Ora che sono diventato vecchio mi sono reso conto di avere soltanto due certezze. La prima è che i giorni che iniziano con una remata sul lago sono decisamente migliori degli altri. La seconda è che il carattere di un uomo è il suo destino. E da studioso di storia trovo difficile confutare questa teoria.
Scritto e diretto da Michael Hoffman, “Il Club degli Imperatori” è un piccolo capolavoro che ci accompagna da quasi vent’anni nel panorama del cinema formativo ed educativo. Da alcuni è stato definito un erede, se non il fratello, de “L’attimo fuggente” con Robin Williams, uscito nel 1989.
Il protagonista e voce narrante della storia è William Hundert (Kevin Kline), un professore di storia antica del “Saint Benedict College” in Virginia; per anni si è preoccupato di insegnare ai suoi studenti i fondamenti del nostro passato e di plasmare i loro caratteri in modo che seguissero onestà e correttezza. Alla fine di ogni semestre, i migliori allievi entrano a far parte di un circolo ristretto di menti brillanti scelte da Hundert, il cosiddetto “Club degli Imperatori”: tali menti si sfidano in una gara di nozioni di storia romana e il migliore viene infine incoronato Giulio Cesare.
La tecnica ideata dal professore è estremamente apprezzata dai suoi allievi, ma a sua volta osteggiata dal preside dell’Istituto, convinto che metodi simili siano obsoleti.
La situazione cambia ulteriormente a metà dell’anno, quando arriva un nuovo studente di nome Sedgewick Bell, figlio di un noto senatore. Il ragazzo si dimostra totalmente ostile allo studio, nonché un pessimo esempio per gli altri allievi, che lo seguono affascinati dalla sua anima ribelle.
I vani tentativi di Hundert per stimolare il ragazzo creano una palpabile tensione tra i due, fino a quando il padre dei Sedgewick non consiglia al professore di allentare la presa sul figlio, concentrandosi maggiormente sulla semplice preparazione scolastica più che sulla formazione caratteriale. Incredibilmente, la maggiore libertà concessa a Bell lo rende più interessato alla materia di Storia, rendendolo uno dei migliori studenti del corso e garantendogli, su scelta del professore, l’ingresso nel Club degli Imperatori al posto di un altro studente brillante.
Durante la gara, Sedgewick bara per vincere, utilizzando dei bigliettini nascosti nella manica della toga; il professore, accortosi dell’imbroglio e fortemente amareggiato, lo spiazza facendogli una domanda a cui non avrebbe saputo rispondere, causando la sua eliminazione dalla competizione. Egli prende il trucco dello studente come un fallimento personale, ma decide di andare avanti, fino al giorno degli esami finali ai quali il ragazzo arriva con una media appena sufficiente per essere promosso e poi sparire.
A distanza di venticinque anni, Sedgewick è ormai diventato un uomo di famiglia e un politico di successo come il padre e decide di invitare tutti i suoi ex compagni di scuola, incluso il professor Hundert, ad una rimpatriata che includa una rivincita del Club degli Imperatori. Sorpreso e compiaciuto nel vedere nuovamente tutti i suoi studenti, il professore organizza con attenzione la competizione, includendo in essa le sue menti più brillanti, incluso Sedgewick, per dargli una seconda occasione.
Sorprendentemente, Sedgewick bara un’altra volta usando una piccola auricolare da cui riceveva le risposte, sconvolgendo ancora di più Hundert; questi decide quindi di spiazzare nuovamente il suo ex-allievo con una domanda a cui non avrebbe potuto rispondere nessuno se non uno degli altri studenti, in quanto Sedgewick era arrivato nel college a metà semestre. Bell viene quindi nuovamente umiliato davanti ad amici e parenti e si sfoga in privato con Hundert, dicendogli apertamente che non gli importava nulla dei suoi principi, ma che solo le bugie danno potere. Le sue parole costernano il docente, che si rende conto di aver sbagliato a dargli un’altra occasione.
Tornato a scuola come docente di storia antica, Hundert accoglie un nuovo studente con problemi di apprendimento, il figlio di Martin Blythe, ossia il ragazzo che avrebbe dovuto prendere il posto di Sedgewick nella prima competizione: è l’occasione per ricominciare da zero e plasmare nuove menti al cospetto della conoscenza stessa.
Il Club degli Imperatori è probabilmente una delle storie con la morale più forte e significativa; rappresentante a pieno la vita e i sentimenti di un professore che ama la sua materia e che non può vivere solo di successi. La contrapposizione netta tra Hundert e Sedgewick è un richiamo a quella tra vecchio e nuovo: il professore usa metodi retrogradi ma efficaci, il ragazzo invece bara e sfrutta ogni occasione per ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, fallendo miseramente. E’, se vogliamo, una metafora del mondo moderno.
La totale incapacità di imparare dai propri errori, l’assoluta convinzione di essere nel giusto in ogni situazione e la mancanza di empatia verso la conoscenza sono il più grande fallimento di Sedgewick stesso, nonostante il suo successo apparente. Hoffman è stato capace, in appena 90 minuti, di racchiudere tutta l’essenza dell’insegnamento tradizionale, quello in cui un professore non si limita solo a trasmettere informazioni, ma si preoccupa di disegnare una strada definita che i suoi allievi possono o non possono seguire.
Tutti quanti, prima o poi, siamo costretti a guardare noi stessi allo specchio e a vedere chi siamo davvero. E quando verrà il suo giorno, Sedgewick, lei avrà di fronte a sé un’intera esistenza vissuta senza virtù e senza principi. E per questo ho pietà di lei. Fine della lezione. – William Hundert
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