Django Unchained: Quando il Western si Rinnova

Nel momento in cui il western sembra sul punto di sparire o sopravvivere come macchia di se stesso, alcuni autori lo riprendono, cambiandone i connotati e dandogli nuova linfa. Questo testimonia quanto un genere o una narrazione possano essere radicati in una nazione tanto da costituirne le fondamenta. Tra questi registi troviamo Quentin Tarantino con “Django Unchained” uscito nel 2012.

Quest’opera rimanda a un film di diversi anni fa, “Django”, uscito nel 1966 e diretto da Sergio Corbucci con protagonista Franco Nero, da cui riprende anche la colonna sonora. Le somiglianze si esauriscono quasi del tutto qui. Il protagonista del Django originale è un pistolero che, spinto dalla vendetta, si sposta trascinandosi dietro una bara contente una mitragliatrice. Siamo già nell’era dello Spaghetti Western: il cowboy è stato pesantemente declassato.

Il protagonista del film di Tarantino invece è uno schiavo nero, di nome Django, interpretato da Jamie Foxx. Già questo fatto ha una portata rivoluzionaria. Django viene liberato dal dottore tedesco Schultz, che si scopre essere un cacciatore di taglie. I due da subito instaurano un rapporto molto solidale, capace di portare profitto ad entrambi. Schultz ha bisogno di un compagno per portare a termine una serie di compiti, Django si serve delle conoscenze del medico per ritrovare la moglie Broomhilda, anch’essa schiava in una piantagione.

Il nostro eroe diventa un tiratore molto abile che, con l’esperienza, impara ad abbandonare ogni remore per diventare freddo e implacabile. L’improbabile coppia porta a termine il lavoro per cui Schultz lo aveva assoldato (assassinare i fratelli Brittle); durante la sparatoria le scene al rallenty pongono un’enfasi particolare sulla violenza. In un fotogramma il bianco del cotone è sporcato del sangue di un altro uomo bianco; è la rivincita degli schiavi che per secoli ha dovuto subire innumerevoli soprusi.

Successivamente giungono a CandyLand, una tenuta di proprietà dello spietato Calvin J. Candie (interpretato da Leonardo di Caprio)  poiché sanno che lì si trova Broomhilda. Mr. Candie è un appassionato di lotta e organizza nella sua dimora scontri all’ultimo sangue tra neri. La strategia del due è chiara; fingersi compratori di lottatori e cercare di includere nella trattativa la serva Broomhilda. Tutto sembra filare liscio ma alcuni sguardi troppo intensi tra Django e la moglie tradiscono il piano. Ad accorgersi del sentimento che intercorre tra loro è Stephen (Samuel L . Jackson), il capo dei servi della tenuta, che avvisa subito Candy. Stephen è un vecchio di colore, un individuo viscido che ha tradito la sua gente pur di vivere nell’agio e ingraziarsi il padrone bianco.

A questo punto la situazione degenera. Schultz non sopporta più la prepotenza di Candy e decide di freddarlo, ma viene ucciso anch’egli subito dopo. Django resta da solo a completare l’opera. Il finale è un bagno di sangue; la vendetta è particolarmente violenta nei confronti di Stephen che viene gambizzato e fatto soffrire enormemente prima di essere giustiziato. Candyland è data alla fiamme e Django e Broomhilda possono finalmente cavalcare insieme verso la libertà.

Il filo conduttore dell’opera è rappresentato dal tema della schiavitù, una delle pagine dolenti della storia americana. Il film è un western atipico, con un ambientazione decisamente “southern” che rimanda al Mississipi e ai grandi latifondi con piantagioni e manodopera illegale. Tarantino riesce con la sua idea di cinema ad affrontare un argomento così delicato usando le armi a sua disposizione. Grazie all’ironia (esilarante l’entrata in scena del Ku Klux Klan, rappresentati come una banda di decerebrati) e alla violenza esagerata (suo tratto caratteristico), è possibile non prendere troppo sul serio quello che si sta guardando. Nonostante ciò resta intatta la sua innegabile abilità di proporci una riflessione.

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