Se sei donna, in Italia fare carriera è ancora difficile

In Italia essere donna significa ancora incontrare grossi ostacoli in gran parte degli ambiti lavorativi, legati non soltanto alla difficoltà di trovare un’occupazione e fare carriera, ma anche alla disuguaglianza salariale rispetto ai colleghi di sesso maschile. Affermarsi professionalmente diviene ancora più difficile, quasi impossibile, se una donna è mamma o vuole diventarlo. La vita è durissima poi per quelle mamme che non solo vogliono, ma devono lavorare per poter mantenere un figlio, perché non possono contare sul sostegno di nessun altro.

Bisogna precisare che in Italia negli ultimi anni abbiamo assistito a numerosi progressi: il numero delle donne occupate è aumentato del 10% rispetto agli anni 2000.

Cosa ne pensano le donne trasferitesi in Italia per lavoro?

La più grande comunità online di espatriati, InterNations, in occasione dell’8 marzo, ha effettuato un sondaggio su un campione di più di 8.800 donne provenienti da 420 città del mondo, registrando quali siano i migliori Paesi in cui le donne riescono a fare carriera, senza discriminazioni di genere e senza ostacolare la vita familiare. La InterNations ha così prodotto una classifica di 57 Paesi dai più ai meno ospitali per le donne. Il migliore Paese risulta la Repubblica Ceca, seguono Taiwan, e le ormai scontate Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, ecc.

L’Italia risulta vergognosamente al penultimo posto, appena prima della Grecia. Forbes a proposito ironizzava:

“Sei mai andata in vacanza nei posti più belli del mondo come la Grecia e l’Italia e hai fantasticato su come sarebbe bello lavorarci? Pensaci meglio perché l’indagine di InterNations mette questi due paesi come i peggiori in cui realizzarsi”.

Il 34% delle donne venute in Italia per lavoro è insoddisfatta, il 50% giudica negativa la conciliazione di vita e lavoro e il 26% ritiene il proprio stipendio inferiore al rispettivo nel suo Paese.

In Europa?

Secondo i dati Eurostat pubblicati nel marzo 2019, in Europa la percentuale di donne tra i 20 e i 64 anni con un impiego è del 66,5% contro il 78% degli uomini: ben 11,5 punti percentuali in meno. Nello specifico, in Italia il divario è di ben 19,8 punti.

I dati Eurostat riconoscono anche una percentuale di diminuzione rispetto a cinque anni fa, da 12,2 punti percentuali a 11,5 nel 2017. Altro dato positivo è l’aumento in percentuale delle donne in politica, che nel 2018 sono arrivate ad occupare complessivamente il 30% dei seggi nei parlamenti nazionali europei, quando nel 2013 ne occupavano circa il 20%.

In Italia in particolare, le donne occupano il 35% di seggi in Parlamento. Questo grazie anche all’introduzione nel 2012 delle cosiddette quote rosa o di genere per garantire la rappresentatività femminile in ogni settore decisionale (ad esempio in politica o nelle imprese), stabilendo un numero preciso di posti riservati al gentil sesso. Tuttavia in ambito politico è facile eludere la legge attraverso le candidature multiple, cioè la possibilità per un candidato di presentarsi in più circoscrizioni, cosa che non di rado avviene.

Nei governi europei, la quota femminile rimane invece attorno ad una media del 14 %.

In che modo il governo italiano sostiene le madri?

CONGEDO DI MATERNITÀ. Per le madri ha la durata di 5 mesi, mentre il congedo di paternità solo di cinque giorni. C’è poi il congedo parentale facoltativo, ma è scarsamente retribuito.

