Da archetipo del paesaggio balneare a personificazione del desiderio di solitudine e libertà umana, il faro si racconta nell’arte attraverso le opere che hanno poetizzato la sua funzione storica.
Il faro. Sentinella del mare, guardiano della notte, roccaforte tra le onde. Simbolo di stabilità, di sicurezza, poiché nasce con la funzione di segnalare ai marinai la costa. Un compito pratico che si trasfigura nel ruolo messianico di guida. Laddove c’è luce, c’è speranza, disvelamento chiarificatore di verità. Quella luce intermittente, che si mostra e si nasconde, così come la racconta lo scrittore Italo Svevo ne “La Poetica del Faro e della Formica” per definire la costruzione di un’opera letteraria. Il faro è l’illuminazione che ispira, il sentimento, mentre la formica è colei che cerca la luminosità nell’intermittenza, per riorganizzare i dati secondo una guida.
La storia del faro è antica come il mondo, antica come la navigazione, con cui il simbolo marittimo si è evoluto. Originariamente alimentato dal fuoco e predisposto come luogo di vedetta militare, in seguito è divenuto un edificio rifornito elettricamente e coagulato nell’immaginario artistico come torretta eremitica. Dal Faro di Alessandria d’Egitto del 300 a.C., alla Lanterna di Genova in epoca medievale. La conformazione è sempre triadica. Una torre, una lampada, un sistema di lenti. Un edificio “altruistico”, come lo definisce George Bernard Shaw. Creato solo per servire e aiutare gli altri.
Il Faro era allora una torre argentea, nebulosa, con un occhio giallo che si apriva all’improvviso e dolcemente la sera.
Sono le parole di Virginia Woolf, che, con la sua celebre opera Gita al Faro (1927) dà una connotazione personale, sentimentale e simbolica. La scrittrice trasfigura la meta da raggiungere in una metaforica destinazione irraggiungibile. Mentre all’inizio dell’opera il faro è inaccessibile a causa del maltempo che impedisce la gita, in conclusione si rivela essere un punto di raccordo tra passato e presente. Simbolo di un ricordo, come lascito della vecchia generazione a quella nuova. Il faro diventa così l’esteriorizzazione del desiderio umano di porre ordine nel caos dell’esistenza. È una certezza, tanto stabile quanto è fragile l’animo umano.
La sua più poetica e malinconica rappresentazione trova espressione nella pittura. Nell’800 si incontrano la staticità en plein air degli impressionisti e il dinamismo tempestoso dei romantici. Come impressionista, Georges Seurat si affida alla tecnica del puntinismo per ritrarre solitari paesaggi balneari. In questo caso il faro è un elemento accessorio, di sfondo, che incornicia una più ampia veduta paesaggistica. La narrazione comprende la spiaggia, le barche, fino al molo, come nel caso del Molo di Le Havre di Claude Monet.
Il tutto è avvolto in un’atmosfera meditativa, quella del mare d’inverno. Così come lo racconta Loredana Bertè, dove si intrecciano punti invisibili rincorsi dai cani e stanche parabole di vecchi gabbiani. Questi uccelli, che simboleggiano le anime dei marinai morti in mare, avvolgono spesso il faro, come nell’acquerello di Paloma Montero. Sono gli unici animali, secondo i racconti indiani, che detengono il potere sulla luce, il mare e la terra. Ma nell’opera Bell Rock Lighthouse di William Turner, tutti gli elementi terrestri sembrano scomparire. Rimane solo il mare, avvolto da onde impetuose che abbracciano un bianco faro nascosto tra la schiuma salata.
Turner dipinge il faro di Bell Rock, alto 35 m, a largo della costa di Angus, in Scozia. Il Paese prediletto anche da Virginia Woolf, che ambienta a Skye, l’isola aspra e rocciosa delle Ebridi, il suo romanzo. Ogni artista insomma ritrae un paesaggio a lui vicino, così come Edward Hopper sceglie il Maine e il Massachusetts, portavoci della sua vena regionalista. Cape Cod, la penisola uncinata del Massachusetts, ricorre spesso nelle opere dell’artista. È la perfetta rappresentazione dell’aura malinconica dell’America Pastorale durante la Grande Depressione. Si incanala nelle tinte a olio o acquarellate dei paesaggi, dove il faro assume una posizione preponderante poiché autoritratto dell’artista.
La natura tormentata e isolazionista dell’uomo novecentesco trova la sua identificazione in una torre in mezzo al mare. In un fascio di luce che possa essere evocativo, rivelatore, tanto che la moglie di Edward Hopper, dopo il 1967, disse che per il marito i suoi fari erano diventati autoritratti. Il faro assume un ruolo primario e viene dipinto in tutta la sua maestosità. Diviene personificazione della ricerca di solitudine e libertà dell’uomo, come nel ritratto metafisico Il faro di Renato Guttuso.
In altri casi il faro attraversa superficialmente i dipinti, come elemento identificativo di un paesaggio balneare o di una condizione esistenziale. Si tratta delle opere Les Baigneuses di Pablo Picasso e Interno metafisico (con faro) di Giorgio De Chirico, entrambi del 1918. Al contrario, la fotografia contemporanea gli attribuisce un ruolo di spessore, come elemento nostalgico, che racchiude tutte le connotazioni affibbiategli dall’arte nei secoli. Così Adrian Evans intitola la sua fotografia Vecchio Faro e presenta la torretta corrosa dal tempo e dai ricordi, deteriorata, ma ancora maestosa e poetica.
Allo stesso modo è evocativo e sublime il trittico del Faro di Four nell’onda di Jean Guichard. L’artista sceglie un faro costruito su una roccia di granito in mezzo all’acqua e definito come confine tra l’Oceano Atlantico e la Manica. Gli scatti ritraggono il progressivo avvolgimento della struttura da parte delle onde, che si addensano in un’immensa nuvola bianca dall’effetto particolarmente suggestivo. È così che Guichard abbraccia l’eredità pittorica di William Turner e Anton Melbye.
Ora erano molto vicini al Faro. Eccolo che si stagliava, nudo e dritto, abbagliante di bianco e nero, e si vedevano le onde rompersi in schegge bianche come vetro infranto contro gli scogli. Si vedevano le venature e le spaccature degli scogli. Si vedevano chiaramente le finestre; un tocco di bianco su una di esse, e un ciuffo di verde sullo scoglio. Un uomo era uscito e li aveva guardati con il cannocchiale ed era rientrato. Ecco com’era, pensò James, il Faro che per tutti quegli anni avevano visto attraverso la baia; era una torre nuda su una roccia deserta.
Virginia Woolf, Gita al Faro
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