C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo.
Fabrizio De André
Amo la pioggia, lava via le memorie dai marciapiedi della vita.
Woody Allen
Il web brulica di video dove bambini piccoli scoprono per la prima volta la pioggia. È una sensazione inappagabile, che fa sorridere anche chi della pioggia non ne vuole sapere, perché ritenuta un impedimento alla frenesia delle attività quotidiane. Tuttavia, c’è qualcosa di magico nelle gocce cristalline che scorrono lungo gli ombrelli, tintinnano sui vetri delle finestre e accarezzano la pelle. Per questo la poesia creata dallo spazio offuscato dalla pioggia è fonte d’ispirazione dell’arte. Riesce a dare un tocco nostalgico e malinconico alle opere e a donare più sensualità ai profili.
Come insegnano iconici video musicali, da Cry Me a River di Justin Timberlake a Umbrella di Rihanna, la pioggia fa sexy. Ammorbidisce i soggetti rappresentati e al tempo stesso li rende misteriosi, figure velate dietro la nebbiosità rugiadica. Ma ci sono anche casi in cui la presenza umana non serve, basta un paesaggio claeidoscopicamente trasfigurato a raccontare qualcosa, a trasmettere emozioni non traducibili all’osservatore. Come riesce, dunque, l’arte a declinare la pioggia secondo le sue sfaccettature?
Pioggia come definizione del rapporto uomo-natura
Nazar Bylik, artista ucraino, racconta il rapporto uomo-natura con una rievocazione simbolica della pioggia. La sua scultura in bronzo e vetro, alta due metri, si intitola Rain (2010). Rappresenta un profilo umano, con il volto innalzato verso il cielo e coperto interamente da una grossa goccia d’acqua. L’opera vuol essere un inno al dialogo con il mondo naturale, sempre più difficile, sempre più propenso verso gli interessi umani a scapito dell’ambiente. Ma la distanza tra l’elevata figura umana e la più piccola goccia di pioggia non è così ampia.
L’uomo è composto dal 70% d’acqua e, come la terra, si rivolge al cielo per averne sempre di più. Per questo Bylik dona alla sua scultura una consistenza porosa alla vista, che ricorda la terra. Questa, come l’uomo ciò che riceve in equilibrio, come un dono prezioso, valutandone l’uso. C’è inoltre un invito, nei confronti dello spettatore, a una partecipazione attiva all’opera, alla creazione di un legame empatico, tanto che lo stesso artista afferma: La scultura forza lo spettatore a guardare in alto in previsione di una simile goccia di pioggia. La scultura è visibile presso il Kiev Fashion Park, dove costituisce una delle più attrattive mete turistiche.
Pioggia come cornice urbana velata dal mistero
L’artista ungaro Emerico Imre Toth, invece, dipinge soggetti sconosciuti in una metropoli piovosa raccolta Rainy Days. In ogni opera è dipinta una figura umana sotto la pioggia torrenziale cittadina. È di spalle, nasconde la sua identità, ma porta con sé un ombrello come elemento identificativo. L’ombrello nasconde il volto del personaggio e lo avvolge in un’aura misteriosa, componente caratteristica di una grande città, dove molto spesso non si conosce chi si incontra per la strada, al contrario delle piccole cittadine.
Ogni volto è un volto nuovo, ma non ci è dato conoscerlo. Le figure di Emerico Toth si muovono così solitarie per gli spazi urbani e portano con sé l’irraggiungibilità che accende di più il desiderio, la sete di conoscenza. Lo scenario piovoso, caratterizzato dalle pennellate sfuggenti e accennate di Toth, crea un’atmosfera malinconica, nostalgica. Un incontro sotto la pioggia che poteva accadere ma non è successo, lasciando i suoi protagonisti soli, a inseguire storie già scritte per loro.
Pioggia per raccontare di sé
La pioggia è però anche veicolo di esteriorizzazione emotiva. Quante volte diciamo di essere metereopatici? Così Rosie Hardy, fotografa venticinquenne di Buxton, Inghilterra, usa atmosfere surreali per esteriorizzare la propria interiorità. La pioggia è un elemento ricorrente nei suoi Self Potraits, ovvero una raccolta in cui l’artista si racconta attraverso paesaggi e oggetti. Rosie usa la pioggia sia in absentia, evocandola attraverso l’immagine dell’ombrello, sia in praesentia, dettata dall’aggiunta digitale di un’iconica nuvoletta alla Fantozzi, collocata sopra di lei. La fotografa sceglie di veicolare la narrazione del sé attraverso l’interazione con ciò che la circonda.
La figura non è mai l’oggetto principale dei suoi scatti, ma è armonicamente equilibrata con la realtà surreale, carroliana, che accompagna il tutto. Nei 365 scatti di Rosei, l’acqua piovana diventa dunque un elemento costitutivo del ritratto emotivo che vuole mostrare l’artista nel suo mondo alla Alice in Wonderland.
Pioggia attraverso il vetro
Un’altra narratrice femminile nell’ambito della fotografia è la trentenne Paola M. Franqui. Vive a New York e racconta la sua città in tutte le sue sfaccettature, tra cui anche il ritratto sotto la pioggia. È impagabile per alcune persone la sensazione di tranquillità trasmessa dalla pioggia che batte sul vetro, da un paesaggio annebbiato dalle gocce d’acqua e osservato placidamente dalla finestra della propria camera. È uno spazio a noi conosciuto: la nostra città, il nostro quartiere, la strada sotto casa, ma la pioggia lo trasfigura, lo rende magico, poetico, al più instagrammabile.
Negli scatti newyorkesi di Paola, nonostante la pioggia agisca come filtro annebbiato, sono riconoscibili elementi caratteristici della metropoli, come i palazzoni e i taxi gialli. È qualcosa che appartiene a chi lo conosce, ma che compare per la prima volta sotto una luce diversa.
Pioggia a colori
La pioggia è sempre associata a scenari grigi, nuvolosi, bui, ma il pittore bielorusso Leonid Afremov le regala i colori. Come accade nel film Pleasantville in cui, con la scoperta dei sentimenti, una grigia cittadina americana improvvisamente si colora, anche le gocce d’acqua di Afremov si accendono di tinte brillanti. I paesaggi notturni scelti dal pittore (vedi copertina) sono illuminati dai lampioni, che riflettono la loro luce sugli alberi autunnali. Le strade rifulgono dell’effetto traslucido donato dalla pioggia e non sempre sono presenti figure umane che calcano le vie notturne.
Nonostante la biografia tormentata dell’artista a causa della sua religione, ebraica, malvista dal governo russo, nei ritratti di Afremov non c’è tristezza. I suoi scorci urbani non sono malinconici, ma brillano di una luce propria, raccontano una storia, nostalgica di un impressionismo lontano, forse, ma che piace guardare, senza tristezza. La vasta policromia a olio scelta e poi applicata con la spatola sulla tela, invita lo spettatore in una danza di emozioni.
La pioggia spesso non ci piace, ci dà fastidio, ma è un filtro creativo per raccontare la realtà. Storie sconosciute, scorci cittadini e scenari surreali si intrecciano in forme d’arte sempre nuove e reinventate. È tutto racchiuso dietro lo sguardo, quello che ci accompagna quando in macchina guardiamo il paesaggio scorrere dietro il finestrino bagnato e ci sembra di essere catapultati in un video musicale.