Pensate a un genio incontenibile, vanesio, irriverente ed eppure irrimediabilmente fragile; pensate a una vita straordinaria tra feste sfarzose e squisiti peccati, aristocrazia e sarcasmo, assenzio e finto perbenismo, tra le fumose vie di una Londra vittoriana fatta di carrozze e dame imbellettate; pensate a un talento riconosciuto immediatamente dal mondo intero e non solo dopo molti anni dall’essere divenuti polvere; pensate ad applausi in teatri affollati e sferzanti aforismi; pensate all’amore proibito, alla speranza e alla felicità trovate nell’ingiustizia; pensate a tutto questo distrutto in un momento, diventando, da personalità più ammirata di un’Inghilterra bigotta e impietosa della fine del Ottocento, il suo scandalo più disgustoso. Pensate infine che l’opera in cui era racchiuso tutto questo, prima amata e letta da tutti, diventi infine la vostra stessa sentenza di morte.
Dal momento in cui Oscar Wilde consegnò il manoscritto del suo primo e unico romanzo, pubblicato prima in più parti sul “Lippincott’s Monthly Magazine” e poi raccolto, con l’aggiunta di molti capitoli, in un vero e proprio volume, la sua persona e Il Ritratto di Dorian Gray divennero inseparabili, tanto nella storia della letteratura, quanto nella mente delle persone di ogni epoca. Improvvisamente non vi fu quasi più distinzione tra scrittore e opera. La figura stessa del suo protagonista, Dorian, impenitente peccatore dedito a qualsiasi tipo di depravazione, tanto da vendere la propria anima per poter rimanere sempre immutato, mentre il suo ritratto sarebbe cambiato al suo posto, divenne nell’immaginario comune dell’epoca – ma così è ancora anche in quello contemporaneo -, il suo doppio letterario, mezzo sicuro per vantarsi delle proprie smodate passioni e crimini di immoralità. La frenesia interpretativa che lo perseguitò raggiunse il suo culmine quando, processato per sodomia e depravazione, la lettura di diversi passi dal Ritratto venne presentata in aula come prova schiacciante della sua colpevolezza. Wilde venne condannato, arrestato, privato di tutti i suoi possedimenti, costretto ai lavori forzati; in carcere si sarebbe poi ammalato di un’infezione di cui, pochi anni dopo il suo rilascio, infine morì, in completa povertà e solitudine. Tutte le copie de Il Ritratto di Dorian Gray in vendita, così come le sue commedie e favole, vennero bruciate per spregio.
Per quasi due secoli ormai, Oscar Wilde è stato considerato dal mondo non solo uno dei pilastri fondamentali della letteratura moderna, ma anche uno dei tanti martiri che bigottismo e omofobia hanno disseminato lungo i sentieri della storia. La sua tomba dalle sembianze di sfinge, nel cimitero parigino di Père Lachaise, è stata letteralmente sommersa da secoli di baci lasciati col rossetto, rose, biglietti e regali d’addio.
Chiunque legga le edizioni canoniche de Il Ritratto di Dorian Gray, sia in lingua originale che in traduzione, lo riconoscerebbe immediatamente come immortale manifesto di devozione verso Arte e Vita, potente enunciato di una nuova filosofia edonistica, completamente protesa verso l’adorazione di una Bellezza dalle forme antiche. Al medesimo tempo, i fili che vi si intrecciano prendono a tratti anche la forma di un inquietante, sebbene finemente affrescato, romanzo gotico, mescolato a una sottile critica sarcastica verso l’Era Vittoriana. Eppure, forse, la forma più ineffabile e interessante di questo romanzo, ci viene donata da quell’appena abbozzato grido silenzioso che sembriamo incontrare all’angolo di ogni pagina, in nome di quell’Amore che “non osa pronunciare il proprio nome”: allusioni appena sussurrate, gesti poco chiari, intenzioni disperate di un desiderio omosessuale che non poteva essere espresso esplicitamente in nessuna forma, neanche all’interno di un’opera letteraria di altissimo livello.
Questa è la visione che lettori e studiosi insieme si sono fatti di Oscar Wilde e del suo più grande capolavoro: un’opera complessa, filosofica e finemente allusiva verso antiche forme di omosessualità ellenica irraggiungibili nella contemporaneità dell’autore.
Ma la realtà potrebbe essere del tutto differente.
Negli ultimi anni, per la prima volta dalla sua originale pubblicazione, è stata data alle stampe dalla Harvard University Press un’edizione del manoscritto originale de Il Ritratto, chiamata The Uncesored Picture of Dorian Gray, che rispecchia esattamente la forma in cui Wilde l’aveva consegnato nel lontano 1890 nelle mani del suo editore, J.M. Stoddard, il quale, oltre modo allarmato dal suo contenuto, apportò senza né il consenso né la supervisione dell’autore importantissimi tagli e modifiche al testo originale, addirittura affiancato da un team di altri sei colleghi, i quali addirittura si spinsero tanto oltre da riscrivere alcune frasi e concetti sfumandoli e parafrasandoli, dichiarando orgogliosamente che:
Una volta finito, non ci sarà signora rispettabile a Londra che si sentirebbe a disagio sfogliando le pagine di questo libro.
