Uno degli autori teatrali maggiormente portati in scena è indubbiamente William Shakespeare, sempre capace di suscitare un grande interesse nel pubblico. Proprio per il vasto numero di rappresentazioni che vengono fatte delle opere di questo autore si è via via resa sempre più necessaria una rielaborazione del testo shakespeariano e, talvolta, un riadattamento utile ai fini dell’attualizzazione dei drammi.
In questa direzione si è mossa la scuola teatrale di Studio Novecento portando in scena lo spettacolo Il circo dei morti presenta: i fantasmi di Amleto. La messa in scena dello spettacolo è assolutamente particolare e fuori dall’ordinario. Non si tratta infatti di una semplice rappresentazione del testo di Amleto ma di un vero e proprio studio sulla tragedia e non solo: il testo shakespeariano viene infatti utilizzato come strumento per approfondire la tematica del fallimento del teatro. L’utilizzo del testo di Amleto avviene poiché riconosciuto come la più “teatrale” delle opere teatrali e perciò massimamente adatto allo scopo ultimo dello spettacolo.
Lo spettacolo si sviluppa su diversi piani che si intersecano e sembrano dialogare tra loro: al primo livello si trovano gli attori reali che interpretano gli stessi interpreti all’interno del dramma. A loro volta questi recitano scene dell’Amleto ricoprendo i ruoli dei personaggi del dramma. Esternamente alle scene shakespeariane, che rappresentano l’ultimo piano di finzione, si colloca una cornice metateatrale che spinge lo spettatore alla riflessione. Un attore – il regista – siede tra il pubblico e dialoga con la sua compagnia, chiamando tra un intermezzo e l’altro le diverse scene, in un ordine che cambia di sera in sera, sconosciuto per gli attori stessi, che non segue la trama originaria: può infatti capitare di vedere Ofelia morire prima che Amleto scelga di interrompere la loro storia d’amore.
Lo spettacolo non ha né un inizio né una fine, è come una finestra che si apre e mostra una parte di qualcosa di più ampio. Uno squarcio sulla scena reso particolarmente intimo e inquietante dalla presenza di un pubblico poco numeroso. La rappresentazione è infatti pensata per essere svolta in uno spazio ristretto e con un numero molto limitato di spettatori, appena 40. Questo rompe in qualche modo la quarta parete, quel muro immaginario posto davanti al palco di un teatro attraverso il quale il pubblico osserva la messa in scena che si volge all’interno del mondo teatrale. Ci sono alcuni elementi che contribuiscono alla compenetrazione di due mondi generalmente separati, quello della rappresentazione scenica e quello invece dello spettatore.
Innanzitutto il pubblico entra all’interno della sala in cui si svolge lo spettacolo – la scuola di teatro Studio Novecento – a spettacolo già iniziato. Gli attori sono in scena, alcuni girano per la stanza, come capita per l’usciere e la donna delle pulizie, questi interagiscono con il pubblico, lo accolgono e creano situazioni spontanee, di pura improvvisazione. La recitazione vera e propria ha inizio quando tutti gli spettatori hanno preso posto, un posto estremamente vicino alla scena, contiguo. E non ha una fine. Il pubblico infatti viene spinto ad uscire mentre gli attori sono ancora in scena, sbirciando dalle finestrelle dal cortile verso l’interno, nella penombra si vede lo spettacolo andare avanti, anche senza pubblico.
Le 12 sequenze che costituiscono lo spettacolo, poste in ordine casuale e continuamente in evoluzione, sono le classiche scene dell’Amleto, anche se sono rese particolari da alcuni dettagli. Per esempio Amleto è portato in scena da un’attrice, non da un attore, che recita per gran parte dello spettacolo a busto scoperto. Questo rende difficile per lo spettatore dimenticare che l’uomo è in realtà una donna. E invece no, arrivati a un certo punto della rappresentazione questo sembra passare in secondo piano. L’uso magistrale del nudo artistico che viene fatto all’interno dell’intera rappresentazione crea un effetto fortemente drammatico, che porta il pathos di alcune scene a livelli estremi, come capita per esempio nella scena del suicidio di Ofelia, resa fortemente struggente non solo per esigenze circostanziali, dato che si tratta di un suicidio, ma dalla carica espressiva trasmessa da una corporeità preponderante e violenta.
L’uso del corpo, portato in scena e rivestito di una nuova e spiazzante umanità, è unito alla presenza di testi eterogenei, che integrati al dramma di Amleto risultano coesi e riescono ad amplificare il messaggio dell’intero spettacolo. All’interno delle scene, inframezzati ai versi shakespeariani si trovano stralci di altri testi su Amleto, come per esempio l’Hamletmaschine di Heiner Muller. Le battute invece degli intermezzi, recitate dal regista, dall’usciere e dalla donna delle pulizie, sono monologhi misti, tratti da alcuni autori tra cui Luigi Pirandello e Wislawa Szymborska.
Lo spunto di riflessione fornito dal regista Marco Pernich attraverso questa rielaborazione dell’Amleto riguarda innanzitutto il possibile fallimento del teatro nell’epoca contemporanea. Insieme allo stesso strumento del teatro sembra oggi aver fallito anche la rappresentazione del personaggio e la sua identificazione, ipotizzata da Stanislavskij. La conclusione alla quale sembra giungere lo spettacolo è che i personaggi non possano essere interpretati ma soltanto raccontati. Attraverso questa apparente rassegnazione in realtà si sviluppa una sorta di rivendicazione dell’umanità dell’attore, della sua mutevolezza, sera dopo sera, alla sua incapacità di rimanere sempre uguale a se stesso. Il fallimento del teatro dunque si risolve alla fine come una celebrazione della sua bellezza e della sua grandezza, che derivano proprio dall’umanità dell’attore. Si dimostra così l’insolvenza della figura della Supermarionetta ipotizzata da Craig verso la metà del secolo scorso, secondo cui l’attore in quanto essere umano era di intralcio al movimento da compiere sul palcoscenico.
Oltre alla riflessione intrinseca al Circo dei morti il regista ha voluto lanciare un altro importante messaggio contro la mercificazione dell’arte, cercando in qualche modo di sottrarre lo spettacolo all’idea di prodotto e consumo. Non è infatti presente un biglietto a pagamento per accedere alla visione della rappresentazione ma si chiede al pubblico di portare un dono, così da istituire una sorta di baratto culturale: un dono in cambio del teatro. Sicuramente un gesto rivoluzionario, che unito alla carica riflessiva dell’intera messa in scena rende lo spettacolo un’esortazione a rivalutare tutto ciò che si è sempre creduto del teatro.
Visione dello spettacolo Il circo dei morti presenta: i fantasmi di Amleto
Foto di Enrico Togni