Leonardo caput mundi. Dopo sei anni riapre la Sala delle Asse

Finalmente dal mese di maggio sarà possibile contemplare uno degli affreschi più affascinanti e controversi della storia dell’arte leonardesca. Al Castello Sforzesco di Milano la celebre Sala delle Asse riapre i battenti ai suoi visitatori, lasciando però tutti sbalorditi e non poco dubbiosi.

Dal 2013 dopotutto, l’intervento di restauro impiegato durante questi anni non ha modificato o “ripulito” la Sala delle Asse del suo già noto e disastrato aspetto, ma si è servita di alcune indagini spettrometriche per valutarne lo stato di conservazione parecchio compromesso, non meno di quello che potremmo già trovare con un’altra opera puramente – e solamente aggiungerei – iconica di Leonardo, nonché il Cenacolo Vinciano di Santa Maria delle Grazie.

Quello che è stato valutato e studiato primariamente è invero la momentanea possibilità di rallentare il degrado di questo affresco plurisecolare, rendendo quindi visibili le sue decorazioni dopo un’attenta pulitura delle superfici.

Si potrà assistere ancora una volta a una lezione interattiva di pochi minuti, già pensata per l’Expo del 2015 e volta a ripercorrere le fasi di commissione, di realizzazione, di “distruzione” e di restauro di questa sala, dai primi accordi suggellati tra l’artista toscano e il duca Ludovico Sforza, fino alle contorsioni involute che l’hanno irrimediabilmente devastata.

Una moda vincente, quella della video-interattività, che oltre a proiettare immagini molto interessanti od ologrammi con un fine informativo, non riesce talvolta a mettere in risalto quello che realmente potremmo già definire opera d’arte. Questa volta però il gioco vale la candela e si restituisce una corretta leggibilità dell’opera.

Qui la colpa però non è affatto di chi arriva armato di nuove tecnologie di comunicazione; paradossalmente le radici involontarie dell’error leonardesco stanno conficcate nel terreno esperienziale proprio di colui che questa sala l’ha disegnata e decorata, dallo stesso Leonardo fino ai postumi rimaneggiatori del primo ‘900 e del 1954.

Facciamo però un passo indietro.

Quando Leonardo si presentò a Ludovico Sforza, oltre a omaggiarlo di un particolare strumento musicale a forma di teschio di cavallo – una lira che lo stesso artista definì “cosa bizzarra e nuova” – consegnò al Duca di Milano una lettera che potremmo considerare a tutti gli effetti un curriculum vitæ ante litteram.

Per rendere immediatamente valido il suo servizio presso la Corte Sforzesca, Leonardo illustrava le proprie versatili capacità, ricche e molteplici di una documentata competenza, maturata in una gamma di diversi campi di attività. Va ricordato infatti che Leonardo si proponeva in primis come ingegnere militare e civile, come architetto, o scultore e solo infine come pittore.

Leonardo, educato dal Verrocchio, aveva solo trent’anni, e pur essendo consapevole del valore delle sue conoscenze pratico-intellettuali, pubblicizzava di sé molto di più il lato operativo bellico.

“Secondo la varietà de’ casi, componerò varie et infinite cose (…)”

Leonardo fu infatti assunto principalmente in qualità di ingegnere ducale e continuò a operare per diciassette anni nel capoluogo lombardo. Nei medesimi anni in cui gli fu commissionato il Cenacolo, Leonardo eseguì la decorazione della Sala delle Asse in questione, proprio a cavallo tra il 1497 e il 1498.

Questo ambiente fu ideato, seguendo la sua forma quadrangolare, come un cortile semichiuso che potesse riprodurre il cielo aperto, un etere di colori incorniciato da possenti tronchi d’albero e da fronde folte in grado di ricreare una penombra elegantemente disegnata a mo’ di pergolato.

Imitare la natura, in un continuo circolo tra mymesis e valori encomiastici, fu a tutti gli effetti l’intenzione primaria di Leonardo. Costui, insieme ad alcuni collaboratori, decise di riprodurre uno scenario naturalistico governato al centro del soffitto dallo stemma degli Sforza, e tributando a Ludovico il moro l’utilizzo grafico delle piante stesse, non a caso del gelso-moro.

L’incrocio trai rami, atti a formare archi acuti e a intessere uno schema nodoso di fogliame e tronchi, si replica con una simmetria geometrica curatissima e degna del suo realizzatore.

Quello che però abbiamo capito è che la conservazione risulta particolarmente compromessa, in primis dopo che la sala fu conquistata dalla dominazione francese, coperta di calce bianca e dalle assi di rovere poste alle pareti (ed ecco spiegato il nome della sala), in secondo luogo ne sono la causa gli interventi di restauro che nel giro di cinquant’anni, a partire dal 1900, hanno compromesso tutta la strutturata stratificazione cromatica, alterandone l’autenticità.

Qui la disattenzione contemporanea dell’artista era pressoché inesistente; Leonardo lavorò bene e rapidamente, mentre l’umidità iniziò sin da subito a commettere il suo misfatto. Non sono neppure paragonabili gli errori tecnici di un Lorenzetti con la stesura a pigmento su cera e calderone per gli affreschi del Buon Governo a Siena.

Vi consigliamo di visitare il castello Sforzesco, e se l’avete visto da poco di rivisitarlo ancora, perché la lezione interattiva studiata dai nuovi curatori è pensata al fine di mostrare le variegate particolarità strutturali della sala, riportando in nuce l’immagine degli alberi disegnati da Leonardo, capaci di tributare onore e gloria al simbolo di una generazione nata, distrutta, e nuovamente risorta nell’arte e nella storia.

Va inoltre ricordato che la mostra è pensata per tributare al genio da Vinci il giusto merito artistico, e si potrà anche prendere visione di alcune opere, concesse per cortesia dalla famiglia reale inglese, che mostreranno ai visitatori le realizzazioni da carboncino di Leonardo; tra questi ricordiamo l’imperdibile Studio di albero, probabilmente un fico, datato 1506 (Windsor, RL 12417 r.).


FONTI

Comune di Milano

Leonardo da Vinci, Simona Cremante, Carlo Pedretti (a cura di), Giunti Editore, 2005.

 

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