prefazione di Paolo Giordano e la raccolta di lettere spedite da Carver a Lish, nonché delle note dei curatori William L. Stull e Maureen P. Carrol.
Si tratta di una delle prime raccolte di racconti dell’autore, tra quelle che maggiormente hanno consacrato la sua fama e aperto la strada alla corrente del minimalismo, di cui è considerato uno dei padri.
Comparando le due differenti versioni della raccolta, appaiono notevolmente diverse già al primo sguardo: Principianti, la versione integrale, ha un volume superiore al doppio rispetto alla versione rivista, corretta e ritagliata da Lish. Da una lettura anche superficiale, poi, sarà evidente come a subire maggiormente gli interventi dell’editor siano stati molti titoli e soprattutto la maggior parte dei finali (dieci su tredici), per lo più tagliati, lì dove i personaggi si fanno più umani e si svelano più chiaramente al lettore nelle loro debolezze. Carver, dopo aver riletto il suo manoscritto e preso atto di una riduzione di oltre il 70%, comincia a supplicare il suo editor e fidato amico di rispettare la versione di partenza. L’autore riponeva in Lish una fiducia totale e una stima smisurata e a lui doveva anche il successo della sua prima pubblicazione, Vuoi star zitta, per favore?, e a seguito della sua revisione dell’ultima raccolta gli scrive numerose lettere piene di animo, ammirazione e al contempo disperazione per il suo lavoro che vedeva deturpato.
Adesso ho una gran paura, una paura da morire, lo sento, che se il libro fosse pubblicato nella sua attuale forma revisionata, non riuscirei mai più a scrivere un altro racconto, Dio non voglia, per darti un’idea di quanto intimamente senta collegate alcune di quelle storie a rimettermi in salute e recuperare il benessere mentale…
In questa lettera Carver fa riferimento alla sua dipendenza dall’alcool sviluppatasi in concomitanza dei primi successi letterari e da cui proprio la scrittura lo aveva aiutato a risollevarsi. Nei suoi racconti, infatti, ricorrono innumerevoli riferimenti all’alcolismo; i suoi protagonisti sono quasi sempre dei bevitori in cui aveva probabilmente riversato il suo malessere con effetti catartici.
I topoi carveriani ricorrenti, malgrado il pesante editing, sono comunque preservati: il bere, l’atto di ballare, la descrizione di momenti quotidiani ma pieni di significato, l’ambientazione quasi sempre domestica. Sebbene i contenuti permangano, quindi, a variare sostanzialmente è l’atmosfera delle due raccolte e soprattutto il distacco con il quale il narratore descrive la dimensione psicologica dei suoi personaggi.
Un più o meno consistente lavoro sul testo è prerogativa di qualsiasi valido editor e anche l’intervento di Lish è stato perfettamente legale e conforme al contratto stipulato tra i due. Ciò che viene meno, piuttosto, è il rispetto del libero arbitrio dell’autore, le cui richieste vengono ignorate a favore di una strategia che è stata a posteriori definita meramente commerciale. Dove finisce un consapevole lavoro di editing e comincia una vera e propria riscrittura? In che misura viene violata la vera identità del narratore?
Ci tengo molto che alcune delle cose tagliate vengano rimesse nei racconti definitivi. (…) Altrimenti, il narratore viene fuori come uno zoticone, un figlio di puttana, completamente insensibile alle cose che ci è andato raccontando. Altrimenti, perché disturbarsi a raccontarla, la storia, mi chiedo.
Tuttavia, è stato proprio quel fare asciutto, incisivo e incompleto, da “zoticone”, che ha reso Raymond Carver un modello di riferimento studiato da chiunque voglia confrontarsi con la scrittura per la sua maestria nel condensare in frasi brevi e asciutte la profondità del quotidiano.
Cosa sarebbe accaduto se la raccolta fosse stata pubblicata integralmente secondo il volere dell’autore, non ci è dato di saperlo. Visto il progressivo distacco dal suo editor e la limitazione dei suoi interventi nelle raccolte successive, però, è verosimile supporre che la reputazione di Carver non sarebbe stata intaccata ma avrebbe piuttosto assunto connotati differenti.
R. Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, trad. it. Riccardo Duranti, Einaudi, 2015
R. Carver, Principianti, trad. it. Riccardo Duranti, Einaudi, 2014