High Life è il primo film in lingua inglese della regista Claire Denis, un horror sci-fi dalle venature esistenzialiste ancora inedito in Italia ma che ha fatto molto parlare di sé presso la critica internazionale. Di recente è stato presentato in sala anche nel nostro Paese grazie all’iniziativa di Oltre lo specchio, il festival dell’immaginario fantastico e della fantascienza la cui prima edizione si è tenuta a Milano dal 5 al 12 Giugno: una rassegna trasversale che partendo dal cinema abbraccia il mondo dei videogiochi, della letteratura e dei fumetti, con un vasto programma di proiezioni diviso in tre sezioni e numerosi eventi collaterali, tra incontri, conferenze e workshop.
High Life. Un giardino verde e rigoglioso, ma permeato da un sentore sintetico; un nuovo Eden artificiale perso nei meandri dello spazio siderale. Silenzio, poi una voce infantile, ancora inarticolata, un pianto di bambina e un uomo nella sua tuta di astronauta. Padre e figlia, soli, lontani anni luce da qualsiasi altra forma di vita, alle prese con le proprie paure e frustrazioni. Pian piano il buio si riempie di colori, il silenzio di suoni, lo spazio di forme; con una serie di flashback viene fatta luce sugli eventi che hanno condotto al momento presente. Monte (Robert Pattinson) e i suoi compagni sono ex detenuti condannati all’ergastolo e al braccio della morte a cui è stata concessa una seconda occasione per redimersi: un viaggio interstellare alla volta di un buco nero per scoprire se è possibile imbrigliarne l’energia. Insieme a loro, unica figura d’autorità a contrastare il rischio di una violenza anarchica sempre pronta a esplodere, c’è la dottoressa Dibs (Juliette Binoche), anch’essa colpevole di un crimine atroce e ossessionata dalla scienza della riproduzione.
Proprio il problema della procreazione è una questione di primaria importanza per l’equipaggio: il loro è un viaggio senza ritorno destinato a durare generazioni; più che un esperimento, un disperato tentativo di perpetuare la specie umana oltre i confini del tempo e dello spazio. Vietato ogni rapporto diretto, il sesso diventa mero atto masturbatorio, freddo, meccanico, volto all’inseminazione artificiale; ma sfocia anche in rigurgito di violenza primordiale, in atto prevaricante e impositivo, quando uno dei coloni spaziali prova ad aggredire una sua compagna. Monte è l’unico a sottrarsi agli esperimenti della dottoressa con ascetica fermezza; ma dopo tanti tentativi di concepimento falliti a causa delle radiazioni spaziali, sarà proprio lui, pur contro la sua volontà, ad avere una figlia da una delle ex detenute. Intanto, però, ha preso avvio una catena inarrestabile di violenza e brutalità alle quali solo Monte e la neonata Willow sopravviveranno per proseguire il loro viaggio nell’oscurità.
In High Life, Claire Denis affronta profondi dilemmi etici e interrogativi filosofici dai riecheggiamenti biblici. C’è innanzitutto la questione dei carcerati inviati in una missione suicida senza la reale possibilità di una scelta; reietti della società trattati come materiale di scarto da riciclare a nuovo scopo, chiusi in una scatola di metallo e condannati al reciproco annientamento. Più che soffermarsi su questo, però, il film predilige una riflessione sul destino dell’umanità; sulla nascita e la morte, l’origine e la fine; su cosa venga dopo la vita e forse anche prima di essa.
La scienza della riproduzione è allora elevata a dogma e metafisica; Dibs che esce ancora ansimante dall’allucinata orgia autoerotica nel Box (la camera dei piaceri presente a bordo) più simile a uno sciamano invasato o una strega che a un medico; a un dio addirittura, una piccola divinità perversa e maliziosa che gioca a creare la vita drogando e stuprando i suoi pazienti e fedeli. Tutto torna a questo punto: la navicella è insieme giardino dell’Eden e Arca di Noè, è Caino che uccide Abele ed è la cacciata dal Paradiso. È soprattutto il problema della propagazione di una razza a partire da pochi individui – ridotti infine a due soltanto, padre e figlia, – un tabù indicibile che rimane inespresso ma aleggia assordante nell’assenza dei vincoli sociali che ne sono fondamento sulla Terra.
A bordo, intanto, gli anni passano in un’atmosfera di esistenza sospesa che ricorda per certi versi il Solaris di Tarkovskij, con scorci visivi per cui High Life è debitore al Gargantua di Interstellar e un esito finale che sembra alludere allo star child dell’Odissea di Kubrick. Il viaggio di Monte e sua figlia, in effetti, assomiglia a una lunga gestazione in un grembo metallico; la navicella è una placenta irrorata di sangue, sudore e fluidi corporei che protegge le fragili vite al suo interno dalle fredde profondità dell’Universo. Willow, ormai adolescente, è come se non fosse mai nata; non conosce la malvagità, afferma il padre; non conosce niente, un feto in attesa di vedere la luce. Monte stesso non è più quello di una volta, ha trasceso la sua esistenza terrena e si dirige verso una nuova nascita, o forse verso la conclusione di tutto.
Un sottile orizzonte si spalanca infine in cascata di luce: è atto fondativo e termine ultimo, principio e compimento, genesi e apocalisse. È la fine di un viaggio che, nell’addentrarsi tra stelle, galassie e buchi neri, non ha fatto altro che scavare a fondo nell’animo umano.
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Si ringrazia il Festival Oltre lo specchio per l’opportunità concessa e per l’ottima iniziativa, capace di aprire una finestra d’approfondimento su un genere spesso trascurato in Italia, con l’augurio di replicare anche l’anno prossimo il successo di questa prima edizione.
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