Io so la storia di un uomo che racconta le storie. Gli ho detto molte volte che non credo le sue storie. “Lei mente” gli ho detto “lei imbroglia, lei inventa, lei inganna”. Questo non lo impressionò. Continuò tranquillamente a raccontare, e quando io gridai: “Lei mentitore, lei imbroglione, lei inventore, lei ingannatore!” mi guardò a lungo, scosse la testa, sorrise tristemente… – Peter Bichsel
Sin dagli albori della civiltà umana, l’uomo ha sempre raccontato delle storie. Ancora prima dell’invenzione della scrittura, quando il mondo era ancora nuovo ai nostri occhi e le notti illuminate solo dalla fredda luce delle stelle, eccoci già lì a narrare, con colori d’argilla e su pareti di grotta, la più antica delle letterature.
Quasi fosse un bisogno primario al pari del respirare o del bere, da quando si ha memoria gli uomini hanno sempre cercato ogni mezzo possibile per esternare i mille racconti che si agitavano in loro: per i primitivi sono stati i disegni rupestri, per gli antichi, geroglifici e simboli; per i greci, detentori del seme mircoloso da cui nacque ogni cultura, prima dello scrivere vi fu la voce – una delle più grandi e commoventi delle letterature di tutti i tempi, quella recitata e ricordata dagli aedi ellenici, prima che alla carta, fu affidata all’eterna cura di Mnemosine e al canto.
Le storie, quelle scritte e quelle tramandate, ben presto divennero mito, e il mito religione. Arte scritta e memoria collettiva le resero immortali. L’universo stesso veniva spiegato attraverso di esse. Ancora oggi, com’è sempre stato, per alcuni di noi la pulsione del narrare, di spiegare e spiegarci attraverso labirinti di mille e mille trame, è inscindibile dal nostro esistere.
Scribo, ergo sum.
Potremmo affermare con fiera sicurezza, – e saremmo tutti concordi nel farlo -, che da sempre la letteratura sia stata alla base di ogni nostra conoscenza, fondamento e parte essenziale della nostra educazione civile ed emotiva. Molti di noi hanno imparato a vivere leggendo. Leggere ci ha consolato, ispirato, rivelato verità meravigliose e terribili in egual misura. Si legge e si scrive per esplorare nuovi mondi, per accorgerci che in realtà essi abitano nel nostro; la letteratura, così come la filosofia, vuole mettere in discussione l’ovvio, superarlo, arrivando a una visione più pura e completa di quel tutto che tanto vogliamo ridurre a una sola, elegante teoria.
Ma cosa accadrebbe se la filosofia stessa mettesse tutto questo in discussione?
Nel corso dei secoli, moltissimi sono stati i pensatori che hanno trascinato la letteratura dinanzi al loro spietato tribunale, contestandole ogni valore cognitivo e gnoseologico. In poche parole, dato che essa sarebbe costituita da tutta una serie di fatti inventati, che gli scrittori si impegnano a far passare per veri al fine di colpire e coinvolgere i propri lettori, moltissimi filosofi hanno ritenuto di concluderne che la letteratura, per quanto possa effettivamente divertirci e intrattenerci, a volte anche ispirarci, non sia effettivamente in grado di insegnarci nulla che non abbia lo stesso valore di una menzogna.
Questa scuola di pensiero, indirizzata a tutte le forme d’arte, ma particolarmente urgente per quanto riguarda le lettere, basata sull’assioma filosofico che in logica ogni proposizione veicola un valore di verità, ha addirittura portato a considerare ogni poeta un “bugiardo di professione“, dedito a confondere e sviare le persone dal raggiungimento di quel vero assoluto tanto caro ai teoreti di tutti i tempi. Le opere letterarie, quindi, agglomerato elegante di tutte le fantasie della storia dell’uomo, non sarebbero altro che il massimo esponente di quelle pericolose menzogne che ci impediscono di giungere alla vera conoscenza.
E’ ovvio che, nel momento in cui Virginia Woolf scrive per noi, nella prima frase del suo più celebre romanzo, “La signora Dalloway disse che sarebbe andata a comprare lei i fiori“, noi tutti siamo pienamente consapevoli che né lei né i suoi preziosi fiori siano veramente mai esistiti. La conclusione più logica ne è quindi, almeno per certi filosofi, che “tutti i poeti mentano“.