Il disagio, come noi purtroppo sappiamo, vi fu lo stesso, ma il risultato di quest’opera di vandalismo letterario, più l’aggiunta di capitoli che essi richiesero a Wilde per rendere l’opera più corposa, costituisce il romanzo che noi oggi conosciamo e apprezziamo. E questa consapevolezza sta mettendo molto a disagio sia i lettori che la critica, ponendoci di fronte a molti problemi interpretativi e di etica artistico-editoriale.
Anche se tutt’oggi i critici letterari e gli studiosi di filologia delineano la pubblicazione di un testo letterario come una mediazione tra il lavoro di uno scrittore e quello di un editore, la relazione tra le case editrici vittoriane e i propri autori era vertiginosamente sbilanciata, specialmente se, come nel caso di Wilde, l’autore non aveva mai pubblicato nulla, arrivando persino, come si indignò Thomas Hardy, a “pilotare e agire come regolatori impietosi dei soggetti letterari che sono alla base dell’arte immaginativa da quando la letteratura fu elevata alla dignità di arte”.
Questa irrispettosa attitudine degli editori vittoriani coinvolse pienamente anche Il Ritratto: a un attenta lettura della versione originale, si trovano lampanti riferimenti più che espliciti all’amore omosessuale di Basil, il pittore del dipinto, nei confronti di Dorian, riferimenti che vanno ben al di là del mero amore platonico o dell’allusione. La vera versione del romanzo ci regala un turbinio di desideri fisici, gesti distratti di mani sulle mani, carezze e cosce che si sfiorano, quando seduti vicini e appoggiati su eleganti bastoni da passeggio. È un amore che finalmente si esprime in tutte le sue normali forme quello di cui siamo testimoni in questo antico eppure così nuovo romanzo, nel quale sembra sia stata soffiata nuova vita, quasi come se Wilde stesso si fosse ridestato dal suo sonno centenario e si fosse ritrovato in un mondo moderno in cui poteva, finalmente, scrivere quello che desiderava, in completo accordo con quella primavera dei diritti lgbtq+ che si sta rivelando la nostra era.
Vi era amore verso Dorian in ogni linea di quel ritratto, in ogni tocco vi era la mia passione per lui.
Questa pubblicazione, ovviamente, ha drasticamente scosso la visione d’insieme che il mondo aveva di uno dei romanzi più famosi dell’ultimo secolo. Dove tutti pensavano che Wilde volesse alludere, in accordo con le restrizioni morali della sua epoca, il suo intento era invece quello di esplicitare. La sua rivoluzione, probabilmente, non voleva essere solo artistica, ma anche sessuale e morale. La storia ha quasi sicuramente fagocitato per cent’anni quello che forse voleva essere il significato ultimo e più importante dell’opera.
Il problema di morale artistica appare evidente. Così impietosamente censurato dai propri editori, i capitoli che Wilde scrisse successivamente in aggiunta al romanzo avevano già un taglio del tutto differente, molto più incentrati sull’estetismo che sull’amore omosessuale. Avrebbero avuto lo stesso contenuto se fosse stato libero di esprimersi come avrebbe voluto? Non possiamo saperlo. Ma il dilemma più importante è ancora più grave: approvando in pieno le parole dell’autore riguardo all’ossessività degli scrittori nei confronti del proprio lavoro, quando sosteneva che addirittura per decidere se mettere o togliere una virgola da un proprio testo di solito impiegava tutta la giornata, sorge spontaneo domandarsi quanto un’opera così pesantemente rimaneggiata senza alcuno scrupolo, e da così tante persone (almeno sette, escludendo Wilde stesso), possa appartenere al proprio autore.
Non entreremo qui nel merito di quale sia la versione stilisticamente e artisticamente migliore, né quale sia delle due quella più godibile, si tratterebbe più di opinioni e speculazioni che di fatti reali. Non possiamo però evitare di vedere, alla luce di questa scoperta, Oscar Wilde in modo nuovo, spinto da sentimenti forse meno fragili e più completi, un fiero orgoglio verso i suoi desideri e le sue passioni traspare da ogni pagina del suo manoscritto. Non possiamo evitare, allo stesso modo, di vedere ora sotto una luce diversa un romanzo che molti di noi pensavano di conoscere alla perfezione. Come ci avrebbe influenzato e ispirato diversamente, se avessimo avuto modo di leggere esclusivamente la versione che l’autore aveva inteso arrivasse a fino noi? Il romanzo per eccellenza che dovrebbe “rivelare noi a noi stessi”, ci avrebbe appassionato e intrigato allo stesso modo? Non possiamo saperlo. Questa pubblicazione pone tante domande senza donarci realmente nessuna risposta o rassicurazione. Sicuramente la pubblicazione di The Uncesored Picture of Dorian Gray ci ha donato uno stralcio su una parte fondamentale della storia di uno degli autori, e romanzi, più amati di tutti i tempi.
La versione originale del manoscritto è attualmente disponibile solo in lingua originale ed è dal 2011 intensamente studiata e apprezzata da eruditi e appassionati di tutto il mondo.
Perversion and degeneracy in The Picture of Dorian Gray, Roger Luckhurst
The Real Trial of Oscar Wilde, Merlin Holland
The Uncensored Picture of Dorian Gray, Oscar Wilde, Harvard University Press