Tutto ciò causa una lunga assenza della donna dalla sua postazione lavorativa, ed è per questo che spesso un datore di lavoro è più restio ad assumere una donna che voglia diventare madre. Servirebbe una prospettiva più flessibile, distribuita equamente tra padre e madre cosicché entrambi si spartiscano il ruolo di genitorialità. A tal proposito, l’unico provvedimento approvato dal governo italiano è la legge di bilancio dello scorso dicembre, che permette alle donne di poter lavorare fino al parto e poi di poter fruire dei cinque mesi del congedo che seguono la nascita del bambino: questo non è nient’altro che un onere aggiunto alle madri costrette a lavorare fino alla fine per concreti bisogni economici.

ASILI NIDO. Dovrebbero essere una struttura di sostegno per le famiglie, ma in Italia hanno una retta particolarmente costosa, inoltre accolgono mediamente soltanto circa il 20% dei bambini da zero a due anni che possiedono i requisiti per l’accesso. Una conseguenza è che usufruiscono dell’asilo poco più del 10% delle famiglie con bambini in età da nido.

Inoltre, la sopracitata legge di bilancio 2019 ha aumentato a 1500 euro il bonus asilo, di cui potranno servirsi le famiglie. Ma un intervento più efficace dovrebbe piuttosto vertere sull’aumento dei posti disponibili e su un abbassamento dei costi delle rette.

“Oggi nel mondo del lavoro tantissime di noi si trovano davanti a un bivio: o mantieni il posto di lavoro, magari con l’obiettivo di fare carriera, o fai la mamma. Ma le due cose dovrebbero poter coesistere, come succede fuori dall’Italia”.

Sospira Marianna Cammarota, la cui storia è soltanto una tra le tante.

Diventata mamma di due gemelli, nel luglio 2018 ha dovuto lasciare l’impiego raggiunto dopo tanti sacrifici, a tempo indeterminato, in un’azienda che si occupava di sicurezza e telecomunicazioni. Era entrata nella S.p.a. nel 2007 dopo essersi trasferita a Milano dalla Sicilia; dopo il matrimonio è rimasta incinta di due gemelli e, quella che doveva essere una bellissima notizia, si è presto trasformata nell’origine di tutti i suoi problemi. Inizialmente ha chiesto ed è riuscita ad ottenere un part-time per tre anni, dopo i quali il problema si è ripresentato. Marianna ha così deciso di ricorrere al cosiddetto “Contratto di II livello” o “Contratto Aziendale”, che prevede un accordo tra Sindacati e datore di lavoro. Nel frattempo aveva notato che l’atteggiamento nei suoi confronti era cambiato: la trasferivano da un posto ad un altro come se fosse un peso, quando invece inizialmente era stata una risorsa per l’azienda. Marianna ha deciso allora di lasciare il lavoro: non poteva più reggere psicologicamente la situazione, inoltre il marito è un poliziotto, quindi aveva orari molto variabili e, oltre a lui, non aveva nessun altro su cui poter contare per l’accudimento dei bambini.

Oggi Marianna è in disoccupazione e cerca disperatamente un lavoro, anche differente. Sa già che ad un primo colloquio di lavoro le chiederanno se è sposata o ha intenzione di farlo, oppure se ha già o vorrà avere figli. Si tratta del cosiddetto colloquio differenziato, come spiega Tania Sacchetti, segretaria nazionale confederale della Cgil, una sorta di discriminazione ab initio. Marianna sa già in che modo rispondere a questa domanda: è determinata a dimostrare che una donna con figli può fare tanto quanto una donna senza figli, chiederà soltanto di avere la possibilità di avere un orario minimamente conciliabile con i bisogni dei bambini.

Esistono tantissime Marianna in Italia, donne che non hanno la possibilità di realizzarsi, oltre che come madri anche nel campo professionale, perché nel nostro Paese mancano le condizioni affinché ciò avvenga. Parlarne è sicuramente un ottimo inizio, ma è arrivato il momento che lo Stato faccia un passo nella direzione delle donne e cerchi concretamente di risolvere questo enorme problema. Essere mamme e donne in carriera è possibile, mancano le occasioni per provarci.

 

 

 

 

 

 

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