Tra filosofia e arte poetica vi è un disaccordo antico. – Platone, Repubblica
Primo e più celebre sostenitore di questa teoria fu il grande filosofo greco Platone, il quale, già affermando che il nostro mondo fisico non sia altro che il distorto riflesso di una realtà più alta, quella delle Idee, si trovò a considerare la letteratura come una perversa imitazione dell’imitazione, che allontanerebbe ulteriormente e pericolosamente dalla già irraggiungibile verità delle cose. Il poeta viene da lui definito nient’altro che un “ciarlatano, un imitatore” – cosa che può far in qualche modo sorridere, dato che egli stesso viene oggi considerato uno dei massimi esponenti della letteratura di tutti i tempi.
Altro famoso esempio furono le parole di David Hume, che, nel suo Trattato sulla Natura Umana, critica aspramente gli scrittori riguardo il loro intento di spacciare dei fatti inventati per verità:
I poeti stessi, benché mentitori per professione, cercano sempre di dare una parvenza di verità alle loro finzioni; e dove questa parvenza mancasse del tutto, le opere, per quanto ingegnose, non offrirebbero gran diletto.
Il celebre filosofo britannico John Locke, poi, sosteneva che le finzioni letterarie, rafforzate dal potere dell’eloquenza, non avessero altro scopo che quello di suscitare nei lettori delle passioni incontenibi, le quali avrebbero a loro volta condotto verso giudizi fuorvianti, che egli definiva “perfetti inganni“. Eppure Locke riconosceva pienamente, anche nel suo scetticismo, il potere devastante e inarrestabile dell’arte poetica, concludendo che:
L’eloquenza, come il bel sesso, ha in sé malie troppo potenti per sopportare che se ne parli contro. Ed è vano biasimare queste arti dell’inganno in cui gli uomini trovano piacere a essere ingannati.
La letteratura sarebbe, dunque, un inganno dal dolce sapore.
Ma sarebbe sbagliato circoscrivere l’atteggiamento filosofico anti-cognitivista nei confronti della letteratura al solo passato: è infatti da ricordare come esso sia stato presentissimo anche nelle scuole di pensiero più in voga del moderno Novecento. Per Bertrand Russell, uno dei filosofi di spicco del periodo, le proposizioni scritte avrebbero valore di verità solo se descrivono fatti reali. Famosa fu la sua ampia critica all’Amleto di Shakespeare, che definì “un’articolata menzogna, Amleto non è mai esistito“.
Alla luce di ciò, la domanda sorge spontanea: queste teorie sono da considerarsi valide? La letteratura, così come l’arte in modo più ampio, ha davvero meramente un valore di intrattenimento?
Come per ogni teoria filosofica, è tutta questione di punti di vista; pare doveroso, però, sottolineare come la maggioranza degli eruditi e, ovviamente, degli scrittori della storia, si sia pronunciata contro questo modo di pensare. John Searle sostiene che, una volta che si è all’interno dell’arte poetica, la connessione tra parola e mondo rimanga in qualche modo sospesa, rendendo tutto lecito, in una storta di intricato gioco linguistico. David Lewis, invece, pensava che i testi letterari potessero addirittura comprendere verità non del mondo attuale, ma di altri mondi possibili. Alcune correnti di critica letteraria moderna, poi, chiamate “decostruzioniste“, affermano che i testi letterari non siano altro che simboli che interagiscono con altri simboli e che i loro concetti esistano solo all’interno delle pagine dei libri, così come le parole che li compongono.
È giusto tenere in considerazione, comunque, che la volontà di ridurre quello che è a tutti gli effetti il nostro più grande mezzo di espressione interiore e di comprensione sensibile, a qualcosa di vero o falso, bianco o nero, valido o inutile, a molti potrebbe sembrare un approccio superficiale a una delle invenzioni antropologiche più profonde di cui siamo mai stati capaci.
A questo proposito, il manifesto del movimento esteta dell’Art for Art’s Sake, scritto da Oscar Wilde e largamente ispirato da Walter Pater, può senza dubbio venirci in aiuto:
Non esistono libri morali o immorali. I libri o sono ben scritti o sono mal scritti. E questo è tutto.
FONTI
Il valore cognitivo della letteratura, Wolfgang Huemer
L’America non esiste, Peter Bichsel
Filosofia della letteratura, Carola Barbero
CREDITS
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