Chiara Mazzetti, in arte Lev, esordiva un anno fa per Atlantide con Poesie, una raccolta lirica dal cuore stilnovista e dalla veste millennial.
D’amore c’è morta letterariamente un’intera stirpe di poeti, che cantava l’amata angelica e altera, beatificando gli strascichi di crudeltà femminile, dolce pena per cuori infranti e poetici. L’assenza, il rifiuto, la donna che passa e non si volta sono stati i leitmotiv di una sacra tradizione che ha avuto l’eccezionalità di essere la prima, la pioniera dell’amor cantato.
È lungo questa linea ideale che si accosta Poesie di Lev Mazzetti, felice dimostrazione della possibilità di scrivere e pubblicare ancora oggi poesie che parlino di amori infranti e di assenze difficili da racchiudere. Il libro è un monologo dialogante con una te dai mille volti e si apre raccontando proprio tutte quelle Cose a caso che non ti dico.
Arriva adesso la canzone del mio primo amore
che ho lasciato per te
che non eri te
che poi sei stata te
ma non sei più stata tu
e non è più stata lei.
Il te che c’è in ogni pagina – anche quelle in cui non compare – è presenza di assenza, un nome proprio non rivelato che si nasconde in un bisogno di nominazione continua. C’è un momento dell’adolescenza in cui siamo stati preda di un delirio iper-identificativo, e abbiamo scritto il nostro nome su ogni foglietto, per poi rimiralo compiaciuti e rinnovare l’autografo nella pagina subito successiva. Chiamare, nominare l’amata che non c’è più è forse in fondo la stessa cosa, significa attaccarsi a quella parte di sé che sta sfuggendo, che si allontana e ci spinge ancora una volta verso tardivi dubbi identitari:
Una volta al giorno almeno
devo ribadire il tuo nome.
La silloge canta le tappe del cammino amoroso, il ricordo, la nostalgia, la perdita, la rabbia e la sofferenza. Ci si attarda nel dolore del distacco, come un vizio fastidioso e stantio che fa le fusa e si struscia sulle gambe anche quando si pensava già andato. Sopravviene allora l’atto di forza, «il momento terribile di staccarti dalle guance», per tornare a vivere, per tornare aderenti alla vita:
così presa in prestito
sgraffignata depredata rubata a qualcuno
che l’avrebbe più voluta.
La perdita dell’amore nel libro della Mazzetti corrisponde ed è insieme la causa di una perdita dialettica. Perdere si tira dietro, anche nolente, un cercare e ricercare, del pezzo mancante e della «sola parola perfetta che adesso non ricordo». È da questo spiffero che nasce la poesia, come intermezzo, tensione a una parola poetica assoluta possibile solo all’interno di un’unione perfetta:
Non ci sarà stata parola giusta al mondo
finché non l’avremo detta insieme.
Lo stile di Poesie è lucido, mordace e denso. Le composizioni sono nuclei autosufficienti fitti e compatti: versi liberi, istantanei, che vanno al passo con i tempi. Classe ’90, Lev Mazzetti è parte di quella generazione, i Millennials, che si trova a metà tra una nuova leva, che ha preferito le immagini alle parole, il provvisorio e il reversibile al residuale, e quella della classe al potere che di parole ne usa fin troppe, spesso alla rinfusa e sconsiderate. Si colloca in questo framezzo la poesia di Lev Mazzetti, che di parole ne usa poche ma giuste e necessarie. Il sistema poetico di Poesie si basa su immagini comuni, banali, che vengono sovvertite – ed è qui che emerge l’originalità e il tratto distintivo dell’autrice – nel verso successivo, tradendo l’aspettativa del lettore e creando un effetto perturbante, che mescola familiarità a estraneità, come un aprosdoketon – la battuta inattesa tanto cara al Marziale latino – di seconda generazione.
In effetti non abbiamo le possibilità
in effetti un appuntamento concordato
in sei anni di anticipo può sfuggir di mente
era tutto tirato a lustro ma soprattutto
era la prima volta in cui
non mi volava via il cappello.
Stupisce che, nonostante un contenuto così sofferto e drammatico, Poesie sia un libro che restituisce lampi di luminosità e fulgide impressioni che nascono dal colore delle immagini che scorrono sotto le parole, creando un cromatismo galleggiante che combina le tinte della possibilità che ciò che è stato, forse, può tornare a essere.
Tutte le cose che non erano state potevano essere
adesso
del colore del sole.
FONTI
Chiara Lev Mazzetti, Poesie, Atlantide, 2018